Continuazione Esterna: Il Tempo Che Spezza il Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione esterna rappresenta una chance fondamentale per chi è stato condannato con sentenze diverse, permettendo di riconsiderare più reati come parte di un unico progetto criminale e ottenendo, di conseguenza, un trattamento sanzionatorio più favorevole. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22397/2024) ribadisce un principio cruciale: il fattore tempo può essere un ostacolo insormontabile. Vediamo perché.
I Fatti del Caso
Il caso analizzato riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato con una sentenza dalla Corte d’appello. L’imputato chiedeva il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto di quella condanna e altri fatti, per i quali era già stato giudicato con una sentenza precedente. In sostanza, sosteneva che tutte le sue azioni fossero riconducibili a un “medesimo disegno criminoso”, come previsto dall’art. 81 del codice penale.
La Corte territoriale, tuttavia, aveva respinto questa tesi, motivando la sua decisione sulla base dell’eccessivo lasso di tempo intercorso tra le diverse condotte. Insoddisfatto, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.
La Decisione della Corte sulla Continuazione Esterna
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno pienamente condiviso l’impostazione della Corte d’appello, ritenendo la sua motivazione priva di vizi logici o giuridici. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il decorso di un lungo periodo tra i reati è un elemento decisivo per escludere la programmazione unitaria che sta alla base della continuazione.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del concetto di “medesimo disegno criminoso”. Per poter applicare la continuazione esterna, non è sufficiente che i reati siano dello stesso tipo o mossi da finalità simili; è necessario dimostrare che essi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee generali, fin dall’inizio, come tappe di un unico piano.
La Corte di Cassazione chiarisce che il fattore temporale agisce come un forte indicatore contrario. Come recita un precedente richiamato nell’ordinanza (Cass. n. 34756/2012), “quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più si deve ritenere improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata”. Un intervallo temporale eccessivo rende difficile credere che i reati successivi fossero già stati pianificati al momento del primo, suggerendo piuttosto che siano frutto di decisioni estemporanee e autonome, maturate nel tempo.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica: chi intende chiedere il riconoscimento della continuazione esterna deve essere in grado di fornire prove concrete dell’esistenza di un piano unitario e originario. Il semplice collegamento logico o la somiglianza tra i reati non è sufficiente, soprattutto se questi sono separati da un notevole intervallo di tempo. La distanza temporale tra le condotte criminali crea una presunzione di fatto contraria all’unicità del disegno, un ostacolo che il ricorrente deve superare con una motivazione solida e convincente. In assenza di ciò, come nel caso di specie, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando può essere negata la continuazione esterna tra reati?
La continuazione esterna può essere negata quando intercorre un eccessivo lasso di tempo tra le condotte criminose, poiché tale circostanza rende improbabile l’esistenza di un medesimo e unitario disegno criminoso predeterminato.
Qual è il ruolo del tempo nel riconoscimento del medesimo disegno criminoso?
Il decorso del tempo è un elemento decisivo. Un ampio intervallo temporale tra i reati è considerato un forte indicatore contrario all’esistenza di una programmazione unitaria, fondamentale per il riconoscimento della continuazione.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso senza un esame del merito, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22397 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22397 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FARO NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della Corte d’appello di Catania
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, cori il quale si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione esterna con i fatti oggetto di un’altra sentenza di condanna, è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale ha escluso con motivazione esente da vizi logici e giuridici la sussistenza del medesimo disegno criminoso alla luce dell’eccessivo lasso di tempo intercorso fra le condotte in esame e quelle separatamente giudicate (si veda, in particolare, la pag. 5);
considerato che, in tema di continuazione, il decorso del tempo costituisce elemento decisivo sul quale fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod. pen., atteso che, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più si deve ritenere improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali (Sez. 4, n. 34756 del 17/05/2012, Madonia, Rv. 253664-01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 16 aprile 2024.