Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 889 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 889 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Terni il 17.5.1982,
COGNOME NOMECOGNOME nato a Terni il 24.6.1982, contro la sentenza della Corte di appello di Firenze del 13.12.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il GIP del Tribunale di Perugia, con sentenza del 21.2.2020, aveva riconosciuto, per quel che interessa in questa sede, NOME COGNOME responsabile dei reati di cui ai capi 1), 5), 6), 7), 8), 10), 13), 17), 19), 23), 25), 27), 30), 3 35), 38) e del delitto di cui al capo 36), riqualificato ai sensi del comma quarto dell’art. 73 del DPR 309 del 1990; NOME COGNOME responsabile dei reati di cui ai capi 1), 3), 13) e 17); riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche e ritenuto il vincolo della continuazione tra le diverse violazioni di legge, il GIP aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione e NOME COGNOME alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione, così quantificata anche all’esito della riduzione per la scelta del rito;
la Corte di appello di Perugia aveva confermato la sentenza di primo grado quanto alla posizione di NOME COGNOME; aveva invece assolto NOME COGNOME per quanto concerne i fatti di cui al capo 3) e, confermando nel resto la decisione di primo grado, aveva rideterminato la pena inflittagli in anni 4 e mesi 7 di reclusione;
contro
la sentenza della Corte perugina avevano proposto ricorso per cassazione sia il COGNOME che l’COGNOME articolando, tramite i rispettivi difensori, vari motivi: la Corte di Cassazione, con sentenza del 23.2.2022, nel disattendere tutte le altre censure, aveva annullato la sentenza impugnata nei confronti di entrambi gli odierni ricorrenti limitatamente alla omessa valutazione della continuazione tra i fatti ivi giudicati e quelli già oggetto delle sentenze del Tribunale di Terni rinviando perciò alla Corte di appello di Firenze per la valutazione sul punto;
la Corte di appello di Firenze, con sentenza del 13.12.2022, ravvisando il vincolo della continuazione tra i fatti giudicati e quelli oggetto dei procedimenti definiti dal Tribunale di Terni (con sentenze di applicazione concordata della pena n. 727 del 2018 e n. 1185 del 2018 per il COGNOME e con sentenza di applicazione concordata della pena n. 726 del 2018 per l’COGNOME), ritenendo inoltre più grave il delitto di cui al capo 1) del procedimento in corso, ha rideterminato la pena complessiva per NOME COGNOME in quella di anni 10 e mesi 10 di reclusione e, per NOME COGNOME, in quella di anni 5 di reclusione;
ricorrono nuovamente per cassazione sia il COGNOME che l’COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori che deducono:
5.1 l’Avv. NOME COGNOME, per COGNOME, violazione ed erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen., in relazione agli artt. 133 e 125 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione: rileva che, nel rideterminare la pena complessiva
all’esito della ritenuta continuazione tra tutti i reati giudicati con le divers sentenze emesse nei confronti del ricorrente, la Corte ha operato degli aumenti di pena per i reati oggetto delle due sentenze rese dal Tribunale di Terni in misura incoerente e sproporzionata rispetto alla pena stabilita per quelli giudicati nell’ultima occasione; rileva, infatti, che, con la sentenza del 2020, il COGNOME era stato condannato per una pluralità di episodi di cessione di stupefacente del tipo hashish e cocaina, intervenuti tra la fine del 2017 e la metà del 2018, sanzionato con un aumento complessivo, sul reato di cui al capo 1), per 240 giorni; segnala che le due sentenze del Tribunale di Terni avevano avuto ad oggetto cessioni di stupefacente per qualità e quantitativi simili, intervenute tra il maggio ed il giugno del 2018 e che, tuttavia, la Corte di appello ha operato un aumento di anni 2 e mesi 6 di reclusione in relazione ai quattro episodi considerati, senza giustificare la evidente disparità di trattamento tra fatti analoghi;
5.2 l’Avv. NOME COGNOME per COGNOME carenza di motivazione nella parte in cui la Corte di appello non ha motivato sulle ragioni relative alla determinazione della pena per la continuazione esterna; spiega, infatti, che, nel rideterminare la pena finale all’esito della ritenuta continuazione tra i fatti qui giudicati e quelli oggetto della sentenza del Tribunale di Terni n. 726 del 2018, ha operato un aumento, per questi ultimi, pari a mesi 6 di reclusione per il delitto di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990 e di mesi 1 per il delitto di cui all’art. 73, comma quinto, DPR 309 del 1990;
6. in data 3.8.2023 è pervenuta in Cancelleria la dichiarazione, sottoscritta dall’imputato autenticata dal difensore, con cui l’COGNOME ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile ai sensi del combinato disposto degli artt. 591, comma primo, lett. d), e 589 cod. proc. pen. avendo l’imputato, con dichiarazione ritualmente sottoscritta ed autenticata dal difensore, dichiarato di voler rinunciare al ricorso proposto nei confronti della sentenza della Corte di appello di Firenze.
Il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
In data 23.2.2022, la Corte di Cassazione, nel disattendere tutte le altre censure, aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Perugia laddove i
giudici del gravame di merito avevano ricusato di prendere in esame la richiesta difensiva di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti ivi giudicati e quelli oggetto delle sentenze del Tribunale di Terni n. 727 del 2018 e n. 1185 del 2018 rinviando, di conseguenza, alla Corte di appello di Firenze per la valutazione sul punto.
La Corte di appello di Firenze, dando séguito al rilievo operato dalla sentenza rescindente, ha ravvisato il vincolo della continuazione tra i fatti giudicati e quelli oggetto dei procedimenti definiti con le sentenze sopraindicate e, ritenendo più grave il delitto di cui al capo 1) del procedimento in corso, ha rideterminato la pena complessiva operando “… un ulteriore aumento a titolo di continuazione per i reati oggetto dei procedimenti definiti con le sentenze ex art. 444 c.p.p. nl 727 del 2018 e n. 1185 del 2018 del Tribunale di Terni … così determinato: per il reato di cui al capo c) giudicato con la sentenza n. 727 del 2018, anni uno di reclusione; per il reato di cui al capo d) della stessa sentenza, mesi sei di reclusione; per il reato di cui al capo e) della stesse sentenza, mesi sei di reclusione; per il reato di cui alla sentenza n. 1185 del 2018, mesi tre di reclusione” (cfr., pagg. 10-11 della sentenza in verifica).
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione lamentando la “sproporzione” tra gli aumenti operati tra il delitto di cui al capo 1) e gli episodi di cessione contestati e ritenuti nella sentenza del GIP del Tribunale di Perugia e quelli operati a titolo di continuazione “esterna” con le due sentenze del Tribunale di Perugia.
2.1 E’ assolutamente consolidato il principio secondo il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.”, realizza una motivazione idonea a dar conto dell’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, è pacifico che l’obbligo di motivazione in ordine alla congruità della pena tanto più si attenua quanto più quella in concreto irrogata si avvicina al minimo edittale (cfr., in tal senso, Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464).
Per contro, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (cfr., anc Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, COGNOME, 207497).
Principi non dissimili sono stati affermati dalle SS.UU. “COGNOME” con riguardo alle pene determinate in aumento, per la continuazione, per i reati
“satellite”; i giudici del supremo collegio hanno infatti richiamato e condiviso Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., non massimata sul punto, in cui si era spiegato chel «se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale e/o quando abbia applicato una misura di pena in aumento sproporzionata, pur in presenza delle medesime fattispecie dì reato».
In definitiva, la associazione di una pena base determinata nella misura minima edittale ed un aumento per la continuazione di entità esigua esclude l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. e dimostra, per implicito, che è stata operata la valutazione degli elementi obiettivi e subiettivi del reato risultanti dal contesto complessivo della decisione.
Qualora, per contro, la pena per il reato più grave sia stata quantificata in termini prossimi o coincidenti con il minimo edittale ma quella fissata in aumento per la continuazione sia tale da configurare, sia pure in astratto, una ipotesi di cumulo materiale dei reati, l’obbligo motivazionale del giudice si fa più stringente, dovendo egli specificare dettagliatamente le ragioni che lo hanno indotto a tale decisione.
Con specifico riguardo agli aumenti per la continuazione, le SS.UU, hanno quindi fatto presente che “… stabilire relazioni traducibili in formule matematiche non è possibile” potendo perciò “… essere condiviso il realistico giudizio espresso da Sez. 6, n. 8156 del 12/01/1996, COGNOME, Rv. 205540: nella determinazione della pena base per il calcolo del trattamento sanzionatorio il grado di scostamento dal minimo edittale, che progressivamente accentua il dovere per il giudice di specifica motivazione, non può essere fissato in una soglia precisa, ancorché sia ragionevole reputare non bisognevoli di una motivazione particolarmente specifica e dettagliata le pene all’interno dell’intervallo compreso tra il minimo e il medio edittale”; di conseguenza “… nel caso del reato continuato, individuare i valori che indiziano di sproporzione le pene inflitte non risulta possibile; ma è praticabile la via della indicazione di ciò che attraverso la motivazione deve essere assicurato: che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen.; che non si sia operat surrettiziamente un cumulo materiale di pene; che sia stato rispettato, ove ravvisabile, il rapporto di proporzione tra le pene, riflesso anche della relazione interna agli illeciti accertati”.
2.2 Tanto premesso, nel caso di specie gli aumenti operati dalla Corte di appello per la continuazione “esterna” sono stati quantificati in misura ben
inferiore ai minimi edittali il che, come appena ribadito, esonerava i giudici di merito dal fornire sul punto una motivazione particolare; né, va detto, è percorribile una doglianza in termini di incongruità della valutazione con riguardo agli aumenti operati per la continuazione “esterna” rispetto a quelli già stimati nell’ambito del procedimento principale: mentre i primi sono stati operati, come detto, in termini di molto inferiori ai minimi edittali (ed in coerenza con il minimo edittale stabilito per il reato-base) questi ultimi, infatti, pur quantificati in termi assolutamente minimali, erano ormai intangibili.
Se, dunque, una valutazione di “proporzionalità” e “coerenza”, può essere pretesa dal giudice di merito all’interno del medesimo processo e per fatti omogenei, altrettanto non può ritenersi laddove il giudice sia chiamato a valutare e riconoscere il vincolo della continuazione tra i fatti per i quali procede e quelli oggetto di altre sentenze ormai passate in giudicato, ben potendo accadere, come nel caso di specie, che egli sia vincolato dal giudicato esterno o da quello “interno” formatosi sugli aumenti già operati ed ormai intangibili per difetto di impugnazione delle parti.
Il rigetto del ricorso del COGNOME comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; l’inammissibilità del ricorso dell’COGNOME comporta, oltre alla condanna alle spese, anche al pagamento delle somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali; dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22.11.2023