Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4880 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4880 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/02/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/segtite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 27 febbraio 2023 della Corte di appello di Napoli che, quale giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
ai reati di associazione di tipo mafioso, di tentato omicidio aggravato dall’agevolazione mafiosa e di tentato omicidio, ai sensi degli artt. 416-bis, secondo comma, 56, 575 cod. pen. e 7 d.l. 13maggio 1991, n. 152 (convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), commessi rispettivamente da settembre 2015 con condotta perdurante fino alla sentenza di primo grado in Napoli, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 16 aprile 2019, definitiva il 3 giugno 2020;
al reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti aggravato dall’agevolazione mafiosa, ai sensi degli artt. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 7 d.l. n. 152 del 1991, n. 152, commessi da novembre 2015 con condotta perdurante fino alla sentenza di primo grado, giudicati dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 9 giugno 2020, definitiva il 24 ottobre 2020.
Il giudice dell’esecuzione, ritenuti sussistenti gli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso tra i reati oggetto dell’istanza, ha rideterminato la pena finale in anni venti di reclusione, così determinata: pena base di anni quattordici di reclusione in ordine al reato di associazione ex art. 416-bis cod. pen. (nel quale era stata già calcolata la pena in continuazione per l’ulteriore reato di tentato omicidio aggravato), aumentata ad anni sedici di reclusione in ordine agli ulteriori reati posti in continuazione dal giudice sub 1, aumentata di anni sei di reclusione per il reato sub 2.
Il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81, primo comma, cod. pen. e 533, comma 2, cod. proc. pen., perché il giudice dell’esecuzione, riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto dell’istanza, avrebbe rideterminato la pena finale in maniera errata, senza procedere alla scorporazione dei reati già riuniti dal vincolo della continuazione interna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Giova premettere in diritto che, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione può applicare in executivis l’istituto della continuazione nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili, pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, e rideterminare le pene inflitte per i reati separatamente giudicati sulla base dei criteri dettati dalla stessa norma.
Secondo costante giurisprudenza di legittimità, qualora sia applicata in sede esecutiva la continuazione tra distinte condanne, aelle quali quella a pena più grave sia stata pronunciata per una pluralità di reati già uniti nel giudizio d cognizione dal vincolo della continuazione, deve essere assunta come pena base quella inflitta in tale giudizio per la violazione più grave, prescindendos dall’aumento per i reati-satellite che va determinato ex novo dal giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 45161 dei 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229822), anche per quelli già riuniti nella continuazione con il reato più grave posto alla base del nuovo computo (Sez. 1, n. 4911 del 15/01/2009, Neder, Rv. 243375).
In altri termini, il giudice dell’esecuzione che deve procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare tutti i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal giudice, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 1 n. 21424 del 19/03/2019, Scanferla, Rv. 275845), al fine di consentire il vaglio di congruità della pena concordata che lo stesso è tenuto ad effettuare.
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, nel determinare la pena finale per il reato, continuato incontra il limite, stabilito dall’art. 671 cod. proc. pen., del diviet superamento della somma delle sanzioni inflitte con ciascun titolo giudiziale, ma entro tale margine, una volta individuata, secondo il disposto dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., la violazione più grave, è libero di stabilire la pena congrua per ciascun altro episodio criminoso, anche facendo ricorso ai criteri di ragguaglio di cui all’art. 135 cod. pen., senza essere tenuto a rispettarne misura e nemmeno specie già indicate nelle sentenze (Sez. 1, n. 25426 del 30/05/2013, Cena, Rv. 256051).
Tale libertà nella scelta del trattamento sanzionatorio e nell’individuazione della sua misura complessiva discende dalla maggiore ampiezza dei poteri valutativi assegnati in tema di continuazione al giudice dell’esecuzione, rispetto a
quelli in capo al giudice della cognizione e trova la sua giustificazione nella possibilità di un riesame della situazione complessiva del reo e delle violazioni accertata suo carico al fine di rintracciarvi l’unicità del disegno criminoso, di cui diversi giudice della cognizione hanno potuto apprezzare e conoscere frammentariamente soltanto i singoli episodi attuativi.
In forza di quanto sopra, la Corte ritiene che il giudice dell’esecuzione non abbia correttamente applicato al caso di specie i sopra indicati principi di diritto, perché ha indicato la pena base in modo cumulativo, senza precisare quella riferita al reato più grave.
L’insufficiente motivazione dell’ordinanza emerge, altresì, dall’evidente errore di calcolo commesso dal giudice dell’esecuzione, il quale ha quantificato la pena finale in anni venti di reclusione, dopo aver affermato che la pena base in ordine ai reati di associazione di tipo mafioso e di tentato omicidio fosse pari ad anni quattordici di reclusione e che tale pena dovesse essere dapprima aumentata di anni due di reclusione per gli ulteriori reati sub 1 posti in continuazione (per un totale parziale di anni sedici di reclusione) e, infine, ulteriormente aumentata di anni sei di reclusione per la continuazione del reato sub 2 per un totale di anni venti di reclusione, per come indicato a pag. 3 dell’ordinanza, senza rendersi conto che la somma di 16+6 è 22.
Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte deve annullare l’ordinanza impugnata.
All’annullamento consegue che va disposta la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione fisica, per rinnovato esame della richiesta, in ossequio ai principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 183 del 03/07/2013, sulla diversa composizione del giudice di rinvio, in caso di annullamento di ordinanze in materia di applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 27/10/2023