Continuazione Reati: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’istituto della continuazione reati, disciplinato dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la rideterminazione della pena in fase esecutiva. Tuttavia, l’accesso alla Corte di Cassazione per contestare le decisioni in materia richiede il rispetto di precisi requisiti di specificità e fondatezza dei motivi. Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce i limiti di ammissibilità del ricorso, sottolineando come la mera riproposizione di argomenti già vagliati sia destinata all’insuccesso.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un’ordinanza del Giudice dell’esecuzione del Tribunale, il quale aveva accolto l’istanza di un condannato volta a riconoscere il vincolo della continuazione reati tra i fatti giudicati con due distinte sentenze. Di conseguenza, il Giudice aveva rideterminato la pena complessiva in tredici anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione, oltre alla multa.
Avverso tale provvedimento, la difesa del condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due specifici vizi: la violazione di norme processuali e un difetto di motivazione riguardo all’entità della pena rideterminata.
La Decisione della Cassazione e la Continuazione Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: i motivi di ricorso non possono essere una semplice riproduzione delle censure già esaminate e respinte dal giudice precedente. La Corte ha ritenuto che le argomentazioni della difesa fossero generiche, non specifiche e, in ultima analisi, manifestamente infondate.
Le Motivazioni
La Suprema Corte ha spiegato in dettaglio le ragioni dell’inammissibilità. In primo luogo, i motivi proposti erano una mera ripetizione di quanto già discusso davanti al Giudice dell’esecuzione, il quale li aveva rigettati con un “corretto argomento giuridico”.
In secondo luogo, la Corte ha affrontato la critica relativa al presunto difetto di motivazione sulla quantificazione della pena. La difesa contestava l’uso della formula sintetica “appare congruo” da parte del Giudice dell’esecuzione. Secondo la Cassazione, però, una lettura complessiva del provvedimento impugnato rivelava una motivazione tutt’altro che carente. Il Giudice, infatti, aveva ampiamente tenuto conto dei parametri dell’articolo 133 del codice penale, facendo espresso riferimento a elementi quali:
* La gravità della condotta, evidenziata dalla partecipazione a un’associazione di stampo mafioso.
* La personalità del condannato, descritto come dedito a rapine, spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione di armi.
* Il collegamento di tali reati con l’attività del gruppo criminale di riferimento.
Questi fattori, secondo la Corte, giustificavano pienamente la pena irrogata. Inoltre, è stato sottolineato che la pena base per i reati più gravi era già stata ridotta per effetto della scelta del rito abbreviato, un dettaglio non trascurabile nella valutazione complessiva della congruità della sanzione.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un importante principio processuale: il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di merito. Per essere ammissibile, deve sollevare questioni di legittimità specifiche e non limitarsi a riproporre doglianze già respinte. La pronuncia chiarisce inoltre che la valutazione della motivazione di un provvedimento deve essere condotta in modo complessivo; una formula sintetica può essere sufficiente se il ragionamento del giudice emerge chiaramente dal contesto della decisione e si fonda su precisi riferimenti normativi e fattuali. Per gli operatori del diritto, ciò rappresenta un monito a formulare ricorsi dettagliati e pertinenti, evitando censure generiche che conducono inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
È possibile presentare in Cassazione gli stessi motivi di ricorso già respinti dal Giudice dell’esecuzione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che i motivi di ricorso non sono consentiti se sono meramente riproduttivi di censure già proposte e vagliate dal giudice precedente, specialmente se respinte con un corretto argomento giuridico.
Una motivazione sintetica del giudice sulla pena, come l’uso della formula “appare congruo”, è sempre considerata un difetto di motivazione?
Non necessariamente. In questo caso, la Corte ha ritenuto che, sebbene la formula fosse sintetica, la motivazione complessiva del provvedimento fosse sufficiente. Il giudice aveva fatto riferimento a parametri specifici, come la gravità della condotta e la personalità del condannato, che giustificavano la pena determinata.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10227 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10227 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Catania il 24/03/1984
avverso l’ordinanza del 24/07/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania in funzione di Giudice dell’esecuzione dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che l’ordinanza impugnata ha riconosciuto la continuazione, ex art. 671 cod. proc. pen., nei confronti di NOME COGNOME tra i reati giudicati con l due sentenze di cui all’istanza, rideterminando la pena complessiva irrogata in quella di anni tredici mesi dieci e giorni venti di reclusione oltre la multa.
Considerato che i motivi proposti dalla difesa, avv. NOME COGNOME (violazione di cui all’art. 606 lett. d) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 438, 422 cod. pr pen. – primo motivo; vizio di motivazione in relazione all’entità della pena rideterminata — secondo motivo) non sono consentiti in sede di legittimità perché riproduttivi di motivi di censura già proposti con l’istanza, vagliati dal Giudic dell’esecuzione con corretto argomento giuridico e, comunque, non specifici e
manifestamente infondati in quanto si denuncia asserito difetto di motivazione che non si ravvisa dalla lettura del complessivo ragionamento svolto nel provvedimento impugnato (cfr. p. 4 dell’ordinanza).
Reputato che trattandosi di reati giudicati, con entrambe le sentenze, all’esito di rito abbreviato, la pena indicata come irrogata in aumento, anche per quelli giudicati con la seconda sentenza (artt. 416-bis cod. pen. e 2 e 7 legge n. 895 del 1967), nella misura determinata dal Giudice dell’esecuzione (anni quattro di reclusione per il reato associativo e anni uno di reclusione per la residua violazione), sia già ridotta per effetto del rito e che, comunque, il ravvisato difett di motivazione circa l’entità dell’aumento operato non sussiste (anni cinque di reclusione, invece che anni sei, mesi undici e giorni dieci irrogata dal giudice della cognizione) pur avendo il Giudice dell’esecuzione utilizzato la formula sintetica “appare congruo”.
Rilevato, infatti, che è sufficiente la lettura del provvedimento impugnato, nel suo complesso, per rilevare che questo rende ampiamente conto dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., quanto alla gravità della condotta in addebito, attraverso l’espresso riferimento alla partecipazione del condannato al clan mafioso in contestazione, da epoca anche precedente al tempus commissi delicti, nonché alla personalità del condannato descritto come dedito alle rapine nei supermercati, nonché alla cessione illecita di stupefacenti del tipo cocaina e marijuana, latitante per breve periodo per la detenzione di armi, fatti ritenuti collegati all’attivi associativa svolta per il gruppo mafioso di riferimento, tutti fattori incident senz’altro sui parametri di riferimento di cui all’art. 133 cit.
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente, considerati i motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente