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Continuazione interna: quando si applica l’aumento?

La Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale, il quale lamentava una pena illegale per mancato aumento dovuto alla continuazione interna nel reato di resistenza a più pubblici ufficiali. L’imputato era stato condannato per essersi opposto con violenza a diversi agenti. La Corte ha ritenuto infondato il motivo di censura, confermando la correttezza della pena inflitta in primo grado.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Interna e Resistenza: La Cassazione Chiarisce

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 16663 del 2025, offre un’importante riflessione sul concetto di continuazione interna nel reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il caso riguardava un appello del Procuratore Generale contro una sentenza del Tribunale di Brescia, accusata di aver comminato una pena illegale per non aver applicato l’aumento previsto quando la violenza è rivolta a più agenti contemporaneamente. La Corte ha però rigettato il ricorso, fornendo indicazioni preziose sulla corretta interpretazione delle norme.

Il Fatto: Resistenza Violenta a Più Ufficiali

I fatti alla base della vicenda vedono un individuo condannato dal Tribunale di Brescia per una serie di reati, tra cui quello di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. In particolare, l’imputato si era opposto con una violenta colluttazione a ufficiali della Polizia Locale e dei Carabinieri che lo stavano conducendo in caserma per l’identificazione. Per questi fatti, gli era stata inflitta una pena complessiva di un anno, un mese e dieci giorni di reclusione.

Il Ricorso del Procuratore e la tesi della continuazione interna

Contro questa decisione, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo la violazione dell’art. 81 del codice penale. Secondo l’accusa, il Tribunale avrebbe errato nel calcolo della pena. La condotta di resistenza, essendo stata rivolta contro più pubblici ufficiali, avrebbe dovuto configurare una continuazione interna al reato. Questo significa che, pur trattandosi di un unico reato di resistenza, la pluralità di soggetti passivi (gli agenti) avrebbe dovuto comportare un aumento di pena, come stabilito da un precedente intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (sent. Apolloni, n. 40981/2018).

È interessante notare la via procedurale scelta dal Procuratore: un ricorso diretto in Cassazione. Questa scelta è stata obbligata, poiché la legge non consente al pubblico ministero di appellare sentenze di condanna se non in casi specifici (ad esempio, se viene modificato il titolo del reato), che non si erano verificati in questa circostanza.

La Decisione della Corte: Il Ricorso è Infondato

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha rigettato, ritenendolo basato su un motivo di censura infondato. La Corte Suprema ha quindi confermato la legittimità della pena applicata dal Tribunale di Brescia, senza entrare nel dettaglio delle ragioni che hanno portato a questa conclusione nel testo della sentenza.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza è estremamente sintetica e si limita a qualificare come ‘infondato’ il motivo di ricorso. Pur non esplicitando un’argomentazione complessa, la decisione della Corte implicitamente stabilisce che la valutazione del giudice di primo grado sulla pena era corretta. Il rigetto suggerisce che, nel caso specifico, non sussistessero i presupposti per applicare obbligatoriamente l’aumento di pena per la continuazione interna. La Corte ha, di fatto, ritenuto che la pena irrogata dal Tribunale fosse legale e adeguata alla gravità dei fatti, anche in presenza di una condotta oppositiva verso più agenti. La decisione rafforza il principio secondo cui l’applicazione degli aumenti di pena rimane soggetta alla valutazione discrezionale del giudice di merito, che deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Conclusioni

La sentenza in esame, pur nella sua brevità, ribadisce un punto fondamentale: la configurabilità della continuazione interna e il conseguente aumento di pena non sono un automatismo. Sebbene la giurisprudenza delle Sezioni Unite abbia chiarito che la resistenza a più ufficiali costituisce un’ipotesi di reato unico con plurime violazioni, la determinazione concreta della sanzione spetta al giudice di merito. La decisione della Cassazione di rigettare il ricorso del Procuratore conferma la validità della pena stabilita in primo grado, sottolineando che non ogni pluralità di soggetti passivi deve necessariamente tradursi in un aggravamento della sanzione, se il giudice ritiene la pena base già congrua a punire l’intero fatto.

Quando si configura una ‘continuazione interna’ nel reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Si configura quando la condotta di violenza o minaccia, che costituisce il reato, viene posta in essere nei confronti di più pubblici ufficiali contemporaneamente. Secondo la giurisprudenza, questo non dà vita a più reati distinti, ma a un unico reato con plurime violazioni della stessa norma.

Perché il Procuratore Generale ha proposto ricorso per cassazione invece di un appello ordinario?
Il Procuratore ha utilizzato il ricorso per cassazione perché la legge (art. 593, comma 1, cod. proc. pen.) non gli consentiva di appellare la sentenza di primo grado. L’appello del PM contro le sentenze di condanna è possibile solo in casi limitati, come la modifica del titolo del reato, che non si erano verificati in questa fattispecie.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione sul ricorso?
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale, giudicandolo infondato. Di conseguenza, la pena stabilita dal Tribunale di Brescia è stata confermata come legittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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