Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3396 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3396 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a FORLI’ il 10/05/1958 NOME nato a FORLI il 14/02/1957
avverso la sentenza del 03/05/2024 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi;
udito i difensori:
l’avvocato NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; l’avvocato NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; l’avvocato COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 maggio 2018, il Tribunale di Forlì aveva giudicato NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione a svariate fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale, come rispettivamente ascritte agli stessi, e li aveva ritenuti responsabili dei seguenti reati, condannando:
NOME COGNOME per i reati di cui ai capi A), L) e O), avvinti in continuazione esclusa la recidiva contestata, alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione, oltre che al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite Fallimento RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con liquidazione rimessa al giudice civile, e al pagamento di provvisionale globalmente pari a euro 30.000,00;
NOME COGNOME per i reati a lui ascritti ai capi A), D), E), F), J), K), L), O), (limitatamente all’episodio relativo all’anno 2005), Q), S), U), V), nonché per gli ulteriori reati di cui ai capi A), B) e C) relativi al procedimento concernente fallimento di RAGIONE_SOCIALE, reati avvinti in continuazione, esclusa la recid contestata, alla pena di anni cinque, mesi sei di reclusione, oltre che al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite Fallimento RAGIONE_SOCIALE, Fallimento A4 RAGIONE_SOCIALE, Fallimento RAGIONE_SOCIALE, Fallimento RAGIONE_SOCIALE e Fallimento RAGIONE_SOCIALE con liquidazione rimessa al giudice civile, e al pagamento di provvisionale globalmente pari a euro 100.000,00.
Il Tribunale aveva, inoltre, applicato a entrambi gli imputati le pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e succ. modd. (legge fall.) per la durata di anni dieci e aveva dichiarato i due imputati interdetti dai pubblici uffici, NOME COGNOME per la durata anni cinque e NOME COGNOME in perpetuo.
Per il resto, il Tribunale aveva assolto i due imputati da tutti gli ulteriori re loro ascritti (nonché aveva assolto il coimputato NOME COGNOME), salva la declaratoria di non doversi procedere determinata dall’estinzione del reato per prescrizione, emessa nei confronti di NOME in ordine all’imputazione sub G).
1.1. Impugnata questa decisione da COGNOME e COGNOME, la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 7 ottobre 2021, aveva provveduto alla sua parziale riforma:
nei confronti di NOME COGNOME dichiarando di non doversi procedere in relazione ai reati di cui ai capi E) e a quelli relativi al fallimento di RAGIONE_SOCIALE, di cui ai corrispondenti capi A), B), C), perché estinti per prescrizion nonché, ritenendo contestata in fatto la circostanza aggravante di cui all’art. 219 legge fall., inerente alla pluralità di bancarotte all’interno della medTima
procedura fallimentare, e rideterminando la pena inflitta all’imputato in quella di anni quattro, mesi sei di reclusione;
nei confronti di NOME COGNOME rideterminando la pena a lui irrogata in quella di anni tre, mesi quattro di reclusione.
La Corte di appello, inoltre, aveva ridotto per entrambi gli imputati la durata delle pene accessorie ex art. 216, quinto comma, legge fall. a quella di anni quattro e aveva confermato nel resto l’impugnata sentenza.
1.2. Avverso detta pronuncia avevano proposto ricorso per cassazione i difensori di entrambi gli imputati.
La Corte di cassazione (Sez. 5, n. 7392 del 30/1172022, dep. 2023), aveva accolto le impugnazioni, limitatamente ai reati di cui ai capi A), J), K), S) nonché in riferimento al trattamento sanzionatorio e alle statuizioni civili, con conseguente annullamento della sentenza di secondo grado in relazione ai suddetti reati, mentre aveva dichiarato i ricorsi inammissibili nel resto.
Nella corrispondente motivazione, si era dato, inoltre, atto che le specifiche questioni sollevate dai ricorrenti in merito al trattamento sanzionatorio erano da considerarsi assorbite, mentre era stata accolta la doglianza relativa alle statuizioni civili relative alle posizioni di due Fallimenti dandosi atto che per RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE risultav essere intervenuta la revoca della costituzione di parte civile.
1.3. A seguito di detto annullamento, la Corte di appello di Bologna, svolto il giudizio di rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, emessa il 3 maggio 2024, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado e per l’effetto:
ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati rispettivamente ascritti a NOME COGNOME e NOME COGNOME ai capi A) e S), perché estinti per prescrizione;
ha assolto NOME COGNOME dal reato a lui ascritto al capo K) (bancarotta per distrazione ai danni della LLB s.r.I.) perché il fatto non sussiste;
ha confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Forlì nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di cui al capo J) (bancarotta documentale ai danni della RAGIONE_SOCIALE);
ha rideterminato la pena complessivamente inflitta a NOME COGNOME in quella di anni tre, mesi due di reclusione e la pena complessivamente inflitta ad NOME COGNOME in quella di anni quattro, mesi quattro di reclusione;
ha ridotto per entrambi gli imputati la durata della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ad anni tre;
ha stabilito per entrambi gli imputati la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque;
ha revocato nei confronti di COGNOME la condanna al risarcimento del danno e al
pagamento di provvisionale, nonché la condanna alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute in primo grado dalle parti civili Fallimento RAGIONE_SOCIALE e Fallimento RAGIONE_SOCIALE;
ha revocato nei confronti di Creta la condanna al risarcimento del danno e al pagamento di provvisionale in favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché la condanna alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute in primo grado dalle già menzionate parti civili;
ha confermato nei confronti di Creta la condanna al risarcimento del danno da liquidare in sede civile – in favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché al pagamento di provvisionale in favore di dette parti civili quantificato in euro 20.000 ciascuna, rideterminando l’importo liquidato al titolo di rifusione delle spese di costituzione giudizio sostenute i primo grado da RAGIONE_SOCIALE in euro 3.000,00 oltre accessori di legge;
ha confermato nel resto la pronuncia di primo grado.
Avverso tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME chiedendone l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale, in riferimento agli artt. 624 e 627 cod. proc. pen.
La difesa segnala, in particolare, la mancata valutazione, da parte della Corte di cassazione, della doglianza riguardante la carenza di motivazione in ordine all’attendibilità dei testimoni COGNOME e COGNOME circa il ruol amministratore di fatto dell’imputato, relativamente al capo di imputazione L), inerente alla bancarotta documentale della RAGIONE_SOCIALE, ascritta a COGNOME quale amministratore di fatto e a Creta quale amministratore di diritto: si sostiene, in particolare, che nella decisione in esame ha ricevuto considerazione soltanto il corrispondente motivo formulato dalla difesa del coimputato Creta, come dovrebbe evincersi anche dall’uso dell’espressione “ricorso” al singolare da parte dei giudici di legittimità.
Tale censura, avanzata anche nella memoria difensiva presentata in sede di rinvio, è stata respinta dalla Corte bolognese, che ha sostenuto la tesi secondo cui sul reato di cui al capo di imputazione L) si era formato il giudicato, a seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione per tutti i reati diversi da quelli per i quali era stato pronunciato l’annullamento: tuttavia, ragionando in questo modo – sostiene la difesa – la Corte territoriale è incorsa in un chiaro errore di valutazione, poiché tra i motivi dei ricorsi per cassazione dichiarati inammissibili non poteva ritenersi compreso quello non esaminto dai
giudici di legittimità.
In effetti, la mancata valutazione da parte della Corte di cassazione del motivo proposto da COGNOME aveva impedito la formazione del giudicato in merito al reato di cui capo L), ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., in assenza di una pronuncia sullo stesso in termini di inammissibilità, rigetto o accoglimento, con conseguente impossibilità del corretto svolgimento del giudizio di rinvio ex art. 627 cod. proc. pen.
2.2. Il secondo motivo denuncia l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale per violazione degli artt. 157, 160 e 161 cod. pen., in relazione all’art. 81 cod. pen., con riferimento al reato di cui al capo O), relativo al bancarotta documentale della RAGIONE_SOCIALE
Si lamenta, più specificamente, la mancata declaratoria di non doversi procedere per l’estinzione, determinata da prescrizione, del reato di cui al capo O), pur sollecitata già nel corso della memoria difensiva depositata in vista del giudizio di rinvio: infatti, a seguito della prescrizione del reato più grave (cap A), accertata dalla Corte di appello di Bologna nel giudizio di rinvio, anche il reato satellite sub O) avrebbe dovuto essere dichiarato prescritto, in virtù della continuazione tra i reati ex art. 81 cod. pen. già riconosciuta dal giudice di primo grado.
La difesa sostiene che la dichiarazione di inammissibilità del motivo di ricorso relativo reato di cui al capo O), emessa dalla Corte di cassazione nella sentenza di parziale annullamento, non incide sulla maturazione del termine prescrizionale, che ha continuato a decorrere, proprio in ragione del vincolo della continuazione, la quale crea un’unità giuridica tra i reati, a mente del corrispondente indirizzo ermeneutico a cui il ricorrente presta adesione.
La difesa di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna formulando tre motivi.
3.1. Il primo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la nullità della sentenza per difetto di contestazione quanto alla sussistenza del reato previsto al capo 3), attinente alla bancarotta fraudolenta documentale della RAGIONE_SOCIALE
Si sostiene, in particolare, che la Corte di cassazione, nell’annullare la precedente sentenza, aveva evidenziato la mancanza di adeguata considerazione del dolo specifico richiesto per il reato di bancarotta fraudolenta documentale nell’analisi compiuta dalla Corte di appello, la quale aveva omesso di prendere in esame le dichiarazioni della curatrice fallimentare sulla ricostruzione delle operazioni contabili basata sul libro giornale, punto peraltro oggetto di precisa
doglianza con i motivi di appello: nella sentenza la deduzione difensiva sarebbe stata affrontata, ma traendone conclusioni viziate, conducenti alla conferma della sussistenza della bancarotta fraudolenta documentale, basata sul convincimento che il dolo specifico sia correttamente desumibile dalla mancata tenuta e dalla parziale falsificazione della contabilità interna, volte a procurare un ingiusto profitto agli amministratori della società.
Tuttavia – obietta il ricorrente – non vengono indicati con precisione i libri le scritture contabili sottratti o distrutti, né viene spiegata la loro rilevanza realizzare l’ingiusto profitto o il danno ai creditori, e si discorre genericamente omessa tenuta della contabilità interna, valorizzando, ai fini dell’integrazione del delitto contestato, operazioni patrimoniali (come la vendita dei beni societari e i rimborsi ai soci) ritenute di mala gestio o comunque depauperative delle risorse societarie, pur essendo, le stesse, documentate nel libro giornale e non occultate nelle scritture contabili: ciò ha reso illogica l’affermazione che tali condot costituiscono elementi di bancarotta fraudolenta documentale: così, la Corte territoriale ha richiamato la vendita, nel 2005, di quasi tutti i beni socia considerandola un’operazione simulata e fraudolenta volta a sottrarre i beni ai creditori, ma tale vendita risulta ricostruita proprio sulla base del libro giornal come è stato riconosciuto dalla stessa Corte di merito, sicché l’operazione appare inidonea a corroborare l’accertamento della bancarotta fraudolenta documentale.
Lo stesso, si aggiunge, vale per i rimborsi ai soci, dai giudici del merito considerati illegittimi, ma non occultati nei libri contabili.
Inoltre, la Corte di appello ha fatto riferimento ad alcune operazioni di pagamento ritenute ingiustificate, ma anche in questo caso non è indicata l’omessa registrazione di tali operazioni nel libro giornale; al contrario, l motivazione evidenzia che il libro giornale riportava i saldi negativi di cassa, rendendo logico presumere che tali pagamenti fossero effettivamente registrati.
Un altro snodo problematico riguarda la mancata indicazione di eventuali registrazioni contabili, successivamente sottratte o distrutte, relative a una falsa dichiarazione di pagamento da parte di una società immobiliare: fatto che la Corte distrettuale menziona, ma non collega a prove di manipolazione contabile.
La Corte di appello, secondo la difesa, ha confuso fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, peraltro oggetto di assoluzione in primo grado, con alcuni fatti generici, posti a sostegno della bancarotta fraudolenta documentale, commettendo un errore di diritto nella qualificazione del reato e facendo affidamento su una motivazione viziata da erronea applicazione della legge penale in punto di qualificazione del fatto, mancante in parti rilevanti e contraddittoria, laddove viene richiamata la falsificazione parziale della contabilità, estranea all’imputazione, che menziona solo lacuna, l’assenza, la
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sottrazione o la distruzione delle scritture e dei libri sociali.
In tale prospettiva, si segnala la totale mancanza di accenni alla falsificazione della contabilità in relazione dal fallimento della società RAGIONE_SOCIALE d cui al capo J), pure nella sentenza del Tribunale di Forlì e in quella della Corte di appello di Bologna, parzialmente annullata, mentre soltanto nella decisione resa all’esito del rescissorio si assume la corrispondente bancarotta documentale.
3.2. Con il secondo motivo si evidenzia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto al confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello, discostandosi dalla motivazione della sentenza parzialmente annullata, ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione della gravità delle condotte e dell’intensità del dolo dell’imputato, desumibili dall’esistenza del cosiddetto “sistema Creta”, descritto come un meccanismo volto alla spoliazione delle società prima di lasciarle fallire: la difesa sostiene, tuttavia, che il “sistema Creta” allude a una costruzione priva di riscontri effettivi nel quadro probatorio, in quanto i casi di bancarott analizzati riguardano condotte assai diverse tra loro, che hanno portato a decisioni giudiziarie differenziate, sia per la rilevanza penale che per le ulterior sfere di responsabilità: la Corte di merito si sarebbe, dunque, basata su un presupposto infondato, rendendo una motivazione apparente manifestamente illogica.
Inoltre, la motivazione è censurata come contraddittoria nella parte in cui la Corte del rinvio, pur avendo annesso all’attivazione dell’imputato il ruolo di fattore rilevante per la determinazione della pena base e dell’aumento per la continuazione, non ha poi ritenuto di applicare lo stesso criterio di valutazione in tema di riconoscimento delle attenuanti generiche: invece, i parametri indicati nell’art. 133 cod. pen. per la determinazione della pena avrebbero dovuto essere utilizzati anche per il riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen.
3.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta l’erronea applicazione della legge penale e la violazione del divieto di reformatio in peius in ordine all’aumento di pena operato per la continuazione.
La Corte territoriale, pur avendo corretto la violazione del divieto di reformatio in peius presente nella sentenza pronunciata in esito al primo giudizio di appello, è incorsa a sua volta, secondo la difesa, in una duplice violazione della norma, sostanziale e processuale: considerato che i reati di cui ai capi D) ed F) riguardano il fallimento della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, mentre i reati di cui a capi O), P) e Q) si riferiscono al fallimento della RAGIONE_SOCIALE.IRAGIONE_SOCIALE, ne rispetto dell’art. 219, secondo comma, legge fall., trattandosi di un unico reato
per ogni fallimento, la Corte avrebbe dovuto applicare un solo aumento di pena per ciascun gruppo di imputazioni, invece di aumentare la pena per ogni singolo capo.
L’aumento complessivo della pena per la continuazione, pari a un anno e due mesi, avrebbe dunque superato quello stabilito nella sentenza di appello annullata, che era di un anno, determinando anche sotto questo profilo la violazione del divieto di reformatio in peius, che impedisce di aggravare la pena dell’imputato dopo un annullamento parziale della sentenza.
Il Procuratore Generale, con la requisitoria rassegnata nel corso della discussione orale, ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi ritenendo tutte le censure articolate manifestamente infondate.
Le difese hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato limitatamente alla questione oggetto del terzo motivo, essendo la sua impugnazione complessivamente da rigettarsi nel resto, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso di NOME COGNOME per le ragioni che si espongono di seguito.
Per quanto attiene alla doglianza veicolata con il primo motivo di ricorso di COGNOME, si osserva che il delitto sub L) non è stato investito dall’annullamento della Corte di legittimità. Per esso, invece, è stata emessa pronuncia di inammissibilità: quindi, il rinvio non afferisce a quella parte della regiudicanda, ormai definita.
2.1. Una volta appurato ciò, la deduzione inerente alla lamentata obliterazione della doglianza da parte della Corte di cassazione non poteva essere prospettata in sede rescissoria e, di conseguenza, non può essere avanzata con il ricorso oggetto dell’attuale delibazione.
Tale interpretazione è coerente con la costante linea ermeneutica in virtù della quale si è ripetutamente affermato che, nel giudizio di rinvio, atteso il disposto dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., è precluso il rilievo di ogni nullità, anche assoluta, verificatesi nei precedenti giudizi, ivi compreso quello di legittimità (Sez. 1, n. 12320 del 12/07/2016, COGNOME e altri, Rv. 270054 – 01; Sez. 1, n. 1595 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261979 – 01; Sez. 6, n. 53415 del 22/10/2014, COGNOME, Rv. 261836 – 01).
Tale regola preclusiva è una diretta conseguenza del principio generale operativo salvo il caso di errore materiale o di fatto, emendabile con il rimedio
straordinario previsto all’art. 625-bis cod. proc. pen. – dell’inoppugnabilità dell sentenze rese dal giudice di legittimità, che coprono il dedotto e il deducibile e, dunque, dell’implicita decisione negativa sulla sussistenza della nullità o dell’inammissibilità.
Questo principio, espressivo dell’esigenza di certezza circa i rapporti giuridici controversi, costituzionalmente protetta in quanto direttamente collegabile alla effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, è stato riaffermato anche giudice delle leggi che, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen. in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, e art. 112 Cost., nella parte in cui impedisce di rilevare nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute verificatesi in precedenti fasi o gradi del giudizio, ha sostenuto che «la norma denunciata risulta pienamente rispondente all’obiettivo di evitare la perpetuazione dei giudizi, che costituisce un interesse fondamentale dell’ordinamento e che risponde alla logica che ispira il sistema delle impugnazioni ordinarie rispetto alla quale è incompatibile un controllo del giudice del rinvio circa la sussistenza o meno di vizi in procedendo nella fase del giudizio svoltasi dinanzi alla Corte di cassazione» e che «è connaturale al sistema delle impugnazioni ordinarie che vi sia una pronuncia terminale – identificabile positivamente in quella della Cassazione per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione (art. 111, comma 7) – la quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche controverse e che, quindi, non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso» (C. Cost., ord., n. 501 del 17/11/2000).
2.2. Da ciò discende che, anche ammettendo in linea astratta un’omissione motivazionale da parte dei giudici di legittimità, tale vizio, coperto dal giudicat della stessa sentenza di annullamento della Corte di cassazione, sarebbe stato deducibile solo col rimedio del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., che non risulta tuttavia proposto dal ricorrente.
Assodato quanto precede, soltanto per completezza argomentativa si evidenzia che – contrariamente alla prospettazione posta a base del vizio motivazionale ventilato dalla difesa – il reato di cui al capo L) à stato oggetto d trattazione espressa da parte della Corte di legittimità, che ha effettuato l’analisi delle doglianze a esso riferite in modo sostanzialmente omnicomprensivo, a fronte delle impugnazioni dei due ricorrenti, ritenendo in particolare non censurabile il ragionamento del giudice del merito nella parte in cui aveva accertata la funzione di amministratore di fatto svolta da COGNOME nella società, anche sulla scorta delle deposizioni assunte, fra le quali quella di COGNOME: e in t
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senso era da leggersi il riferimento, operato nel ragionamento decisorio, alla testimonianza – ribadita, dunque, come rilevante – di COGNOME, la valutazione della cui attendibilità era stata criticata proprio da COGNOME.
2.3. Conclusivamente, l’inammissibilità dichiarata dalla Corte di cassazione preclude ulteriori valutazioni su quel motivo, avendo consolidato la decisione su quei punti.
La Corte di appello in sede di rinvio ha agito rettamente, senza riconsiderare i motivi già coperti dal giudicato: essa, infatti, doveva attenersi rigorosamente al principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente e limitarsi a esaminare i motivi per cui era stato disposto l’annullamento per i capi dallo stesso attinti.
Il ricorrente non poteva, né può far valere in questa la pretesa violazione di legge in relazione a un capo per il quale la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile la sua impugnazione definendo la corrispondente regiudicanda.
In forza dei principi evidenziati, il motivo è, quindi, inammissibile, poiché l relative censure sono tese a denunciare un vizio non scrutinabile in questa sede.
Parimenti inammissibile si appalesa il secondo motivo con cui il ricorrente ha denunciato la mancata declaratoria di non doversi procedere per l’estinzione per prescrizione del reato di cui al capo O).
3.1. Il giudice del rinvio ha esplicitamente affrontato la questione di prescrizione sollevata dalla difesa di COGNOME nella memoria difensiva, ma ha correttamente ritenuto di non poterla accogliere, in quanto con la sentenza di legittimità – che aveva annullato solo parzialmente la decisione di appello – era divenuto ormai definitivo l’accertamento della responsabilità dell’imputato, ex art. 624 cod. proc. pen., con riferimento a quel reato, rubricato sub O).
Il fatto che i capi di imputazione A) e O) siano stati unificati dal vincolo dell continuazione ex art. 81 cod. pen. e che per il capo A) sia intervenuto l’annullamento con rinvio da parte del giudice di legittimità non vale a intaccare il giudicato formatosi per effetto dell’accertamento del reato sub O).
Deve, infatti, trovare applicazione il principio di diritto secondo il quale, caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizion maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966 – 01; Sez. 3, n. 26807 del 16/03/2023, COGNOME, Rv.
284783 – 01; Sez. 3, n. 20525 del 13/04/2022, Komarov, Rv. 283269 – 01).
Le deduzioni del ricorrente non scalfiscono in alcuna misura l’esattezza del rilievo richiamato, posto che la sentenza di legittimità ha effettivamente annullato la decisione impugnata solamente in punto di responsabilità per i delitti di cui ai capi A), 3), K) e S) e di relativa determinazione della pena, dichiarando inammissibile nel resto il ricorso: ed è da ribadire allora che, secondo il consolidato insegnamento (così già Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640 – 01), cui si intende dare senz’altro continuità (fra le successive, Sez. 5, n. 51098 del 19/09/2019, M., Rv. 278050 – 01), il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità penale impedisce la declaratoria di causa estintive sopravvenute e, quindi, anche quella di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia di annullamento parziale.
3.2. Tali rilievi conducono all’inammissibilità anche del secondo motivo.
Il primo motivo del ricorso proposto da Creta è infondato.
4.1. L’annullamento della statuizione relativa al capo 3), inerente alla corrispondente bancarotta fraudolenta documentale, era stato determinato dal rilievo di carente motivazione in merito alla qualificazione della condotta, giacché all’omissione della tenuta della contabilità occorreva far seguire la dimostrazione del dolo specifico dell’agente, e alle deduzioni difensive circa il senso, prospettato come escludente l’ipotesi di reato, della deposizione della curatrice.
La Corte di appello ha reso una nuova e articolata motivazione, in primo luogo, sui temi devoluti dalla sede rescindente.
L’interpretazione di legittimità ha da tempo chiarito che, in tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specific quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611 – 01) e che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 – 01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915 – 01).
Orbene, la Corte di appello, investita del rinnovato onere motivazionale, a seguito del rinvio operato dai giudici di legittimità, in primis in ordine all’esatta qualificazione della condotta serbata dall’imputato in relazione al delitto di cui al
capo 3), ha fatto ineccepibile applicazione di tali principi, seguendo un percorso argomentativo che ha tratto spunto dalle evidenze probatorie, le quali sono state analizzate in relazione alle obiezioni difensive ed esaminate con scrupolo e completezza: infine, le censure formulate nell’interesse di Creta sono state disattese sulla scorta di considerazioni esenti da qualsivoglia deficit razionale.
I giudici del rescissorio, sul punto, hanno ritenuto che gli atti posti in essere da Creta, in qualità di amministratore di fatto e socio, in riferimento alle vicende che hanno riguardato il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE non potessero ricondursi alla mera bancarotta semplice, essendovi chiari e irrefutabili indici rivelatori della natura specifica del dolo inerente alla bancarott documentale.
In tal senso, dando compiuto seguito al mandato rescindente, sono state valutate e valorizzate le dichiarazioni effettuate in merito alla contabilità social dalla curatrice fallimentare NOME COGNOME la quale, basandosi sull’effettuata analisi delle annotazioni poste nel libro giornale, aveva dato atto contrariamente a quanto la difesa sostiene – di non essere riuscita a ricostruire integralmente le operazioni societarie, per via della profonda lacunosità e dell’inattendibilità della documentazione contabile disponibile.
Si è, dai giudici del rescissorio, tenuto conto di quanto la curatrice aveva esposto, sia in udienza, sia nella relazione rassegnata ex art. 33 legge fall., nonché della rilevazione di numerosi pagamenti per cassa senza giustificazione causale, di diversi rimborsi ai soci risultati illegittimi e fraudole dell’accertamento di dichiarazioni false e operazioni simulate.
La Corte di merito ha inoltre considerato che si erano registrate la mancata consegna, da parte dell’imputato, in diverse annualità, di numerosi documenti, l’omissione degli adempimenti in materia di dichiarazione dei redditi e di IVA e soprattutto l’assenza di tutta la contabilità dal 2008 al 2012: quindi, la radicale eradicazione di ogni riscontro contabile per una serie cruciale di annualità, fino all’anno in cui si è avuta la sentenza dichiarativa di fallimento della società; dato – quest’ultimo – che il ricorrente pare avere omesso di considerare e che, invece, nella prospettiva valutativa congruamente espressa dalla Corte di appello, è stato adeguatamente ponderato nel senso inequivocabile di un’omissione consapevole e intenzionale da parte dell’imputato, in vista dello scopo di non consentire la ricostruzione degli affari e del patrimonio della società in liquidazione, di poi fallita.
Ciò precisato, si ricorda che, nella bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne
caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, il quale può essere ricostruito sull’attitudine del dato a far emergere la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Muovendo dalla carenza del discorso giustificativo registrato dalla sentenza rescindente con precipuo riferimento alla qualificazione e all’elemento soggettivo della bancarotta documentale, la Corte territoriale, lungi dal limitarsi a fornir una motivazione di stile, dopo aver riesaminato gli elementi caratterizzanti della fattispecie concreta, ha ritenuto in modo argomentato il comportamento dell’imputato grave e indicativo, in guisa tale che l’unico scopo che lo aveva originato era stato quello di occultare le condizioni effettive della società privando la curatela della possibilità di esaminare compiutamente la documentazione contabile e impedendo, pertanto, l’ordinata ricostruzione degli affari e della situazione patrimoniale sociale. E ciò era avvenuto, secondo la persuasiva analisi dei giudici del rescissorio, al precipuo fine di procurare un ingiusto profitto in favore suo e dell’amministratrice di diritto NOME COGNOME nonché di arrecare pregiudizio ai creditori, con il richiesto dolo specifico.
In questa prospettiva, il vulnus rilevato nella decisione annullata è stato adeguatamente colmato dalla Corte territoriale, avendo essa fornito una spiegazione congrua e conforme a logica, come tale idonea a supportare il giudizio di responsabilità di Creta in ordine al delitto sub J), nel solco tracciato dalla Corte di cassazione e dei principi che governano la disciplina applicata.
4.2. Per questi motivi la doglianza va disattesa.
Non meritano considerazione le questioni dedotte con il secondo motivo, in ordine al confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
5.1. Tale approdo decisorio risulta sorretto da una motivazione congrua ed esente da illogicità la quale, condividendo integralmente la valutazione effettuata sul punto dal giudice di primo grado, ha ritenuto che l’intensità del dolo e la rilevante gravità delle condotte, realizzate attraverso la strumentalizzazione di numerose società e con modalità fraudolente e distrattive, peraltro protrattesi per svariati anni, non potessero in alcun modo consentire il riconoscimento di queste attenuanti: ciò si pone in perfetta consonanza con il principio secondo cui, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento a q ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02), e che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a fortiori dopo la riforma dell’art. 62-bis cod. pen (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
5.2. La sentenza impugnata ha applicato correttamente tali principi fornendo una motivazione precisa ed esaustiva, che il ricorrente si è limitato a confutare genericamente, senza apportare alcuna compiuta argomentazione di contrasto logico-giuridico del discorso giustificativo offerto nella sentenza: questi rilie impongono di considerare la doglianza meramente rivalutativa e, come tale, inidonea a superare il vaglio di ammissibilità.
Con il terzo motivo, relativo alla violazione della norma sulla continuazione fallimentare e del divieto di reformatio in peius, il ricorrente ha svolto una censura che si rivela fondata e rilevante, siccome tale da determinare effetti tangibili sull’individuazione del corretto trattamento sanzionatorio.
6.1. Nel calcolo della pena articolato nella sentenza qui impugnata, la Corte territoriale ha individuato il reato più grave in quello contestato al capo V), fissando la pena base in anni tre di reclusione, che aveva successivamente aumentato, in primo luogo, per effetto della continuazione ex art. 219 legge fall., nella misura di mesi due per il delitto sub U).
Questa statuizione è stata adottata sulla scorta della considerazione che entrambi i reati, rubricati rispettivamente nei due indicati capi, inerivano all medesima procedura fallimentare, riguardante la MPA Immobiliare s.r.I., e, in secondo luogo, per effetto della continuazione ex art. 81 cod. pen., nella misura – pari a quella prevista dal giudice di primo grado, ritenuta adeguata – di mesi due per ciascuno degli ulteriori sette capi di imputazione, ovvero capi D), F), 3), L), O), P) e Q), pervenendo così a una pena principale complessiva pari ad anni quattro, mesi quattro di reclusione.
6.2. Il giudice del rescissorio, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio a seguito del giudizio di rinvio, ha dunque applicato un aumento di pena di due mesi per ciascun reato di bancarotta fraudolenta, senza considerare che alcune imputazioni poste in continuazione ex art. 81 cod. pen. riguardavano il medesimo fallimento e dunque avrebbero richiesto l’applicazione di un solo aumento di pena, per effetto della continuazione fallimentare: il principio era da applicarsi con riferimento ai i capi D) e F), relativi a reati entrambi afferenti fallimento della RAGIONE_SOCIALE e ai capi O), P) e Q), relativi a reati t consumati nell’ambito del fallimento della RAGIONE_SOCIALE
Il criterio della continuazione fallimentare – che pure la Corte del rescissorio ha applicato, ma solo per i reati inerenti al fallimento della RAGIONE_SOCIALE – si fonda sulla natura unitaria del reato fallimentare riconosciuta
dall’ordinamento, che considera il fallimento come un unico evento giuridicocriminale, anche quando comprende una pluralità di condotte penalmente rilevanti, ed è stato ribadito anche in sede di legittimità quando si è affermato che la circostanza aggravante di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1, legge fall., è applicabile qualora una pluralità di fatti di bancarotta sia contesta nell’ambito della stessa procedura concorsuale, potendo invece trovare applicazione l’istituto della continuazione in caso di concorso di reati di bancarotta relativi a procedure concorsuali diverse (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 2009, COGNOME e altri, Rv. 242547 – 01), con la specificazione che, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo a un concorso di reati, poi unificati, ma ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, secondo comma, n. 1, legge fall. La disposizione, pertanto, non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione, derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249665 – 01; fra le successive, Sez. 5, n. 44097 del 05/07/2019, COGNOME, Rv. 277407 – 01).
6.3. Orbene, la mancata estensione, a fronte della complessiva doglianza svolta della parte interessata, dell’art. 219, secondo comma, n. 1, legge fall. già correttamente applicato in relazione ai capi U) e V) in quanto riferibili all medesima procedura fallimentare – agli altri gruppi di reati pertinenti ai singoli fallimenti ha generato un errore nella determinazione della pena, che ha previsto l’applicazione di sette aumenti distinti per ciascun capo di imputazione, in luogo dei quattro correttamente irrogabili, ove si fosse computato l’incremento di pena, per la continuazione fallimentare, una sola volta, nella rispettiva interezza, anche per i fallimenti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Consegue che la statuizione relativa al trattamento sanzionatorio, in corrispondente accoglimento del terzo motivo, deve essere annullata nella parte in cui per i reati commessi con riferimento alla medesima procedura fallimentare, inerente in particolare ai fallimenti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, si è conformata ai principi della continuazione ordinaria, anziché della continuazione fallimentare, come regolata dall’art. 219 cit.
L’annullamento, per la parte che rileva, può essere pronunciato senza rinvio. Invero, occorre ricalcolare, alla stregua dell’enucleato principio, il complessivo aumento per la continuazione fissato dalla Corte del rinvio: e tale nuovo computo determina, sulla scorta di una valutazione che si appalesa conseguente all’accertamento di fatto compiuto in sede di merito, l’aumento a titolo di continuazione nella misura di complessivi mesi dieci di reclusione. Ciò conduce,
alla rideterminazione della pena finale in quella di anni tre, mesi dieci di reclusione.
Infatti, per i reati relativi ai due suddetti fallimenti, gli aumenti di p come per gli altri reati facenti capo alla medesima procedura fallimentare, devono essere quantificati in mesi due di reclusione per ciascuna procedura (con conseguente elisione dei tre ulteriori aumenti di mesi due di reclusioni ciascuno, computati in eccedenza). E a tale riduzione si procede direttamente in questa sede, sulla scorta degli accertamenti di fatto già compiuti nella sede di merito, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. 0, cod. proc. pen. (novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che attribuisce alla Corte di cassazione il potere di statuire – contestualmente all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata rideterminando, anche all’esito di valutazioni discrezionali, la pena sulla base di una semplice operazione aritmetica che non richiede ulteriori accertamenti in fatto: Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271831 – 01).
Le considerazioni svolte impongono, pertanto, di annullare senza rinvio la sentenza impugnata per la parte relativa al trattamento sanzionatorio riservato ad NOME COGNOME e scaturente dalla ritenuta continuazione, da rideterminarsi in anni tre e mesi dieci di reclusione, e di rigettare, nel resto, la sua impugnazione.
All’inammissibilità del ricorso di COGNOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni tre e mesi dieci di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di Creta.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 ottobre 2024
Il Consigliere estensore