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Continuazione reati: la procedura per il patteggiamento

Un condannato ha richiesto l’applicazione della continuazione tra due reati definiti con sentenze di patteggiamento. La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva accolto la richiesta, rilevando un vizio di procedura. La Corte ha chiarito che, in questi casi, è indispensabile seguire la procedura prevista dall’art. 188 disp. att. c.p.p., che richiede un accordo preliminare con il Pubblico Ministero. La mancata osservanza di tale iter rende la domanda inammissibile.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati e patteggiamento: la Cassazione fissa la procedura

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha delineato con chiarezza la procedura da seguire per richiedere l’applicazione della continuazione tra reati quando le condanne originarie derivano da sentenze di patteggiamento. La decisione sottolinea l’importanza di un accordo preliminare con il Pubblico Ministero, pena l’inammissibilità della richiesta. Questo intervento chiarisce un aspetto procedurale fondamentale per la fase esecutiva della pena.

I fatti del caso: una richiesta in fase esecutiva

Il caso nasce dalla richiesta di un condannato di vedere applicata la disciplina del reato continuato a due distinte sentenze di condanna, entrambe emesse a seguito di un patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p. Le condanne riguardavano reati previsti dall’art. 73 del D.P.R. 309/1990 (Testo Unico sugli stupefacenti). L’istanza era stata presentata direttamente al Giudice dell’esecuzione del Tribunale competente.

La decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Giudice dell’esecuzione aveva accolto la richiesta, riconoscendo il vincolo della continuazione tra i reati giudicati nelle due sentenze. Di conseguenza, aveva proceduto a rideterminare la pena complessiva, individuando il reato più grave, stabilendo la pena base e applicando un aumento per il reato satellite, giungendo a una pena finale di cinque anni di reclusione e 17.000 euro di multa. Tuttavia, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una pena sproporzionata per il reato satellite e la mancata applicazione della riduzione prevista per il rito del patteggiamento.

L’intervento della Cassazione e la corretta procedura per la continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ma per una ragione di natura procedurale, ritenuta assorbente rispetto ai motivi specifici sollevati dalla difesa. La Suprema Corte ha rilevato che non era stata seguita la procedura corretta, prevista dall’art. 188 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, per il riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con patteggiamento. Tale norma, infatti, impone un ‘modulo indispensabile’ che si fonda su un accordo inter partes.

Il ruolo del Pubblico Ministero e del Giudice

La procedura corretta prevede che la parte interessata debba prima investire della sua richiesta il Pubblico Ministero, al fine di raggiungere un accordo sull’entità della pena. L’intervento del Giudice dell’esecuzione è solo successivo e suppletivo. Il giudice può ratificare l’accordo raggiunto tra le parti o, in caso di dissenso del PM, può accogliere ugualmente la richiesta se ritiene il dissenso ingiustificato.
Nel caso di specie, il Pubblico Ministero non aveva espresso un consenso né un dissenso, ma si era semplicemente ‘rimesso alle determinazioni del giudice’, vanificando di fatto lo schema procedurale previsto dalla legge.

Le motivazioni

La Corte ha statuito che la mancata attivazione del contraddittorio con il Pubblico Ministero configura un vizio che rende la domanda inammissibile. Questa inammissibilità, essendo un vizio procedurale grave, può essere rilevata d’ufficio dalla Cassazione in ogni stato e grado del procedimento, anche se non specificamente eccepita nel ricorso. La domanda, essendo stata presentata senza seguire l’iter corretto, non avrebbe dovuto essere esaminata nel merito. Di conseguenza, il provvedimento del Giudice dell’esecuzione, emesso su una richiesta inammissibile, è stato travolto e annullato.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, disponendo la restituzione degli atti al Giudice dell’esecuzione. La pronuncia implica che il procedimento esecutivo dovrà essere reintrodotto attraverso una nuova domanda, questa volta formulata nel rispetto delle forme essenziali previste dalla legge. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per la continuazione tra reati oggetto di patteggiamento, il dialogo e l’accordo con l’accusa rappresentano un passaggio non eludibile, che precede e condiziona l’intervento del giudice.

Come si chiede la continuazione tra reati giudicati con patteggiamento?
La richiesta deve essere prima rivolta al Pubblico Ministero per ottenere il suo consenso sull’entità della pena. L’istanza viene presentata al giudice solo dopo questo passaggio, per la ratifica dell’accordo o per superare un eventuale dissenso ingiustificato del PM.

Cosa succede se la richiesta di continuazione viene presentata direttamente al giudice dell’esecuzione?
La richiesta è inammissibile. Secondo la sentenza, la mancata osservanza della procedura che prevede il preventivo accordo con il Pubblico Ministero rende la domanda proceduralmente viziata e il provvedimento del giudice che la accoglie è nullo e deve essere annullato.

Qual è il ruolo del giudice dell’esecuzione in questa procedura?
Il giudice ha un ruolo suppletivo. Se c’è accordo tra le parti, lo ratifica. Se il Pubblico Ministero esprime un dissenso, il giudice ha il potere di valutare se tale dissenso sia ingiustificato e, in caso affermativo, accogliere comunque la richiesta del condannato, sempre nel rispetto dei limiti di pena previsti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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