Continuazione reati: quando un piano criminale è davvero unico?
La corretta applicazione della continuazione reati, disciplinata dall’art. 81 del codice penale, è un tema cruciale nel diritto penale, poiché consente di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più illeciti in esecuzione di un unico piano. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i criteri distintivi tra un ‘medesimo disegno criminoso’ e una generica inclinazione a delinquere, sottolineando i limiti del sindacato di legittimità.
La vicenda processuale
Il caso nasce dal ricorso presentato da un imputato avverso un’ordinanza della Corte d’Appello di Milano. Quest’ultima aveva negato la possibilità di unificare, sotto il vincolo della continuazione, una serie di reati già oggetto di una precedente sentenza con altri illeciti, anch’essi già unificati con un altro provvedimento. In sostanza, l’imputato chiedeva di considerare tutte le sue condotte criminali come parte di un unico, grande progetto criminoso.
La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta, evidenziando elementi che impedivano di ricondurre i due gruppi di reati a un’unica matrice. Il ricorrente, non soddisfatto, si è rivolto alla Suprema Corte, lamentando una violazione di legge.
I criteri per la continuazione reati secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ribadito principi consolidati in materia di continuazione reati. L’accertamento dell’unicità del disegno criminoso è un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito. La Suprema Corte può intervenire solo se la motivazione del provvedimento impugnato è manifestamente illogica, contraddittoria o basata su un travisamento dei fatti, cosa che non è avvenuta nel caso di specie.
La Corte ha sottolineato che un programma criminoso non deve essere confuso con una generica ‘concezione di vita improntata al crimine’. Quest’ultima è sanzionata da altri istituti, come la recidiva o l’abitualità nel reato, che hanno presupposti e finalità diverse. La continuazione, invece, presuppone una programmazione unitaria e preventiva, almeno nelle sue linee essenziali, di una serie di violazioni, deliberata prima della commissione del primo reato.
La decisione della Suprema Corte
I giudici di legittimità hanno ritenuto il ricorso inammissibile perché le censure sollevate erano semplici ‘doglianze in punto di fatto’, ossia un tentativo di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione delle prove, non consentita in quella sede. Il ricorrente, infatti, si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente respinte dalla Corte d’Appello, senza attaccare il nucleo logico-giuridico della decisione.
Le motivazioni
La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su tre pilastri principali. In primo luogo, ha avallato la valutazione della Corte d’Appello, che aveva correttamente identificato l’assenza di un ‘medesimo disegno criminoso’ sulla base di indicatori oggettivi:
1. Diverso schema operativo: Le truffe ai danni delle compagnie assicurative, oggetto dei due gruppi di reati, erano state realizzate con modalità differenti.
2. Non comunanza di correi: I complici coinvolti nei due filoni di illeciti non erano gli stessi.
3. Distanza cronologica: Un significativo lasso di tempo separava i due gruppi di reati.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito che l’onere del ricorrente è quello di dimostrare la sussistenza di un piano unitario e preventivo, cosa che non è avvenuta. Infine, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché non contestava vizi logici o giuridici della motivazione, ma si limitava a sollecitare un riesame del merito.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio fondamentale: per ottenere il beneficio della continuazione reati non è sufficiente dimostrare di aver commesso più illeciti dello stesso tipo. È indispensabile provare, attraverso indicatori concreti (come identità di modus operandi, contesto spazio-temporale, complici), che tutte le condotte facevano parte di un piano deliberato fin dall’inizio. Una semplice ‘carriera’ criminale, anche se omogenea, non integra di per sé il ‘medesimo disegno criminoso’. La decisione ribadisce inoltre la netta distinzione tra il giudizio di merito, che valuta i fatti, e quello di legittimità, che valuta la corretta applicazione della legge.
Quando è possibile chiedere la continuazione dei reati?
È possibile quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario e programmato prima della commissione del primo illecito. La sua esistenza deve essere provata attraverso indicatori fattuali.
Perché in questo caso specifico è stata negata la continuazione?
È stata negata perché i due gruppi di reati presentavano elementi che escludevano un piano unitario: un diverso schema operativo nelle truffe, la presenza di complici differenti e una notevole distanza temporale tra i fatti.
Qual è la differenza tra un ‘medesimo disegno criminoso’ e una generica tendenza a delinquere?
Il ‘medesimo disegno criminoso’ è una programmazione specifica e preventiva di una serie di reati. La tendenza a delinquere, invece, è una concezione di vita improntata al crimine, una scelta di sostentamento illecito che non presuppone un piano unico e viene valutata da altri istituti giuridici come la recidiva o l’abitualità nel reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26962 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26962 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/02/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che sono inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione dell’art. 81 cod. pen., in relazione al man riconoscimento della continuazione dei reati oggetto della richiesta – perché costituite da me doglianze in punto di fatto.
Letta la memoria difensiva con la quale il ricorrente chiede di non dichiarare l’inammissibilità del ricorso e di rimettere gli atti al Presidente per i consegue provvedimenti.
Considerato che i motivi di ricorso sono riproduttivi di profili di censura adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello Milano nel provvedimento impugnato, che ha ragionevolmente argomentato sull’impossibilità di ritenere i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano del 03/02/2023, 21/03/2023, uniti da un medesimo disegno criminoso con gli ulteriori reati oggetto dell’istanza, già unificati con provvedimento della Corte di appello di Milano del 19/12/20 alla luce del diverso schema operativo delle truffe ai danni delle compagnie assicurativ caratterizzanti i reati dei due gruppi, la non comunanza di correi e la distanza cronologica i diversi illeciti.
Ricordato che il programma criminoso non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento (venendo la stessa sanzionata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professional reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei: cfr. Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, Abbassi, Rv. 252950); che la ricostruzione del processo ideativo di una serie di episodi è per natura indiziaria, atteso che trattandosi di accertamento relativo atteggiamento psicologico lo stesso può alimentarsi esclusivamente dall’apprezzamento di nessi esteriori tra le diverse condotte poste in essere, che non siano però espressivi di u indefinita adesione ad un sistema di vita; che l’accertamento degli indici sintomat dell’unitarietà del disegno criminoso «è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti» (Sez. 7, n. 25908 del 10/03/2022, non massimata);
Rilevato che il ricorrente, nel censurare la motivazione dell’ordinanza impugnata, elude il nucleo centrale dei principi fin qui enunciati: la necessità di una preven programmazione unitaria dei reati – quindi precedente al primo dei reati per i quali si chied il riconoscimento del vincolo – almeno nella loro linea essenziale.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di
esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 06/06/2024