Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44030 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44030 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a POLIZZI GENEROSA il 07/03/1964
avverso l’ordinanza del 16/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG
Il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo ai fatti giudicati da sei sentenze irrevocabili.
Il giudice dell’esecuzione, rilevando la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso tra i reati oggetto dell’istanza, ha rideterminato la pena finale in anni 30 di reclusione, così quantificata:
pena base di anni 8 e mesi 8 di reclusione ed euro 8.666 di multa per il reato di cui al capo D) della sentenza sub 4) (già diminuita per la scelta del rito abbreviato),
aumentata di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 3.333,00 di multa (così ridotta per il rito abbreviato) per il reato di cui al capo P) della medesima sentenza sub 4)
ulteriormente aumentata di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 400 di multa per l’estorsione di cui al reato sub 3) (così ridotta per la scelta del rito abbreviato),
di anni 2 e mesi 4 di reclusione per il reato sub 1) (così ridotta per la scelta del rito abbreviato),
di anni tre di reclusione per il reato sub 2) (così ridotta per la scelta del rito abbreviato),
di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 400 di multa per il reato sub 5) (così ridotta per la scelta del rito abbreviato),
di anni 4 di reclusione per il reato di cui al capo B) della sentenza sub 6) (ridotta per la scelta del rito abbreviato),
di anni 3, mesi 8 e giorni 10 di reclusione per i restanti reati giudicati con la medesima sentenza sub 6) (così ridotta per la scelta del rito abbreviato), per una pena complessiva quindi di anni 31, mesi 8 e giorni 10 di reclusione, ridotta ad anni 30 di reclusione ai sensi dell’art. 78 cod. pen.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso il condannato, per mezzo del difensore, sviluppando due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena per i fatti posti in continuazione, ha erroneamente operato prima la riduzione per la scelta del
giudizio abbreviato e, successivamente, applicato il criterio moderatore ex art. 78 cod. pen.
Sul punto, il ricorrente richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità culminato nel precedente delle Sezioni Unite n. 45583 del 25/10/2007, P.G. in proc. Volpe, Rv. 237691, secondo cui la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 ss. cod. pen., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta.
2.2. Con il secondo motivo, COGNOME deduce l’omissione della motivazione in ordine alla determinazione degli aumenti di pena.
A parere della difesa, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto scorporare i reati giudicati tra loro in continuazione e compararli, al fine di individuare la proporzionalità dei singoli incrementi e motivare sulla consistenza dell’aumento per ciascun reato satellite.
In particolare, il ricorrente deduce che l’entità dell’aumento per la tentata estorsione aggravata sub 4) è uguale a quella degli aumenti di pena applicati per le due estorsioni aggravate consumate sub 3) e sub 5), nonostante la fattispecie di estorsione consumata sia all’evidenza più grave di quella tentata.
Pertanto, si duole il ricorrente che l’omessa motivazione in ordine alla quantificazione delle frazioni di pena applicate in aumento non gli ha consentito di esercitare il previsto controllo sul corretto uso del potere discrezionale attribuito al giudice per la determinazione della pena e quindi la ragionevolezza della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso sia infondato, ma imponga la rideterminazione della pena nei limiti dell’art. 81 comma 2 cod. pen.
1.1. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nel giudizio di esecuzione, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati che hanno formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena per il rito opera necessariamente prima – e non dopo, come in sede di cognizione – del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 cod. pen., in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta (Sez. 1, n. 9522 del 14/05/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278494).
I riferimenti giurisprudenziali effettuati dalla difesa del ricorrente secondo cui la riduzione conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati, tra le quali vi
è anche la disposizione dell’art. 78, comma primo, n. 1, cod. pen. sono riferibili solo al giudizio di cognizione e non a quello di esecuzione.
Sul punto, è sufficiente richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, riferibile al solo processo di cognizione, secondo cui: «Nel giudizio di cognizione, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 e ss. cod. pen., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta, e ciò anche nella ipotesi di applicazione della continuazione tra il reato per cui si procede ed altro reato per il quale sia intervenuta sentenza irrevocabile» (Sez. Unite n. 45583/2007).
La soluzione ermeneutica prospettata, condivisa dal Collegio, si fonda sulla constatazione dell’eccezionalità della potestà riconosciuta al giudice dell’esecuzione di rideterminare – nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore – la pena applicata con sentenze passate in giudicato.
Il diverso ordine applicativo del criterio moderatore del cumulo materiale tra la fase di cognizione e quella di esecuzione, quindi, trae giustificazione nella diversità di situazioni determinata dall’efficacia preclusiva derivante dal principio dell’intangibilità del giudicato penale.
Nella fase dell’esecuzione, il giudice non può che prendere in considerazione, nell’osservanza del canone d’intangibilità del giudicato, la pena concretamente inflitta al condannato e, nel caso di condanna pronunciata in esito al giudizio abbreviato, la sanzione già ridotta di un terzo ex art. 442 cod. proc. pen., cui segue l’applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen.
Va peraltro osservato come detta disposizione che stabilisce il limite assoluto di trent’anni, non è peraltro assimilabile, sotto alcun profilo, alle norme che presiedono la dosimetria della pena, prescindendo da qualsiasi riferimento materiale e soggettivo, che non sia il rilievo del dato meramente aritmetico che la somma delle pene a carico della medesima persona ecceda la misura di anni trenta.
Trattasi, dunque, di disparità di moduli applicativi nelle sequenze procedurali di determinazione della pena, che trova solida e razionale base giustificativa, oltre che nell’oggettiva diversità – non di mero fatto bensì giuridica – delle situazioni processuali (processo unitario e cumulativo o pluralità di processi in tempi diversi, per più reati, contro la stessa persona; giudizio di cognizione o di esecuzione), anche e soprattutto nell’efficacia preclusiva derivante dal principio d’intangibilità del giudicato.
1.2. Tuttavia, sebbene le censure difensive proposte con il primo motivo di ricorso riguardino unicamente l’erronea applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., il giudice dell’esecuzione ha violato il disposto dell’art. 81 cod. pen., che stabilisce che la pena da irrogarsi non possa essere superiore al triplo della pena più grave.
Sul punto, anche le Sezioni unite della Corte di cassazione, hanno affermato che “nel riconoscimento del concorso formale o della continuazione in sede esecutiva il giudice, nella determinazione della pena, è tenuto al rispetto, oltre che del criterio indicato dall’art. 671, comma secondo, cod. proc. pen., anche del limite del triplo della pena stabilita per la violazione più grave previsto dall’art. 81, commi primo e secondo, cod. pen.” (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 270073).
La determinazione della pena base va fatta avendo come riferimento l’entità successiva alla riduzione per il rito abbreviato, per come esplicitamente affermato dalla citata giurisprudenza.
Il Collegio ritiene, in particolare, che il limite stabilito dall’art. 81 cod. pe vada individuato partendo dall’entità della pena inflitta dal giudice della cognizione, come risultante all’esito del bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti e dopo la riduzione per il rito abbreviato che ha carattere processuale.
Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione ha individuato la pena base in quella di anni 8 mesi 8 di reclusione e 8.666 euro di multa per il reato di cui al capo D) della sentenza sub 4), dopo la riduzione per il rito, sicché tale limite deve essere calcolato nella misura del triplo della pena base inflitta (quindi, dopo la riduzione per il rito), che ammonta ad anni 26 di reclusione e 12.799 euro di multa.
Tale rideterminazione nel caso in esame deve essere operata direttamente dalla Corte di legittimità con l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio (Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226076-01).
1. Il secondo motivo del ricorso è infondato.
È stato chiarito che il giudice dell’esecuzione, ove debba procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati, con sentenze ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare tutti i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal giudice della cognizione, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 5, Sentenza n. 8436 del 27/09/2013, dep. 2014, Romano, Rv. 259030).
Si è inoltre specificato che, nello svolgimento di tale operazione, il giudice, titolare del potere discrezionale esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 cod. pen., è tenuto a motivare, non solo in ordine all’individuazione della pena base, ma anche in ordine all’entità dei singoli aumenti per i reatisatellite, ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., così da rendere concretamente possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo all’uopo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena base (Sez. U., n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Rileva la Corte che nel caso di specie, il giudice si è conformati) ai principi ora enunciati, atteso che ha indicato per ciascun reato satellite la porzione di pena applicata in aumento, per di più facendo riferimento (con particolare riguardo agli aumenti per le estorsioni aggravate consumate di cui alle sentenze sub 3 e 5), alla valutazione effettuata dal giudice della cognizione a cui dunque ha ritenuto di conformarsi; inoltre, a pag. 3 dell’ordinanza impugnata, il giudice, prima di procedere alla quantificazione del nuovo trattamento sanzionatorio, afferma come esso sia da ritenersi congruo, in ragione delle statuizioni del giudice della cognizione e delle emergenze processuali.
Il giudice ha applicato per la tentata estorsione aggravata sub 4) lo stesso quantum di pena previsto per le estorsioni aggravate consumate sub 3) e 5), con un richiamo alle statuizioni del giudice della cognizione, sicché vi è una implicita motivazione che permette di ritenere insussistente il vizio censurato.
Infatti, il provvedimento impugnato giustifica la misura degli aumenti con la frase iniziale (pag. 3): “pertanto, tenuto conto delle emergenze processuali e del trattamento sanzionatorio adottato in sede di cognizione, pare equo e corrispondente alla gravità complessiva dei fatti, rideterminare la pena nella misura che segue …”.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena complessiva che determina in anni 26 di reclusione ed euro 12.799 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 12.11.2024