Continuazione Esterna: Le Regole Procedurali per la Richiesta in Appello
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su due istituti cruciali del diritto penale e processuale: le circostanze attenuanti legate alla collaborazione e la continuazione esterna. La decisione sottolinea il rigore formale richiesto dalla legge, evidenziando come l’inosservanza delle procedure possa portare all’inammissibilità di richieste potenzialmente favorevoli all’imputato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato condannato dalla Corte d’Appello per reati di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e in materia di stupefacenti. L’imputato si era rivolto alla Corte di Cassazione lamentando, in sintesi, due specifiche violazioni di legge da parte dei giudici di secondo grado.
I Motivi del Ricorso: Due Questioni Giuridiche
I motivi del ricorso si concentravano su due punti distinti:
1. Mancata applicazione dell’attenuante speciale: L’imputato sosteneva che, avendogli già riconosciuto l’attenuante per la collaborazione in ambito mafioso (ex art. 8 D.L. 152/1991), i giudici avrebbero dovuto automaticamente applicare anche l’attenuante prevista per la collaborazione nei reati di droga (ex art. 73, comma 7, D.P.R. 309/1990).
2. Richiesta di continuazione esterna: In sede di conclusioni nel giudizio d’appello, la difesa aveva chiesto l’applicazione della continuazione esterna tra i reati oggetto del processo e altri fatti, giudicati con una sentenza divenuta irrevocabile solo dopo la presentazione dell’atto di appello.
La Decisione della Corte sulla continuazione esterna e le attenuanti
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni difensive. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme procedurali e sostanziali, ribadendo principi giurisprudenziali consolidati.
Le Motivazioni: Nessun Automatismo tra Attenuanti e Rigore Procedurale
L’ordinanza ha spiegato in modo dettagliato le ragioni del rigetto.
In primo luogo, la Corte ha definito ‘generico e meramente assertivo’ il motivo relativo all’automatica applicazione dell’attenuante per i reati di droga. I giudici hanno chiarito che le due attenuanti, pur legate alla collaborazione, hanno presupposti diversi e non intercambiabili. L’attenuante ex art. 73, comma 7, richiede un ‘proficuo contributo efficace e concreto alle indagini’, un requisito più specifico e stringente rispetto al contributo probatorio sufficiente per l’attenuante ‘mafiosa’. Non sussiste, quindi, alcun automatismo tra le due norme.
In secondo luogo, e con particolare rilevanza per la prassi processuale, la Corte ha giudicato ‘manifestamente infondato’ il motivo sulla continuazione esterna. La sentenza impugnata aveva correttamente applicato la giurisprudenza di legittimità (richiamando la sentenza Sez. 2, n. 7132 del 11/01/2024), secondo cui una simile richiesta è ammissibile in appello solo a due condizioni cumulative:
1. Deve essere avanzata tramite l’istituto dei ‘motivi nuovi’ d’appello, come previsto dall’art. 585, comma 4, c.p.p.
2. Deve essere accompagnata da un’allegazione ‘precisa e completa’ delle sentenze definitive pertinenti.
Nel caso di specie, la richiesta era stata formulata solo oralmente in sede di discussione finale, senza rispettare la forma scritta e i termini previsti per i motivi nuovi, rendendola proceduralmente inammissibile.
Conclusioni: L’Importanza del Rigore Formale nel Processo Penale
Questa pronuncia della Cassazione è un monito sull’importanza del rispetto delle forme e delle procedure nel processo penale. Insegna che, anche di fronte a istituti di favore come le attenuanti o la continuazione esterna, non è possibile derogare alle regole processuali. Per i difensori, emerge la necessità di presentare le istanze nei modi e nei tempi corretti, in particolare attraverso lo strumento dei motivi nuovi quando emergono elementi rilevanti dopo la presentazione dell’appello principale. Per gli imputati, la decisione ribadisce che il successo di una linea difensiva dipende non solo dalla fondatezza nel merito, ma anche e soprattutto dalla sua corretta veicolazione processuale.
Il riconoscimento dell’attenuante per collaborazione in reati di mafia comporta automaticamente l’applicazione di quella per reati di droga?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che non esiste alcun automatismo. Le due circostanze attenuanti hanno presupposti diversi e specifici. L’attenuante per reati di droga richiede un ‘proficuo contributo efficace e concreto alle indagini’, un requisito ulteriore e diverso rispetto a quello previsto per i reati di tipo mafioso.
È possibile chiedere l’applicazione della continuazione esterna per la prima volta durante le conclusioni del giudizio di appello?
No. La sentenza stabilisce che la richiesta di applicazione della continuazione esterna con un reato giudicato con sentenza irrevocabile è ammissibile nel giudizio di appello solo se avanzata tramite l’istituto dei ‘motivi nuovi’ secondo l’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., e non semplicemente in sede di discussione finale.
Quali sono i requisiti per presentare una richiesta di continuazione esterna in appello tramite motivi nuovi?
La richiesta deve essere presentata formalmente con l’istituto dei ‘motivi nuovi’ e deve essere necessariamente accompagnata dall’allegazione precisa e completa delle sentenze definitive rilevanti per la decisione. In mancanza di questi requisiti, la richiesta è inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44469 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44469 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TORINO il 10/09/1987
avverso la sentenza del 18/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso di S. Bonanno; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti avverso la sentenza di condanna per i reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e reati in materia di stupefacenti non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità.
Generico e meramente assertivo della sussistenza di vizio di violazione di legge per la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui al comma 7, art. 73 d.P.R. 309/1990 è il primo motivo di ricorso che si muove sul piano della astratta compatibilità logica e giuridica dell’applicazione della circostanza di cui all’art. 8 d.l. 152 del 1991, effettivamente applicata all’imputato, e quella di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, viceversa denegata dalla Corte di appello. Il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata sul punto della insussistenza degli specifici requisiti (il proficuo contributo efficace concreto alle indagini) diverso e ulteriore rispetto al contributo offerto alla raccolta della prova dei reati che connota l’attenuante della collaborazione di cui all’art. 8 cit..
Ne consegue che non sussiste il preteso automatismo nell’applicazione della circostanza di cui all’art. 73, comma 7 cit. che, in quanto più favorevole, avrebbe dovuto trovare applicazione essendo già stata riconosciuta la circostanza attenuante “mafiosa”.
Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, sulla mancata applicazione della continuazione esterna tra i fatti oggetto del processo e quelli oggetto di sentenza divenuta irrevocabile dopo la prospettazione dell’appello, applicazione avanzata solo in sede di conclusioni.
La sentenza impugnata ha fatto coerente applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di giudizio di appello, la richiesta di applicazione della continuazione in relazione a reato giudicato con sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine per impugnare è ammissibile solo se avanzata con i motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen. e sempre che sia accompagnata dall’allegazione, precisa e completa, delle sentenze definitive rilevanti ai fini del decidere (Sez. 2, n. 7132 del 11/01/2024, Rv. 285991).
/ ))
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Il Consigliere relatore
Così deciso il 25 ottobre 2024