Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44265 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44265 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Locri 1’01/12/1964
avverso l’ordinanza emessa il 23/05/2024 dalla Corte di appello di Reggio Calabria lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 maggio 2024 la Corte di appello di Reggio Calabria, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione alle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato, ritenendo ostative all’applicazione della disciplina invocata l’eterogeneità esecutiva dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio giurisdizionale.
Si ritenevano, in particolare, ostative all’applicazione della disciplina invocata nell’interesse di NOME COGNOME l’ampiezza dell’arco temporale nel quale le condotte illecite presupposte erano state commesse e l’eterogeneità esecutiva dei reati giudicati dalle decisioni irrevocabili presupposte, rispetto alle quali non assumeva un rilievo unificante la circostanza che il ricorrente era un esponente di spicco dell’omonima consorteria ‘ndranghetistica, attiva nell’area della locride, per effetto della quale aveva riportato la condanna di cui al punto 2.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione GLYPH del GLYPH provvedimento GLYPH impugnato, GLYPH conseguenti GLYPH all’omesso riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, che si imponeva tenuto conto della correlazione tra i fatti di reato giudicati dalle due decisioni irrevocabil presupposte.
Tale correlazione, secondo la difesa del ricorrente, era stata svalutata dal Giudice dell’esecuzione, che aveva omesso di considerare la valenza, altamente sintomatica della ricorrenza del vincolo invocato, della condanna riportata dal ricorrente per la fattispecie di reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., pronunciata dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 15 aprile 2022, quale esponente di spicco del Clan Cataldo di Locri, nel quale gravitava fin dagli anni Ottanta del secondo scorso.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
In via preliminare, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME in riferimento ai titoli esecutivi presupposti, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fin dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati – monosoggettivi, plurisoggetti o associativi che siano – già concepiti almeno nelle loro caratteristiche strutturali essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, al contempo, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, comma secondo, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01; Sez. 1, n. 396 del 24/01/1994, COGNOME, Rv. 196678 – 01).
Tanto premesso, osserva il Collegio che il ricorso in esame, più che individuare singoli profili del provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, tende a provocare una nuova valutazione di merito delle circostanze di fatto che risultano correttamente vagliate dalla Corte di appello di Reggio Calabria, tenuto conto dei fatti di reato presupposti, giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato.
L’ordinanza impugnata, invero, ha correttamente valutato le condotte illecite presupposte, escludendo che i vari reati si connotassero per l’unitarietà del programma sottostante, che non deve essere confusa con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, resa evidente, nel caso di specie, dalle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si concretizzavano i comportamenti illeciti di NOME COGNOME. Tali condotte, peraltro relative a comportamenti criminosi oggettivamente eterogenei, si concretizzavano in un arco temporale particolarmente ampio, che imponeva di ritenere scarsamente probabile che, fin
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dalla prima condanna, irrogata dal Pretore di Alba il 4 dicembre 1988, per il reato di cui all’art. 688 cod. pen., il ricorrente avesse progettato di compiere una pluralità di illeciti in contesti territoriali diversi.
Ne discende che le ipotesi di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione criminosa, tenuto conto delle circostanze di tempo, di luogo e di persona in cui erano state commesse, rispetto alle quali non assume un rilievo unificante decisivo la condanna riportata da NOME, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., quale appartenente all’omonima famiglia mafiosa di Locri.
Sul punto, appaiono condivisibili le considerazioni espresse a pagina 3 dell’ordinanza impugnata, in cui si affermava: che lo «iato temporale rilevantissimo esistente tra la consumazione dei reati oggetto delle due sentenze, neutralizza in toto, qualsivoglia significatività alla sola circostanza che i due reati fossero finalizzati ad agevolare la cosca di ‘ndrangheta». Senza considerare che tutti i reati diversi da quello di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. stup.), giudicati dalla sentenza di cui al punto 1, non «risultano commessi al fine di agevolare la cosca dei COGNOME e non emergono dalle relative sentenze elementi che ricolleghino in fatto la commissione degli stessi all’associazione ‘ndranghetistica».
D’altra parte, identificare l’unicità del disegno criminoso soltanto con la propensione del condannato ad agire come esponente del sodalizio ‘ndranghetistico in esame – in questo caso riconducibile all’area della locride nel quale NOME gravitava, porterebbe a ricondurre irragionevolmente tutte le condotte illecite del ricorrente alla sfera di operatività della stessa consorteria, senza il compimento di alcuna verifica sulla genesi dei suoi comportamenti criminosi. Né può assumere rilievo in senso contrario, sic et simpliciter, la circostanza che il ricorrente era uno degli esponenti di spicco del Clan Cataldo di Locri, alla quale non può attribuirsi alcun rilievo decisivo, anche tenuto conto del fatto che la condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., irrogata dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 15 aprile 2022, che rappresenta l’unica decisione che riguarda un’associazione mafiosa, copre un arco tempo notevolmente posteriore rispetto al reato di cui all’art. 73 T.U. stup.
La verifica di tali condotte delittuose, del resto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi o di mere congetture, essendo necessario acquisire la prova che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo invocato siano stati concepiti nell’ambito di un programma unitario. Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, perché in tal caso «la reiterazione della
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condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
Non può, per altro verso, non rilevarsi che, nel caso in cui l’applicazione del vincolo della continuazione venga invocata in sede esecutiva con riferimento a una pluralità di reati, collegati a un’organizzazione mafiosa, come nel caso di NOME COGNOME, non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato e all’omogeneità delle condotte, peraltro solo parziale nel caso di specie, ma «occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione» (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271569 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 ottobre 2024.