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Continuazione reati: inammissibile ricorso generico

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso avverso un’ordinanza che applicava la disciplina della continuazione reati. I motivi del ricorso sono stati giudicati generici, ripetitivi e manifestamente infondati, confermando la corretta valutazione del giudice dell’esecuzione sulla congruità della pena, basata sulla gravità dei fatti e sulla personalità dell’imputato.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reati: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’istituto della continuazione reati, disciplinato dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la rideterminazione della pena in fase esecutiva. Tuttavia, l’accesso alla Corte di Cassazione per contestare le decisioni in materia richiede il rispetto di precisi requisiti di specificità e fondatezza dei motivi. Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce i limiti di ammissibilità del ricorso, sottolineando come la mera riproposizione di argomenti già vagliati sia destinata all’insuccesso.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza del Giudice dell’esecuzione del Tribunale, il quale aveva accolto l’istanza di un condannato volta a riconoscere il vincolo della continuazione reati tra i fatti giudicati con due distinte sentenze. Di conseguenza, il Giudice aveva rideterminato la pena complessiva in tredici anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione, oltre alla multa.

Avverso tale provvedimento, la difesa del condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due specifici vizi: la violazione di norme processuali e un difetto di motivazione riguardo all’entità della pena rideterminata.

La Decisione della Cassazione e la Continuazione Reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: i motivi di ricorso non possono essere una semplice riproduzione delle censure già esaminate e respinte dal giudice precedente. La Corte ha ritenuto che le argomentazioni della difesa fossero generiche, non specifiche e, in ultima analisi, manifestamente infondate.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato in dettaglio le ragioni dell’inammissibilità. In primo luogo, i motivi proposti erano una mera ripetizione di quanto già discusso davanti al Giudice dell’esecuzione, il quale li aveva rigettati con un “corretto argomento giuridico”.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la critica relativa al presunto difetto di motivazione sulla quantificazione della pena. La difesa contestava l’uso della formula sintetica “appare congruo” da parte del Giudice dell’esecuzione. Secondo la Cassazione, però, una lettura complessiva del provvedimento impugnato rivelava una motivazione tutt’altro che carente. Il Giudice, infatti, aveva ampiamente tenuto conto dei parametri dell’articolo 133 del codice penale, facendo espresso riferimento a elementi quali:

* La gravità della condotta, evidenziata dalla partecipazione a un’associazione di stampo mafioso.
* La personalità del condannato, descritto come dedito a rapine, spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione di armi.
* Il collegamento di tali reati con l’attività del gruppo criminale di riferimento.

Questi fattori, secondo la Corte, giustificavano pienamente la pena irrogata. Inoltre, è stato sottolineato che la pena base per i reati più gravi era già stata ridotta per effetto della scelta del rito abbreviato, un dettaglio non trascurabile nella valutazione complessiva della congruità della sanzione.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un importante principio processuale: il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di merito. Per essere ammissibile, deve sollevare questioni di legittimità specifiche e non limitarsi a riproporre doglianze già respinte. La pronuncia chiarisce inoltre che la valutazione della motivazione di un provvedimento deve essere condotta in modo complessivo; una formula sintetica può essere sufficiente se il ragionamento del giudice emerge chiaramente dal contesto della decisione e si fonda su precisi riferimenti normativi e fattuali. Per gli operatori del diritto, ciò rappresenta un monito a formulare ricorsi dettagliati e pertinenti, evitando censure generiche che conducono inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

È possibile presentare in Cassazione gli stessi motivi di ricorso già respinti dal Giudice dell’esecuzione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che i motivi di ricorso non sono consentiti se sono meramente riproduttivi di censure già proposte e vagliate dal giudice precedente, specialmente se respinte con un corretto argomento giuridico.

Una motivazione sintetica del giudice sulla pena, come l’uso della formula “appare congruo”, è sempre considerata un difetto di motivazione?
Non necessariamente. In questo caso, la Corte ha ritenuto che, sebbene la formula fosse sintetica, la motivazione complessiva del provvedimento fosse sufficiente. Il giudice aveva fatto riferimento a parametri specifici, come la gravità della condotta e la personalità del condannato, che giustificavano la pena determinata.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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