Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18392 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18392 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/07/2022 il Tribunale di Nocera Inferiore aveva riconosciuto, per quel che qui interessa: 1) NOME COGNOME responsabile dei fatti di usura e di estorsione di cui al capo P) della rubrica e, con l’esclusione delie circostanze aggravanti di cui ai n. 3 dei comma 3 dell’art. 628 cod. pen. e 416bis.1 cod. pen., l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 5 e mesi 6 di reclusione ed euro 2.500 di multa, oltre ai pagamento delle spese processuali, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale per la durata della pena e la confisca del profitto del reato nella misura di euro 67.350 o equivalente; 2) NOME COGNOME responsabile dei fatti di estorsione di cui al capo P) delia rubrica e, escluse anche per lui le medesime aggravanti di cui all’art. 628, comma 3, n. 3 cod. pen. e 3416-bis.1 cod. pen., l’aveva condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 2.500 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici; 3) NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei fatti di usura loro ascritti al capo P) della rubrica e, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e dell’aggravante di cui all’art. 644, comma 5, n. 3, cod. pen., li aveva condannati alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 12.000 di multa, ciascuno ; oltre a I pagamento delle spese processuali, con ia condisca del profitto del reato nella misura di euro 67.350 o equivalente; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la Corte d’appello di Salerno, giudicando sugli appelli degli odierni ricorrenti, ed in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata per il resto, Mc rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME ed a NOME COGNOME – previa riqualificazione del fatto di estorsione loro ascritto al capo P) in termini di tentativo – in anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 12.500 di multa per il COGNOME ed in anni 3 di reclusione ed euro 1.000 di multa per i! COGNOME; ha inoltre ridotto la pena per NOME COGNOME ad anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 9.000 di multa ed ha infine revocato la confisca disposta nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME unitamente alle pene accessorie già applicate in primo grado;
ricorrono per cassazione, tramite i rispettivi difensori, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo:
3.1 l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME:
3.1.1 mancanza di motivazione e violazione degli artt. 546 e 125 cod. proc. pena rileva che la Corte d’appello ha omesso di confrontarsi con i rilievi articolati dalla difesa motivando per relationem alta sentenza di primo grado con cui, tuttavia, quella di appello può integrarsi soltanto laddove entrambi i giudici di n-ierito abbiano utilizzato i medesimi criteri di valutazione; osserva che i’obbligo di motivazione non può ritenersi assolto con il mero richiamo alla sentenza impugnata dovendo il giudice d’appello esplicitare le ragioni che io abbiano portato a condividerne il contenuto e le conclusioni;
3.1.3 violazione di legge penaie sostanziale in ordine a le condotte ascritte per insussistenza degli elementi costitutivi del reato: rileva che la incongruità degli elementi acquisiti non avrebbe consentito di concludere per la responsabilità dei ricorrente per il delitto di tentata estorsione, non potendosi nemmeno valorizzare, quale validi elementi di riscontro, !e dichiarazioni rese da NOME COGNOME che ha riferito di generiche minacce ricevute dal marito senza essere in grado di precsarne il tenore; osserva che ad analoga conclusione avrebbe dovuto pervenirsi con riguardo ai delitto di usura atteso che la stessa Corte territoriale ha giustificato la revoca della confisca proprio per l’incapacità della persona offesa di
fornire elementi idonei a quantificare l’entità degli interessi usurari effettivamente corrisposti laddove, per contro, la loro entità è stata invece valorizzata quale riscontro all’integrazione dei presupposti dell’aggravante dello stato di bisogno; aggiunge che la natura del reato imponeva di verificare il superamento del tasso soglia per l’intera durata del rapporto e per ciascun singolo trimestre di rilevazione da parte del Ministero dell’Economia;
3.1.4 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorlo: segnala che la Corte d’appello si è limitata a rideterminare la pena aii’esito della qualificazione dei fatto di estorsione come ipotesi tentata risultando invece inconsistente la motivazione posta a fondamento del rigetto della richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con palese violazione del principio sancito dall’art. 111 della Costituzione;
3.2 l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME:
3.2.1 violazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, vi olazione del combinato disposto degli artt. 500, 511 e 526 cod. proc. pen. con riguardo all’utilizzo delle dichiarazioni del teste COGNOME utilizzate dal PM per le contestazioni nel corso delle udienze del 23/10/2017 e dell’11/12/2017; nullità derivante dall’irrituale lettura di dichiarazioni rese dal COGNOME nel corso delle indagini in diverso procedimento, non acquisite né allegate al fascicolo del pubblico ministero:
3.2.1.1 premette che la stessa sentenza irnpugnata ha riconosciuto come la responsabilità di NOME COGNOME riposi essenzialmente sulle dichiarazioni del COGNOME e della di lui consorte; segnala che il COGNOME aveva costantemente ammesso la difficoltà a ricostruire i fatti costringendo i giudici di merito a far riferimento, ai fini della decisione, alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari ed utilizzate per le contestazioni; osserva che, in tal modo, risulta violato il principio della formazione della prova in dibattimento, sancito dall’art. 111 Cost.; aggiunge che le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni erano state rese nell’ambito di altro procedimento e non acquisite nei fascicolo del pubblico ministero, con conseguente autonoma causa di nullità della prova ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen.;
3.2.1.2 ribadisce come la stessa Corte d’appello abbia dato atto che ii RAGIONE_SOCIALE si era limitato a confermare, in maniera laconica, il contenuto delle dichiarazioni di cui era stata data lettura; sottolinea che nel caso di specie, non ricorreva alcuna delle deroghe ai principio stabilito dall’art. 500 cod. proc. pen. la cui copertura costituzionale non consente di percorrere interpretazioni alternative o elusive del principio cristallizzato dall’art. 111 Cost.; richiama la giurisprudenza
evocata nella stessa sentenza impugnata di cui, tuttavia, evidenzia la criticità anche alla luce del caso di specie, caratterizzato dalla conclamata incapacità del teste di riferire spontaneamente sui fatti, sicché le contestazioni non avevano avuto la funzione di ravvivare il ricordo ma si erano risolte nella automatica loro trasposizione in dichiarazioni dibattimentali che avevano portato a sorreggere una ricostruzione dei fatti cui era stata tuttavia contrapposta quella della difesa, confortata, a sua volta, dalla personalità del COGNOME, soggetto sottoposto a misura di sicurezza e non nuovo a perpetrare truffe quali quella di cui i Confessore erano stati in realtà vittime;
3.2.1.3 segnala che un ulteriore profilo di nullità, puntualmente evidenziato nell’atto d’appello, consisteva nel fatto che né la denuncia del 06/07, 12009 né a sua “integrazione” del 10/09/2009, di cui il PM aveva chiesto di dare lettura, erano presenti nel fascicolo al momento dell’escussione del teste tanto che la difesa aveva sollevato, sul punto, una specifica eccezione che aveva portato il Tribunale a differire l’udienza onde consentire al PM di depositare un’attestazione dell’avvenuto deposito degli atti nel fascicolo delle indagini preliminari aggiunge che, nonostante tale attestazione non fosse stata prodotta, il PM era stato autorizzato dal Tribunale a proseguire nell’esame del teste utilizzando gli atti in questione, giustificando tale decisione sulla scorta di una serie di considerazioni ciascuna delle quali censurabile atteso che la discovery in sede cautelare aveva trovato un’esplicita smentita proprio nel provvedimento del GIP, che aveva spiegato come quegli atti non fossero disponibili e non fossero perciò utilizzabili nemmeno ai fini della valutazione indiziaria; precisa, infine, che non era intervenuta alcuna “desistenza” dall’eccezione e dall’opposizione all’utilizzo di tali atti essendosi la difesa limitata a prendere atto della decisione dei Tribunale ed a svolgere la propria attività difensiva; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2.2 carenza, manifesta illogicità e/o contraddittorietà intrinseca ed estrinseca della motivazione sulla diagnosi di piena attendibilità soggettiva ed oggettiva di NOME COGNOME: segnala che le conclusioni cui è approdata la Corte d’appello realizzano una vera e propria inversione concettuale avendo i giudici di merito omesso di procedere all’indispensabile opera di comparazione tra le dichiarazioni predibattimentali e quelle rese dal teste nel contraddittorio delle parti, costellato da plurimi richiami del PM a riferire sui fatti e a dire la verità; sottolinea che gli strumenti messi a disposizione dal codice per sondare la credibilità del teste sono stati in realtà utilizzati per riempirne i vuoti di memoria sostituendo le lacunose e reticenti dichiarazioni dibattimentali;
sottolinea che la stessa giustificazione fornita dai giudici di merito, che hanno evidenziato da un lato la distanza temporale tra i fatti rispetto alla
deposizione e, dall’altro, la complessità dei rapporti di natura usuraria, finisce per confermare implicitamente la inadeguatezza del contributo dibattimentale fornito dal teste; aggiunge che la motivazione della sentenza impugnata non si confronta con le acquisizioni documentali, sollecitate dalla difesa, circa la personalità del COGNOME, pluripregiudicato per delitti contro il patrimonio e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, tale da confortare la stessa alternativa ricostruzione proposta dalla difesa secondo cui era stato proprio il COGNOME ad ingannare il Confessore sull’esito della richiesta di un finanziamento bancario; evidenzia ia fallacia argomentativa della motivazione con cui la Corte d’appello ha valorizzato la mancata costituzione di parte civile del COGNOME per affermare l’ininfluenza della sua biografia criminale; segnala che la mancata costituzione di parte civile non esclude che le relative pretese possano essere avanzata in altra sede e che’ soprattutto, nessuna connessione può sussistere con il giudizio di inaffidabilità del teste, corroborato dalla sua stessa condotta processuale e tale da confortare l’alternativa prospettazione della difesa, secondo cui le sue dichiarazioni erano finalizzate, semmai, ad allontanare da sé ogni conseguenza delle condotte fraudolente poste in essere proprio ai danni del Confessore;
3.2,3 manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in ordine alla pretesa idoneità della deposizione delta sig.ra NOME COGNOME a riscontrare le dichiarazioni rese dal COGNOME in merito alle condotte minatorie asseritamente poste in atto da NOME COGNOME: segnala un primo profilo di contraddittorietà della sentenza impugnata che, dopo aver ribadito la piena attendibilità della deposizione del COGNOME, ha ritenuto tuttavia indispensabile vagliarne la portata con maggior rigore e, dunque, facendo ricorso a riscontri esterni; osserva che, tuttavia, le dichiarazioni della COGNOME non potevano essere utili a riscontrare quelle del COGNOME, avendo avuto ad oggetto condotte diverse rispetto a quelle riferite da quest’ultimo; segnala come il processo sia stato comunque condizionato dalla stessa vaghezza dell’imputazione elevata a{ capo P) e che, nei corso del giudizio, si era concretizzata in due diversi episod;, i{ primo riferito nal solo COGNOME e, il secondo, riferito dalla sola COGNOME conclude sottolineando come, in ogni caso, le due condotte pretesannente estorsive fossero state enucleate senza poterle collocare nel tempo e nello spazio e, inoltre, senza spiegare perché dovessero ritenersi autonomamente dimostrate se non considerandole artificiosamente unitarie e ritenerle reciprocamente riscontrabili, al punto che l’episodio del 24 luglio sarebbe risultato da dichiarazioni del COGNOME rese i! 9 luglio;
3.2.4 omessa disamina critica della concreta idoneità minatoria delle condotte di cui al capo P) e violazione di legge sostanziale quanto allo strutturale difetto di idoneità minatoria delle condotte ritenuta in sentenza a carico dei ricorrente: segnala come nessuna delle condotte riferite dal COGNOME e dalla COGNOME fosse stata descritta nell’imputazione di cui al capo P) della rubrica dal cui tenore risulta che si sarebbe trattato di minacce implicite legate ai riferimenti degli indagati ai “contesti di camorra” in cui costoro agivano e che avrebbe determinato non già una minaccia quanto una situazione generica di coartazione psicologica, giustificata con l’aggravante di cui all’art. 416-bis cod. pen. nella duplice declinazione del metodo e dell’agevolazione, tale da esentare il giudice dai dimostrare l’esistenza di condotte esplicite; osserva che, tuttavia, l’aggravante ;n parola era venuta meno già con la sentenza di primo grado sicché, pertanto, sarebbe stato preciso obbligo dei giudici di merito individuare quelle condotte che, di per sé, sarebbero state in grado di coartare ia libertà morale delle vittime; evidenzia come la motivazione con cui i giudici d’appello hanno confermato l’impossibilità di riconoscere le circostanze attenuanti generiche avrebbe dovuto correlarsi alla esclusione dell’aggravante “mafiosa”;
3.2.5 in subordine: carenza assoluta della motivazione in ordine alla ricostruzione alternativa offerta dalla difesa con riguardo alla causale delle presunte minacce e violazione di legge per omessa sussunzione dei fatti ne; paradigma dell’art. 393 cod. pen.:
3.2.5.1 riporta la versione dei fatti offerta da! Confessare in .sede di dichiarazioni spontanee rese all’udienza dell’1?/12/2017 ed osserva che la richiesta di finanziamento era stata riferita dallo stesso COGNOME le cui dichiarazioni, circa l’impossibilità della sua erogazione, risultano clamorosamente smentite dal contenuto delle conversazioni intercettate e di cui riporta ii tenore testuale; riporta, ancora, le dichiarazioni dei Confessore circa la truffa di cui il COGNOME si sarebbe reso responsabile ai danni del suo amico NOME COGNOME e di cui, pure, vi era un preciso riscontro nelle conversazioni captate;
3.2.5.2 contraddittorietà e carenza della motivazione sul punto; omessa confutazione della ricostruzione alternativa proposta dalla difesa e conseguente violazione di legge con riguardo all’art. 393 cod. pen.: rileva che il ragionamento della Corte d’appello si è sviluppato partendo dalla appurata esistenza di un rapporto usurario intercorso tra il Carpentieri e soggetti diversi dal Confessore, la consapevolezza di tale rapporto da parte di quest’ultimo, l’esistenza di minacce dei ricorrente ai danni del COGNOME che, a quei punto, non potevano che esservi eziologicamente collegate; segnala che, pur avendo dato conto che la pratica di finanziamento era un tema ricorrente nelle conversazioni intercettate, la Corte ha
fatto omesso di confrontarsi con la alternativa ricostruzione della vicenda e la aiternativa causale delle presunte minacce poste in essere dal ricorrente e che avrebbe portato a ricondurre la vicenda nel paradigma delineato dall’art. 393 cod. pen.;
3.2.6 carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio con riguardo sia al diniego delle circostanze attenuanti generiche che alla omessa riduzione per il tentativo nella massima estensione:
3.2.6.1 segnala il carattere apodittico della motivazione posta a fondamento del diniego delle attenuanti innominate e fondata sull’esistenza dei presupposti di pretesa illiceità della condotta in assenza della quale sarebbe risultata penalmente irrilevante; osserva che, per altro verso, la pretesa gravità della condotta si pone in contraddizione con il contenimento della pena nel minimo edittale; rileva come la Corte non abbia tenuto conto della giovanissima età dei imputato all’epoca dei fatti;
6.2 segnala come la Corte, dopo aver ricondotto il fatto nella ipotesi tentata, abbia omesso ogni considerazione sull’entità della diminuzione di pena ai sensi dell’art. 56 cod. pen.;
3.3 l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME:
3.11 violazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, violazione del combinato disposto degli artt. 500, 511 e 526 cod, proc. pen. con riguardo all’utilizzo delle dichiarazioni del teste COGNOME utilizzate dal PM per le contestazioni nei corso delle udienze dei 23/10/2017 e dell’i1/12/2017; decivante dall’irrituale lettura di dichiarazioni rese dal COGNOME nel corso celle indagini in diverso procedimento, non acquisite né allegate al fascicolo del pubblico ministero:
svolge, anche per quanto concerne la posizione di NOME COGNOME, le medesime doglianze ed argomentazioni difensive articolate nell’interesse di NOME COGNOME ai superiori punti 1.1, 1.2, 1.3 del primo motivo del relativo ricorso;
3.3.2 carenza, manifesta illogicità e/o contraddittorietà intrinseca ed estrinseca della motivazione sulla diagnosi di piena attendibilità soggettiva ed oggettiva di NOME COGNOME: articola le medesime considerazioni difensive sviluppate nel secondo motivo dei ricorso di NOME COGNOME;
3.3.3 manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca ed estr nseca della motivazione in ordine alla individuazione di NOME COGNOME come colui che si sarebbe presentato al Carpentieri con il nome di “NOME COGNOME” quale cessionario del credito di natura asseritamente usuraria:
3.3.3.1.1 ripercorre la ricostruzione della vicenda operata dalla pubblica accusa e sposata dai due giudici di merito e che avrebbe visto un’unica apparizione di NOME COGNOME ai cospetto di NOME COGNOME; segnala come nell’atto d’appello ia difesa avesse chiarito il dato clamorosamente errato della identificazione di NOME COGNOME nella persona entrata in contatto con il COGNOME, sottolineando una serie di elementi in contrasto con la tesi accusatoria quali, in particolare: 1) la collocazione dell’episodio nel mese di marzo 2009 laddove il Confessore era detenuto a far data dal 26 febbraio; 2) l fallito riconoscimento fotografico;
3.3.3.1.2 rileva che la Corte d’appello, esaminando le censure difensive, ha confermato l’esistenza di un riconoscimento fotografico operato dal COGNOME nel corso delle indagini preliminari ed oggetto di contestazione in sede dibattimentale, nel contempo, tuttavia, minimizzando la discrasia temporale evidenziata dalla difesa e sostenendo che la conoscenza del Confessore, da parte del COGNOME, era intervenuta in data antecedente l’arresto dell’imputato e di cui questi avrebbe avuto notizia dalla stampa;
3.3.3.1.3 denuncia, a tal proposito, il travisamento in cui sarebbero incorsi giudici di merito ; reso evidente dalla lettura delle trascrizioni dell’udienza dell’11/12/2017 allegate al ricorso e da cui risulta l’avvenuto riconoscimento di NOME e NOME COGNOME (quest’ultimo ritratto nella foto n. 9) ma anche di NOME COGNOME (ritratto nella foto n. 21) individuato come la persona che si era presentata insieme a NOME COGNOME nel marzo 2009 per riscuotere i debito contratto con NOME COGNOME;
3.3.4 in subordine, violazione del combinato disposto degli artt. 213 e ssgg. e 526 cod. proc. pen. quanto al riconoscimento fotografico acquisito al processo attraverso la contestazione del verbale redatto nei corso delle indagini preliminari: segnala che, in ogni caso, il riconoscimento fotografico è stato introdotto all’interno del processo in palese violazione dei principi in materia di formazione della prova in dibattimento; richiama, a tal proposito, il dissenso della dottrina processualpenalistica sul tentativo della giurisprudenza di legittimare ogni forma di riconoscimento operata al di fuori dello schema tipico disegnato dal legislatore agli artt. 213 e ssgg. cod. proc. pen.; ribadisce, richiamando il primo motivo del ricorso, che l’ingresso nel processo del pur informale riconoscimento è ad ogni
modo avvenuto per effetto di una altrettanto illegittima acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali;
3.3.5 violazione dell’art. 270 cod. proc. pen. con conseguente nullità di tutte le intercettazioni acquisite ed utilizzate per affermare la responsabilità del ricorrente in ordine al capo P):
3.3.5.1.1 rileva che le due sentenze di merito hanno tentato di sorreggere l’impianto accusatorio con il richiamo al compendio intercettivo e, in particolare, alle conversazioni captate in ambiente carcerario a seguito dell’arresto del COGNOME, avvenuto per altro titolo di reato il giorno 26/02/2009;
3.3.5.1.2 segnala che, come chiarito dal primo giudice, l’attività di intercettazione fu eseguita nell’ambito del diverso procedimento penale menzionato dall’operante di PG nel corso della sua deposizione ed avente ad oggetto l’esistenza di una associazione per delinquere di tipo mafioso operante nell’attività di spaccio di droga in Pagani, evocante l’ipotesi delineata al capo A) della rubrica, ritenuta insussistente già all’esito del giudizio di primo grado e che nulla aveva a che fare con la contestazione di cui al capo P), come dimostrato dai fatto che le captazioni risalgono al marzo del 2009 mentre le denunce sporte dal COGNOME sarebbero intervenute nel successivo mese di luglio; richiama, pertanto, l’arresto delle SS.UU. “COGNOME” ed i limiti posti all’utilizzabilità del intercettazioni nell’ambito di un procedimento diverso da quello in cui furono disposte;
3.3.5.1.3 ribadisce, pertanto, come le intercettazioni intervennero in un procedimento diverso e non legato alla contestazione di cui al capo P) della rubrica né da un rapporto di connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen. ma nemmeno da un rapporto di collegamento probatorio rilevante ai sensi dell’art. 371 comma 2, cod. proc. pen.; sottolinea che, ad ogni modo, già in primo grado era intervenuta l’assoluzione – per insussistenza del fatto – con riguardo al delitto di cui al capo A) e l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.; aggiunge che, sotto altro profilo, le captazioni di cui si discute non risultano affatto assolutamente indispensabili ai fini dell’accertamento dei reato di cui al capo P), con conseguente loro inutilizzabilità rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado dol processo;
3.3.6 in subordine rispetto al precedente motivo, manifesta illogicità efo contraddittorietà della motivazione in ordine alla pretesa rilevanza delle intercettazioni sulla prova del capo P): ripercorre l’argomentazione svolta dalla Corte d’appello sulla rilevanza della conversazione intercettata in carcere ed avente ad oggetto la ricerca, da parte del Confessore e dei suoi familiari, del
denaro necessario ad assicurare la difesa tecniea dell’imputato; osserva che all’epoca della captazione, il rapporto usurario, almeno secondo la ricostruzione dell’accusa, era stato perfezionato ed oggetto di successiva “cessione” in capo a chi aveva dovuto prendere atto dell’incapienza del debitore; osserva che, pertanto, il “subentrante” non può rispondere di usura ma soltanto, semmai, e ricorrendo una condotta di natura minatoria, dei diverso delitto di estorsione; segnala che, di conseguenza, nessuna inferenza poteva trarsi dai contenuto delle conversazioni intercettate per ricondurre la condotta dei ricorrente alla fase ideativa ed attuativa del patto usurario potendosi, semmai, immaginare un concorso – meramente morale – nel tentativo di esazione posto in atto da NOME COGNOME ma giammai un concorso nel delitto di usura;
3.3.7 carenza e manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonché alla determinazione della pena: segnala che la Corte d’appello ha utilizzato, per tutti gli imputati, una medesima e comune argomentazione per escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche omettendo ogni valutazione di natura individualizzante e, in sostanza, motivando in maniera tautologica o circolare sulla supposta ontologica incompatibilità tra le attenuanti in parola con l’aggravante dello stato di bisogno; segnala inoltre la contraddittorietà tra la valutazione operata dalla Corte in ordine alla offensività sociale della condotta e la scelta di contenere il trattamento sanzionatorio in misura prossima al minimo edittale;
3.4 gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME:
3.4.1 violazione di legge processuaie penale con riferimento all’art. 192 cod proc. pen. in relazione alla valutazione di credibilità della persona offesa; violazione dell’art. 533 cod. proc. pen. e della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio; travisamento della prova dichiarativa ed incertezza sugli interessi usurari pattuiti;
3.4.2 mancanza, illogicità e contraddittorietà’ della motivazione sui medesimi profili;
3.4.3 violazione di legge penale sostanziale con riferimento all’art. 644 cod. pen. quanto alla sussistenza del delitto sotto il profilo oggettivo ed in particolare relativamente ai tasso di interesse superiore al tasso soglia;
3.4.4 mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sui medesimi profili:
rilevano che la Corte d’appello ha confermato la decisione del Tribunale nonostante le rilevanti incongrue.nze tra ie dionrazioni del Carpentieri e quelle della COGNOME avendo costei riferito che era stato il Faielia a rivolgersi alla loro agenzia per ottenere un prestito; evidenzia l’insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto la sussistenza del delitto di usura ed un tasso di interesse tale da rendere manifesto lo stato di bisogno della vittima ma, nei contempo, ha revocato la disposta confisca stante l’impossibilità di quantificare gli interessi usurari effettivamente corrisposti; riporta l considerazioni della Corte d’appello sulla attendibilità del COGNOME giudicando non condivisibile il percorso seguito dai giudici d’appello perché in contrasto con quanto emerso dalla lettura delle stesse dichiarazioni della persona offesa da cui emergono vuoti, amnesie o “non ricordo” e che, pertanto, avrebbero dovuto essere verificate sia sotto il profilo della attendibilità soggettiva che oggettiva; richiama principi fissati dalla giurisprudenza in materia di verifica della attendibilità dell persona offesa, nel caso di specie soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in Cava de’ Tirreni e che, nonostante le contestazioni del PM, non era riuscito a riferire i termini del rapporto intercorso con NOME COGNOME evidenzia la discrasia tra il narrato dei COGNOME e quello della COGNOME quanto alla visita dei COGNOME presso la loro attività commerciale e segnala che il rapporto con NOME COGNOME si sarebbe risolto nella compilazione di (mai rinvenute) cambiali in sostituzione di quattro assegni dati in garanzia; ed evidenzia che il Carpentieri, nei corso della sua deposizione, non era stato in grado di ricostruire l’entità di ciascun prestito, il loro importo complessivo e la somma in ipotesi restituita, fornendo risposte lacunose anche in merito alla risoluzione del rapporto ed al ruolo di NOME COGNOME, oltre che ai momento in cui sarebbero subentrati il COGNOME ed il Confessore; aggiunge che NOME COGNOME sarebbe stato tratto in arresto e ristretto per dieci anni mentre il COGNOME aveva riferito che in quel momento i loro rapporti erano cessati ma, nel contempo, che il ricorrente aveva incaricato il figlio NOME di gestirli; osserva che l’impossibilità d ricostruire i tempi, le modalità e gli importi delle singole elargizioni non consentiva di ritenere integrati gli elementi costitutivi del delitto in esame che la Corte di merito ha invece confermato sulla scorta di una motivazione avulsa dai dati processuali; segnala che, secondo !a stessa ricostruzione del RAGIONE_SOCIALE, eg!l avrebbe ricevuto un prestito per complessivi 23.000 euro sottoscrivendo cambiali per 27.000 euro nell’ambito di un rapporto sviluppatosi per uno o due anni e, perciò, con un tasso di interesse non superiore alla soglia; richiama, ancora, le considerazioni della Corte circa iì ruolo assunto da NOME COGNOME sottolineando come la conoscenza dei pregressi accordi tra il COGNOME ed il padre fosse frutto di una mera deduzione; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4.5 violazione della legge penale sostanziale con riguardo all’art. 644, comma 5, n. 3 cod. pen.; mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sul medesimo profilo: segnala che, nel caso di specie, le innumerevoli lacune ed incertezze che hanno caratterizzato la ricostruzione propinata della persona offesa non consentivano di dedurre lo stato di bisogno dalla misura degli interessi, mai effettivamente quantificati nel loro ammontare;
3.4.6 violazione di legge penale sostanziale con riferimento all’art. 62-bis cod. pen.; mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione: rileva che anche ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche la Corte d’appello ha valorizzato l’entità degli interessi usurari ma, nel contempo, revocato la confisca perché non era stato possibile quantificarli;
3.5 l’Avv. NOME COGNOME con due ricorsi, identici, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME:
3.5.1 violazione di legge e vizio di motivazione: denunzia la non corretta applicazione, da parte della Corte d’appello, delle regole in materia di valutazione della prova e la manifesta illogicità della motivazione sul punto; sottolinea, a tal proposito, le contraddizioni e le incertezze risultanti dal tenore delle dichiarazioni della persona offesa che non hanno consentito di ricostruire l’accordo presuntivamente usurario; segnala che le parole del COGNOME non avevano trovato riscontro nella deposizione della di lui moglie che, anzi, lo aveva smentito su aspetti dirimenti e che nemmeno le captazioni riportate in sentenza consentono di qualificare il rapporto intercorso tra le parti in termini usurari;
3.5.2 violazione di legge e vizio di motivazione: rileva che la Corte territoriale ha confermato la sussistenza dell’aggravante contestata pur in assenza di elementi idonei a ricostruire i termini dell’accordo ed in presenza, invece, di una ricostruzione tale da smentire l’esistenza di uno stato di bisogno da parte del RAGIONE_SOCIALE;
la Procura Generale, nonostante la tempestiva richiesta di trattazione del processo in presenza, ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per il rigetto di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, per le considerazioni che seguono.
1. Le questioni di natura processuale
Tutte le difese, con argomentazioni più o meno articolate, hanno tuttavia unanimemente censurato la sentenza della Corte d’appello di Salerno in ordine sia alle modalità di acquisizione della prova dichiarativa consistente nelle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME che, quindi, alla idoneità della motivazione con cui i giudici di secondo grado hanno confermato la valutazione di piena attendibilità.
Prima di affrontare I tema comune, tuttavia, è necessario soffermarsi sulle questioni di natura processuale che sono state sollevate, in particolare, dalla difesa di NOME e NOME COGNOME con riguardo, per un verso, all’utilizzabilità, ai fini delle “contestazioni” operate dal PM, dei verbali della denuncia del Carpentieri e della sua successiva integrazione che, secondo la difesa, non sarebbero state depositate nel fascicolo del PM; per altro verso, aii’utilizzabilità delle interce:razioni eseguite all’interno della Casa Circondariale in cui, dal 26/02/2009, era stato ristretto NOME COGNOME in quanto – secondo le parole del teste di PG sentito nei corso del dibattimento – disposte ed effettuate nell’ambito di altro procedimento in mancanza di profili di connessione qualificata con l’ipotesi de!ittuosa delineata al capo P) della rubrica.
1.1 Il rilievo concernente l’inutilizzabilità dei verbali non previamente e ritualmente depositati è infondato.
La Corte d’appello (cfr., pagg. 31-33 della sentenza) ha puntualmente ripercorso l’iter che aveva portato la difesa del COGNOME a sollevare l’eccezione nel corso del giudizio di primo grado e’ quindi, ad articolare, sul punto, uno specifico motivo d’appello cui i giudici salernitani hanno risposto correttamente in punto di diritto.
Era accaduto, infatti, che, nel corso dell’udienza del 31/07/2017, la difesa aveva eccepito che il PM aveva “contestato” al COGNOME il contenuto della denuncia da costui sporta in data 06/07/2009 e della relativa integrazione del 10/07/2009 e che tale operazione non era consentita in quanto si sarebbe trattato ch atti non presenti nel fascicolo del pubblico ministero al momento della escussione dei teste.
A fronte dell’eccezione sollevata dalla difesa il PM aveva allora chiesto un termine per acquisire una “certificazione” dell’avvenuto deposito di tali atti ed il Tribunale, proprio a tal fine, aveva ciifferito l’escussione della persona alla successiva udienza dell’11/12/2017 quando “… la prova testimoniale de qua è stata assunta nel contraddittorio delle parti, senza alcuna acquisizione materiale delle dichiarazioni predibattimentali precedentemente rese dalla persona offesa e che, inoltre, i difensori non hanno reiterato la precedente questione, in tal modo
mostrando di aver quantomeno implicitamente dissolto ogni riserva circa la utilizzabilità del contenuto della notizia crirninis di che trattasi” (cfr., pag. 32 della sentenza in verifica) che, anzi, era stata utilizzata nel corso del controesame condotto dalla difesa che aveva dimostrato, in tal modo, di averne la materiale disponibilità (cfr., ivi).
In diritto, e come si avrà modo di ribadire in prosieguo, va in primo luogo ribadito che le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni non sono, di per sé, utilizzabili ai fini della decisione che si fonda sulla ;oro conferma da parte del teste che, in tal modo, se ne assume la responsabilità e su cui, come pure si dovrà chiarire, vanno operate tutte le necessarie valutazioni da parte del giudice chiamato ad apprezzarne la idoneità sul piano ed ai fini della prova dei fatti sottoposti al suo giudizio.
Per rimanere al tema relativo all’eccezione di natura processuale ribadita dalla difesa dei Confessore è possibile, ai fini della conferma della correttezza della decisione resa dalla Corte d’appello, richiamare alcune decisioni intervenute su fattispecie analoghe a quella che ci occupa e, in particolare, in tema di incidente probatorio dove si è ripetutamente affermato che l’omesso deposito da parte del pubblico ministero dei verbali delle dichiarazioni già rese dalle persone da esaminare, in violazione degli obblighi di cui all’art. 398, comma 3, cod. proc. pen., integra una nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto, non consentendosi all’indagato la conoscenza degli atti necessari per lo svolgimento dell’esame e per la formulazione delle contestazioni, viene limitato l’esercizio del diritto di difesa (cfr., così, da ulti Sez. 6, n. 33012 del 04/07/2024, M., Rv. 286992 – 01, in cui la Corte ha chiarito che “non può essere causa di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da taluno in sede di incidente probatorio il fatto che il PM non abbia previamente depositato gli atti poi utilizzati nel corso dell’esame, essendo però egli obbligato, ai sensi dell’ad, 398, comma terzo, cod. proc. pen., a depositare le dichiarazioni rese in precedenza dalla persona da esaminare, fatta salva l’ipotesi prevista dal comma secondo-bis dell’art. 393 cod. proc. pen.” e spiegando che l’inosservanza da parte del P.M. dell’obbligo di deposito degli atti di indagine previsto dall’art. 393, comma secondo-bis, cod. proc. pen., ove ne sia derivata la mancata conoscenza degli atti da parte dell’indagato, integra una nullità a regime intermedio ai sensi degli artt. 178, comma primo, lett. c) e 180 cod. proc. pen., soggetta al regime di deducibilità e di sanatoria previsto dagli artt. 182 e 183 cod. proc. pen.; cfr., Sez. 3, n, 6624 del 10/12/2013, dep. 2014, D., Rv. 258855 a- 01; Sez. 2, n. 12989 del 28/11/2012, dep. 2013, Consorte, Rv. 255526 – 01; Sez. 6, n. 40971 dei 26/09/2008, COGNOME, Rv. 241624 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si è anche precisato che “la violazione dell’obbligo di integrale discovery sancito dall’art. 393, comma 2-bis, cod. proc. pen., determina, ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., quando gli atti di indagine non depositati abbiano un’obiettiva rilevanza rispetto all’oggetto della prova, la nullità della stessa; qualora, invece l’omissione riguardi atti assolutamente irrilevanti, essa si traduce in una mera irregolarità eventualmente rilevante ai soli fini di cui all’art. 124 cod. proc. pen. giacché, in tale ipotesi, non è in alcun modo limitato il diritto al contraddittorio i condizioni di parità delle armi rispetto al pubblico ministero” (cfr., così, Sez. 3, n. 16673 dei 24/02/2021, P., Rv. 281648 01).
Nel caso in esame, dunque, i giudici salernitani hanno correttamente concluso nel senso che la materiale e, invero, incontestata disponibilità degli atti e la loro utilizzazione da parte della difesa anche ai fini della conduzione del controesame aveva permesso di escludere ogni profilo di nullità ovvero, comunque, di ritenere l’eventuale nullità certamente sanata anche in forza di quanto espressamente disposto dall’art. 183, comma primo, lett. b), cod. proc. pen..
1.2 Con il terzo motivo del ricorso, la difesa di NOME COGNOME eccepisce l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in ambiente carcerario dopo l’arresto del ricorrente avvenuto, per altra causa, il 26/02/2009, in quanto, come riferito dal teste di COGNOME escusso nel corso del giudizio di primo grado, disposte ed eseguite nell’ambito di un diverso procedimento penale avente ad oggetto l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo mafioso attiva nello di spaccio di droga in Pagani, riferibile all’ipotesi delineata al capo A) della rubrica ritenuta tuttavia insussistente già all’esito dei giudizio di primo grado e che, nel contempo, non aveva nulla a che fare con la contestazione di cui al capo P), fondata sulle denunce del Carpentieri che sarebbero intervenute soltanto nel mese di luglio e con cui non sussisteva alcun rapporto di connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen..
Va premesso che l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche o ambientali è certamente suscettibile di essere sollevata per la prima volta innanzi a questa Corte di cassazione, trattandosi di questione di inutilizzabilità assoluta -iievabile anche d’ufficio ai sensi d ll’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. (cfr., così, Sez. 5, n. 42545 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287174 – 01, in cui la Corte ha chiarito che i risultati conseguiti in violazione del divieto di cui &l’art. 270 cod. proc. pen. come formulato alla data di autorizzazione delle operazioni, non sono utilizzabili ai fini della decisione anche se acquisiti al fascicolo dei dibattimento su accordo delle parti, in quanto affetti da inutilizzabilità cd. patologica, qual’ è quella derivante dalla loro assunzione contra legem; cfr., tra le
altre, Sez. 5, n. 23015 del 19/04/2023, Bernard, Rv. 284519 – 01 in cui si è tuttavia precisato che la parte che deduce l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ha l’onere di indicare specificamente gli atti sui quali l’eccezione si fonda e di allegare tali atti qualora non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità; conf., sul punto, Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007; Sez. U, 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329-01, secondo cui, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero, al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative addotte a fondamento del vizio processuale).
Va inoltre precisato che, trattandosi di fatti risalenti, la disciplin processuale cui far riferimento è quella antecedente la riforma dei 2019 (seguita, poi, da quella del 2023) e, dunque, ancorarsi ai principi dettati dalla sentenza delle SS.UU. “Cavallo” n. 51 del 28/11/2019 che, come è noto, avevano stabilito che “in tema di intercettazioni, il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.”.
Nell’occasione, la Corte aveva spiegato che la connessione di cui ai ‘art. 12 cod. proc. pen. “riguarda i procedimenti tra i quali esiste una relazione in virtù della quale la reciudicanda oggetto di ciascuno viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri: si tratta di ipotesi che il nuovo codice di rito pone a base di un criterio attributivo della competenza autonomo e originario (…)” al punto che ” · il carattere originario della connessione ex art. 12 cod. proc. peri. rende ragione del rilievo dottrinale secondo cui essa è un riflesso della connessione sostanziale dei reati” per cui “… in caso di imputazioni connesse ex 12 cod. proc. pen., dunque, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi diverso rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell’intercettazione”.
Proprio tenendo conto dei principi delineati dalle SS.UU., va allora chiarito che, nei caso di specie, l’eccezione difensiva riguarda, evidentemente, l’ipotesi di usura aggravata, per i quale non era e non è previsto ‘arresto in flagranza, atteso
che, invece, il medesimo problema non si pone per quanto concerne l’ipotesi di estorsione.
Tanto premesso, rileva tuttavia il collegio che l’eccezione è infondata.
E’ vero, infatti, che – come effettivamente risulta dalla lettura della sentenza di primo grado (cfr., pagg. 61 e ssgg. della sentenza del Tribunale) l’attività di captazione era stata autorizzata ed eseguita nell’ambito di una indagine relativa ad una associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga nel Comune di Pagani nel cui contesto era emersa la figura di NOME COGNOME che sarebbe stato tratto in arresto il 26 febbraio 2009 “… in quanto responsabile di una tentata estorsione in danno di COGNOME“, ed era stato proprio nel corso di quell’attività che era emersa la figura di NOME COGNOME (cfr., vi, pag. 62).
È anche Vero che, come pure riportato nella sentenza di primo grado, il sodalizio oggetto dell’attività investigativa era stato considerato, nell’ipotesi accusatoria, come operante in Pagani e finalizzato ad una serie di condotte ed iniziative delittuose quali ie estorsioni, l’usura, il riciclaggio ed il reimpiego d denaro proveniente da tali attività, la detenzione ed il porto illegale d’armi, sino al narcotraffico (cfr., ivi, pag. 325 della sentenza di primo grado); in particolare, il giudice di prime cure aveva selezionato, tra le condotte rilevanti, le estorsioni poste in essere in danno di commercianti del Comune di Pagani ma anche di operatori del settore del trasporto ortofrutticolo e, tra tali condotte, anche quella di natura usuraria (ed estorsiva) in danno proprio del RAGIONE_SOCIALE (cfr., ancora, ivi).
In definitiva, l’ipotesi investigativa in relazione alla quale era stata disposta ed era stata eseguita l’attività di captazione (ivi compresa quella che interessa in questa sede) nell’ambito del procedimento originario aveva avuto ad oggetto proprio l’esistenza e la persistente operatività del sodalizio disegnato al capo A) e che, tra le diverse finalità, contemplava proprio l’attività di estorsione e di usura in danno di commercianti ed operatori di Pagani (nei novero dei quali, specificamente, erano stati indicati il Confessore e la moglie di costui, NOME COGNOME), non potendosi dubitare, pertanto, quantomeno in astratto e sul piano della ricostruzione investigativa, dell’esistenza di un rapporto di connessione qualificata tra la contestazione di cui al capo A) e quella di cui al capo P).
Né, d’altra parte, tale rapporto può essere considerato insussistente perché venuto meno ex post per effetto dell’esito assolutorio in cui si era risolta, già in primo grado, la contestazione associativa (cfr., Sez. 3, n. 38491 del 20/06/2024, Silipo, Rv. 287050 – 02 che ha da ultimo ribadito questo principio in punto di competenza per territorio, nel caso di reati connessi ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen. avendo chiarito che la competenza si determina avendo riguardo alla
contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che questa non contenga errori rilevanti, macroscopici e immediatamente percepibili, sicché l’assoluzione da taluni dei reati contestati o l’esclusione di alcune circostanze aggravanti non può condurre “ex post” a un suo mutamento; conf., Sez. 1, n.. 31335 del 23/03/2018, Giugliano, Rv, 273484 – 01; Sez. 6, n. 12405 dei 18/01/2017, G., Rv. 269662 01).
Va comunque precisato che l’assoluzione per il capo A) è conseguita, per una parte degli imputati, dall’accertata coincidenza tra il sodalizio oggetto della contestazione e quello COGNOMECOGNOME-Petrosino già oggetto di un diverso procedimento penale e dalla conseguente operatività della preclusione derivante dal divieto di bis in idem (cfr., pag. 351 della sentenza di primo grado); per altri imputati, la assoluzione dal reato associativo era intervenuta sul rilievo secondo cui gli elementi di prova acquisiti non avevano consentito di dimostrare la persistente attività del sodalizio nei termini temporali indicati nella contestazione originaria e successivamente specificata da! PM all’udienza dell’11/03/2021 (cfr., ivi e, poi, pag. 352).
In entrambi i casi, dunque, l’esito decisorio non è dipeso da un accertamento dell’insussistenza del “fatto” (associativo) su cui erano state attivate le indagini quanto, piuttosto, ad una preclusione di natura processuale oltre che ad un inadeguato approfondimento delle indagini relativamente al periodo oggetto di contestazione.
2. Il capo P) ed i motivi articolati in punto di valutazione della testimonianza della persona offesa COGNOME
Come già accennato, tutte le difese hanno articolato censure e formulato doglianze sulla acquisizione della testimonianza del COGNOME e sulla sua idoneità a sorreggere la affermazione di responsabilità degli imputati in relazione agli addebiti loro ascritti; più in particolare, la difesa del COGNOME ha sviluppato, sul punto, il secondo motivo del ricorso riconducendo le proprie doglianze a vizi di motivazione e, con il terzo motivo, costruendolo in termini di violazione di legge; la difesa di NOME e NOME COGNOME ha formulato un primo motivo sovrapponibile per entrambi i ricorsi – denunziando violazione di legge processuale con riguardo al combinato disposto degli artt. 500, 511 e 526 cod. proc. pen. e, con il secondo ed il terzo motivo, vizio di motivazione sulla valutazione della testimonianza della persona offesa e, in particolare, sul giudizio di attendibilità intrinseca ed estrinseca del Carpentieri; censure simili – dedotte in termini di vizio di motivazione – sono state infine articolate dalle difese di NOME e di NOME COGNOME.
2.1 Prima di affrontare la questione – certamente centrale nell’economia della decisione – è tuttavia utile un sia pur breve riferimento al tenore dell’imputazione, ovvero alla formulazione del capo P) della rubrica in cui non soltanto gli odierni ricorrenti ma, anche NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati tratti a giudizio per rispondere delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv, 110, 644 e 629 in relazione all’art. 628 commi 1 e 3, c.p., art. 7 legge 203/91 perché, in concorso ed unione tra loro nonché con ulteriori soggetti nei cui confronti proseguono le investigazioni, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, quali appartenenti al gruppo criminale RAGIONE_SOCIALE operante in Pagani, dopo aver sottoposto ad indubbie ipotesi di prestito usurario COGNOME NOME e la moglie NOME COGNOME NOME, soggetti che versavano i stato di bisogno al momento della richiesta di denaro, circostanza questa chiaramente nota ad essi indagati, mediante reiterate minacce, di estrema gravità ed allarme sociale, costretto COGNOME NOME e la moglie NOME COGNOME NOME ad elargire loro somme di denaro, titoli cambiati ed assegni, di tal modo costringendo i predetti che versavano in stato coartazione psicologica anche in ragione degli espressi riferimenti degli indagati a contesti di camorra in cui agivano, a subire un conseguenziale ingiusto danno di natura economica: fatti commessi dagli indagati avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p. ed al fine di agevolare le relative attività criminali dell’organizzazione camorristica COGNOME –COGNOME–COGNOME, che da tali attività conseguiva illeciti vantaggi aventi rilevanza economica. Con l’aggravante di aver commesso il fatto in più persone riunite ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso”.
Si tratta di un’imputazione ad un tempo generica e “complessiva”, nel senso che a tutti gli imputati erano state ascritte sia l’ipotesi di usura aggravata che quella di estorsione aggravata in danno del COGNOME e della COGNOME ma dalla quale, all’esito del giudizio di primo grado, era scaturita: l’assoluzione di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; la condanna di NOME COGNOME per entrambi i titoli di reato, in quanto ritenuto responsabile sia dell’usura che dell’estorsione in danno del RAGIONE_SOCIALE; la condanna di NOME COGNOME per il solo delitto di estorsione; la condanna di NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME per il solo delitto di usura; nel contempo, già in primo grado erano state escluse sia l’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 628 cod. pen. che l’aggravante di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen.’ contestata sia in relazione all’uso del metodo che alla finalità di agevolazione di un sodalizio di stampo mafioso; con la sentenza d’appello, il fatto di estorsione è stato poi ricondotto nell’ipotesi del tentativo, con conseguente rideterminazione della pena per COGNOME e per NOME COGNOME con conferma, invece, delle condanne per il delitto di usura, salvo la riduzione della pena inflitta a NOME COGNOME.
È particolarmente significativo che l’ipotesi di usura in danno del COGNOME e della COGNOME era stata formulata senza indicazione alcuna né delle somme di denaro erogate ma nemmeno dei tassi di interesse pretesi e/o applicati; l’accusa, infatti, come appena visto, era stata delineata nel senso che le predette persone offese, in stato di bisogno noto agli imputati, sarebbero state vittima di “indubbie ipotesi di prestito usurario” su cui, quale diretta conseguenza, si sarebbe inserita una condotta che, proprio per la illiceità della pretesa, doveva essere qualificata in termini di estorsione.
Nessuna delle difese, a quanto emerge dalla lettura delle due sentanze e degli atti di impugnazione, aveva eccepito la genericità dei capo di imputazione che, per giurisprudenza costante, concreta una nullità che ha natura relativa e, in quanto tale, non è rilevabile d’ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen. (cfr., Sez. 3, n. 19649 del 27/02/2019, COGNOME S., GLYPH Rv. 275749 GLYPH – GLYPH 01; COGNOME conf., Sez. 6, n. 50098 del 24/10/2013, GLYPH C., GLYPH Rv. 257910 GLYPH 01; Sez. 5, n. 20739 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 247590 – 01).
E, tuttavia, come correttamente osservato dalla difesa di NOME e NOME COGNOME, l’estrema genericità del capo di imputazione aveva consentito di procedere alla ricostruzione dello sviluppo della vicenda sulla scorta delle dichiarazioni (su cui si dovrà tornare in prosieguo) di NOME COGNOME da cui si è ritenuto possibile “enucleare” singole condotte e specifiche responsabilità per ciascuno degli imputati senza alcun effettivo rapporto con la contestazione iniziale che, in definitiva, non ha svolto il ruolo di necessario ed essenziale punto di riferimento per l’accertamento dei fatti finendo per rappresentare nulla di più che una cornice sostanzialmente vuota certamente non in grado di fornire alcuna “guida” nell’attività di ricostruzione dei fatti e di acquisizione degli elementi di prova nei corso del processo.
In altri termini, al rilievo, su cui hanno insistito tutte le difese ma, invero, condiviso dagli stessi giudici di merito, secondo cui le dichiarazioni del COGNOME erano state l’unica fonte di ricostruzione dei fatti, va aggiunta la considerazione secondo cui il racconto della persona offesa aveva potuto svilupparsi liberamente e senza alcuna “limitazione” sancita dai termini della iniziaie (o anche suppletiva) contestazione.
Come pure già accennato, ed a prescindere da quanto si dovrà rilevare quanto alla verifica dell’apporto dichiarativo del COGNOME, la stessa Corte d’appelio ha finito per pervenire ad una ricostruzione della vicenda che, partendo dalla stessa generica e “complessiva” contestazione, è stata diversa che, da quella cui era approdato il giudice di prime cure; in particolare, i giudici salernitani diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale – hanno ritenuto che l’estorsione
in danno del COGNOME non si fosse consumata e che la condotta addebitata al COGNOME ed a NOME COGNOME rimasta allo stadio del tentativo.
2.2 Tanto premesso, le difese hanno variamente, ovvero con diversi approcci dal punto di vista prettamente tecnico ma, unanimemente, censurato le due sentenze di merito sotto il profilo della valutazione della testimonianza di NOME COGNOME.
2.2.1 Ebbene, e pacifico, che le dichiarazioni di NOME COGNOME siano state il principale, se non l’unico, elemento su cui i giudici di merito hanno potuto operare una ricostruzione della vicenda in termini tali (sia pure, come detto, in larghissima parte senza alcun riferimento all’imputazione) da consentire la condanna degli odierni ricorrenti.
In tal senso si era espresso il Tribunale (cfr., pag. 218 della sentenza di primo grado: “… il principale elemento di prova è rappresentato dalle dichiarazioni testimoniali di COGNOME NOME e della moglie NOME COGNOME NOME“) come, anche, la Corte d’appello (cfr., pag. 23-24 della sentenza), secondo cul le stesse risultanze della attività di intercettazione non rappresenterebbero altro che un riscontro alla versione fornita dalla persona offesa, unico pilastro su cui è STATA fondata la decisione (cfr., ivi, pagg. 41 e ssgg.).
Se non ché, come risulta in maniera testuale dalla lettura delle due sentenze ma, invero, soprattutto la sentenza d’appello, in tal senso sollecitata dai rilievi difensivi articolati con gli atti di gravame, l’escussione del COGNOME è stata caratterizzata da un susseguirsi di “non ricordo” seguiti da innumerevoli “contestazioni” del PM che aveva proceduto alla lettura delle dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini e su cui questi aveva finito per convenire in termini più o meno laconici.
Così (cfr., pagg. 24-25 della sentenza in verifica), il COGNOME, dopo aver rievocato l’iniziale rapporto ed il prestito che gli era stato erogato da NOME COGNOME non era stato in grado di ricordarne né l’ammontare né, soprattutto, le condizioni, finendo per acquietarsi su quanto riferito all’epoca nel relativo verbale di cui, come detto, gli era stata data lettura (cfr., pag. 25: “… si, quello che ho detto, tutto quello che ho scritto lo confermo”) e che è stato riportato testualmente nella sentenza d’appello; analogamente, poi, il teste, all’udienza successiva, si era !imitato a confermare il contenuto delle dichiarazioni del 6.7.2009 il cui contenuto, avendone il PM dato lettura, è stato anch’esso integralmente riportato nel corpo della motivazione della sentenza qui impugnata e, in definitiva, ha avuto in tal modo direttamente ingresso nel processo (cfr., ivi, pagg. 25-26); la Corte d’appello, nel riportare la testimonianza del COGNOME, ha proseguito dando atto, ancora, delle “conferme” del teste di quanto – a fronte del suo mancato ricordo gli era stato letto dal PM (cfr., ancora, pag. 26: “… quello che è scritto è conforme
alla realtà, cioè è la verità …”); in termini del tutto analoghi, ovvero con la mera conferma delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari anche in tal caso riportate nel loro contenuto (cfr., pag. 26, anche in tal caso; lo stesso modus operandi aveva inoltre riguardato la vicenda del “subentro” di NOME COGNOME nel credito vantato da NOME COGNOME (cfr., ancora. pag. 26: “… in proposito, a seguito di lettura delle contestazioni rese illo tempore … il COGNOME ha affermato cne questa è la verità”); lo stesso dicasi per quanto riguarda, ancora, la comparsa, neiia vicenda, di “NOMECOGNOME (cfr., ancora, pagg. 26-27: ” ha altresì precisato di non rammentare la successione temporale e di aver visto il citato COGNOME una sola volta” avendo proseguito nella sua deposizione “… a séguito di ulteriore sollecitazione del PM” con integrale riproduzione delle dichiarazioni di cui era stata data lettura; cfr., ancora, pagg. 27-28: “… quanto alla ulteriore contestazione del PM …” seguita dalla affermazione del teste che, prima aveva sostenuto di non ricordare per poi, nuovamente, sostenere che “… se l’ho detto allora vuol dire che era vero …” e, ancora, confermare “… quanto dichiarato davanti alla PG in data 6-7-2009” integralmente riportato in sentenza); la deposizione era proseguita, ancora, con l’ulteriore lettura “a contestazione” (cfr., ivi, pag. 28) pure in tal caso testualmente riprodotta nella motivazione e con la consueta precisazione secondo cui “… la persona offesa ha affermato di non ricordare, ribadendo però di aver riferito la verità all’epoca delle prime dichiarazioni e, quindi, confermando quando narrato illo tempore”; anche con riferimento alle minacce che avrebbe subito da NOME COGNOME, il COGNOME, come si legge nella sentenza in verifica (cfr., pag. 29), aveva inizialmente premesso che “non mi ricordo” salvo, ancora una volta, confermare “… quanto dichiarato in data 10.7.2009 …” nelle dichiarazioni di cui, pure in tal caso, il cui testo è stato riportato in motivazione; ulteriori e numerosi “non ricordo” – come pure risulta dalla lettura della sentenza – avevano caratterizzato il controesame condotto dalle difese’ con particolare riguardo all’instaurazione del rapporto con NOME COGNOME (cfr., pag. 29) ma, anche, in ordine all’intervento dei COGNOME come del Confessore (cfr., ivi, ancora, pag. 30). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È stata, da ultimo, la stessa Corte d’appello a dar conto che il Confessore avevva fatto presente che se il PM “… non mi rinfrescava la memoria io non mi ricordavo niente ! Ma niente ! L’avevo cancellata questa situazione …” (cfr., pag. 30).
2.2,2 Ebbene, proprie in considerazione e tenuto conto delle modalità di acquisizione della testimonianza del COGNOME, la difesa di NOME e NOME COGNOME ha eccepito la nullità della deposizione del COGNOME per violazione degli artt. 500, 511 e 526 cod. proc. pen., anche in relazione all’art. 111 della Costituzione: ha segnalato, in particolare, come il COGNOME, nel corso della sua
deposizione, avesse costantemente confessato la difficoltà a ricostruire i fatti e, anzi, avesse per lo più francamente ammesso di non essere in grado di riferire in proposito, costringendo i giudici di merito a “contestargli” le dichiarazioni che erano state da lui rese nel corso delle indagini preliminari e che, in tal modo, all’esito di una loro laconica “conferma” da parte del teste, avevano finito per essere state integralmente riprodotte e direttamente utilizzate ai fini della decisione.
in tal modo, secondo la difesa, attraverso una indebita e non consentita utilizzazione dello strumento delle “contestazioni”, disciplinato dall’art. 500 cod. proc. pen., i giudici di merito avrebbero dato ingresso, nel dibattimento, alle dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari su cui, più o meno esclusivamente, hanno poi fondato la condanna degli imputati; il tutto, quindi, in palese violazione del disposto di cui ai comma quinto dell’art. 111 della Costituzione.
Ebbene, il codice di rito, con l’art. 500 cod. proc. pen., detta una disciplina relativa alle “contestazioni nell’esame testimoniale” stabilendo, ai primo comma, che “… le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute ne! fascicolo del pubblico ministero” aggiungendo che “… tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto”; al secondo comma, poi, la disposizione chiarisce che “… le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste”.
La norma, quindi, vieta in ogni caso che le dichiarazioni predibattimentaii possano essere valutate e considerate ai fini della decisione limitandone l’utilizzo ala verifica della attendibilità del teste che sia messa in dubbio dalla difformità tra quanto riferito in aula e quanto invece affermato nel corso delle indagini preliminari.
Ed è proprio questa funzione, di controllo sull’attendibilità del teste, che spiega la ragione per la quale alla contestazione si può procedere soltanto dopo che il teste abbia già deposto, ovvero dopo che, ed in quanto, sia emersa una reale difformità che, proprio attraverso quello strumento, può essere evidenziata al teste il quale, a quel punto, può ribadire la veridicità di quanto riferito in aula ovvero me/ius re perpensa confermare invece :a versione fornita precedenza: nel primo caso, ie dichiarazioni utilizzate per le contestazioni saranno acquisite ed utilizzabili al solo fine di valutare “… ia credibilità del teste certamente non nel loro contenuto.
Diversa, ed estranea al caso che ci occupa, è la disciplina dettata dall’art. 499, comma quinto, cod. proc. pen., secondo cui “il testimone può essere
autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti”.
Detta disposizione, infatti, si applica, per l’appunto, agli atti redatti dal teste e’ al di là del caso, statisticamente più frequente, dell’operante di PG chiamato a riferire sull’esito delle indagini espletate e sintetizzate nelle informative o in altri atti da lui stesi o sottoscritti, è stata intatti ritenuta correttamente applicata alla querela che fosse stata tuttavia predisposta direttamente dalla persona offesa laddove, nel caso di querela redatta dall’ufficiale di PG, deve trovare applicazione, se del caso, proprio la diversa disciplina di cui all’art. 500 cod. proc. pen. (cfr., Sez. 2, n. 16026 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279226 – 01, in cui la Corte ha chiarito che il contenuto della querela può essere legittimamente utilizzato nel corso della deposizione della persona offesa quale «aiuto alla memoria» ex art. 499, comma 5, cod. proc. pen., nel caso in cui essa sia stata redatta dallo stesso testimone e presentata per iscritto al pubblico ministero, ad un ufficiale di polizia giudiziaria o ad un agente consolare all’estero, ovvero ai fini delle contestazioni ex art. 500, commi 1 e 2, cod. proc. pen., quando ia querela sia stata proposta oralmente e ricevuta in apposito verbale, trattandosi di dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero; cfr., sulla differenza tra le due disposizioni, anche Sez. 4, n. 26387 del 07/05/2009, Giunta, Rv. 244401 – 01, secondo cui, ai fini dell’applicazione del disposto di cui all’art. 499, comma quinto, cod. proc. pen., non può operarsi alcuna differenziazione tra il concetto di “aiuto totale” e quello di “aiuto parziale” nel ricordo di un fatto, atteso che la specificità della previsione rispetto a quella della “contestazione” di cui all’art. 500 cod. proc. pen. non è nella “parzialità dell’aiuto”, ma nelle modalità del medesimo, nel senso che l’aiuto, a norma dei cit. art. 499, viene dato al teste mostrandogli un documento da lui redatto, mentre la “contestazione” avviene mediante il ricordo ai teste cli dichiarazioni da lui precedentemente rese e sulie quali egli abbia già deposto).
Come accennato, la difesa dei COGNOME ha osservato che, nel caso di specie, attraverso un uso distorto della “contestazione”, le dichiarazioni predibattimentali rese dal COGNOME – ed il cui tenore è stato integralmente riprodotto nella motivazione della sentenza — sarebbero state esse stesse direttamente utilizzate ai fini della decisione.
La “distorsione” sarebbe consistita nei fatto che la contestazione era intervenuta non già a fronte di dichiarazioni rese in aula dai teste dai tenore difforme rispetto a quanto riferito nel corso delle indagini preliminari ma, ben diversamente, a fronte di una più o meno assoluta assenza di ogni ricordo dei fatti e, pertanto, al di fuori dell’ambito operativo immaginato e disciplinato dal legislatore.
Né, si è sottolineato, il meccanismo delle “contestazioni” era stato utilizzato per “ravviavare” o “integrare” il ricordo fallace o incompleto del teste; ben diversamente, era intervenuto per tener luogo ad un ricordo in realtà del tutto assente e, come è spesso emerso, che non è stato nemmeno “ripristinato” nella mente del teste che si era limitato a “rimettersi” alle precedenti dichiarazioni avendo ribadito, pur dopo la loro lettura, di non ricordare le circostanze ed i fatti ivi riportati.
La giurisprudenza ha dunque chiarito che, nel caso di contestazione effettuata a ségjito del mancato ricordo del teste il quale, all’esito della lettura delle sue precedenti dichiarazioni, ne confermi il contenuto, le dichiarazioni rese all’epoca finiscono per entrare nel processo come vera e propria testimonianza resa in dibattimento (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, COGNOME, Rv. 270091 01, secondo cui le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che manifesti genuina difficoltà di elaborazione del ricordo, ove lo stesso ne affermi la veridicità anche mediante richiami atti a giustificare il “deficit” mnemonico, devono ritenersi confermate e, in quanto tali, possono essere recepite ed utilizzate come se rese direttamente in dibattimento; conf., Sez. 2, n. 13910 del 17/03/2016, lvligliaro, Rv. 266445 – 01, in Clii la Corte
Detto questo, il collegio richiama, tuttavia, il costante orientamento della Corte secondo cui, nel corso dell’esame dibattimentale del testimone e delle parti private è possibile procedere alla contestazione delle dichiarazioni rese in precedenza dai soggetti esaminati tutte le volte in cui queste ultime presentino difformità con le dichiarazioni dibattimentali e, in particolare, sia nel caso che, in dibattimento, il soggetto esaminato manifesti una conoscenza diversa, sia che affermi di non ricordare le vicende o i fatti su cui viene sentito e sui quali aveva invece riferito in precedenza (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 10483 del 21/02/2012, Russo, Rv. 252707 – 01, in cui la Corte ha precisato che, !addove il teste dichiari di non ricordare il fatto o !a circostanza su cui viene esaminato, ma, a seguito della contestazione, affermi che, pur non avendone attuale ricordo, quanto dichiarato in precedenza e ritualmente contestogli è sicuramente vero, non trova applicazione la disciplina in tema di utilizzabilità delle dichiarazioni acquisite a seguito di contestazioni, ma valgono le regole generali in ordine alla valutazione dell’attendibilità dei dichiarante; conf. ; Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, COGNOME, Rv. 264014 – 01 in cui, pure, si è ribadito che può procedersi alla contestazione delle dichiarazioni rese in precedenza dai soggetti esaminati tutte le volte in cui queste ultime presentino difformità con le dichiarazioni dibattimentali, sia che in dibattimento il soggetto esaminato manifesti una conoscenza diversa, sia che riveli di non ricordare le vicende o i fatti sui quali aveva riferito in precedenza). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
aveva chiarito che le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone possono essere valutate come dichiarazioni rese direttamente dal medesimo in sede dibattimentale solo se siano state successivamente confermate potendo essere valutate solo ai fini della credibilità, ma mai come elemento di riscontro o come prova dei fatti in esse narrati, neppure quando il dichiarante, nel ritrattarle in dibattimento asserendone la falsità, riconosca di averle rese; cfr., ancora, Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273455 – 01, in cui la Corte ha ribadito che le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che siano state confermate, anche se in termini laconici, vanno recepite cc valutate come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiché l’art. 500, comma 2, cod. proc. pen. concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni; conf., ancora, Sez. 4, n. 18973 del 09/03/2009, COGNOME, Rv. 244042, Sez. 2, n. 10483 del 21/02/2012, COGNOME, Rv. 252707).
Si è detto, infatti, che, per effetto della contestazione al cui contenuto il teste si sia riportato confermandone il tenore, oggetto di testimonianza finiscono per essere le dichiarazioni predibattimentaii che, in quanto oggetto di conferma, sono dunque legittimamente utilizzabili e suscettibili di valutazione ai fini della decisione; ciò sia quando il teste rimandi al più vivido ricordo dei fatti in occasione delle informazioni rese in fase di indagini, sia quando si !imiti all’affermazione che quanto in precedenza dichiarato risponda al vero, giacché la risposta alla contestazione per difetto di ricordo veicola nel dibattimento quanto già dichiarato in precedenza (cfr.,Sez. 2, n. 31593 del 13/07/2011, COGNOME, Rv. 250913: Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015 Rv. 264014)
2.2.2 Escluso, pertanto, che tale “prassi” possa dar luogo ad un profilo di nullità o inutilizzabilità della testimonianza, va detto che tutte le difeese, ivi compresa quella di NOME e NOME COGNOME hanno tuttavia insistito sul vizio di motivazione che affliggerebbe la sentenza impugnata dal punto di vista della verifica della attendibilità del teste ie cui dichiarazioni, come accennato, hanno rappresentato il sostanziale fondamento della decisione di condanna degli odierni ricorrenti.
Si tratta di rilievi fondati.
Osserva a tal proposito il collegio che l’obbligo di motivare, in maniera congrua ed esaustiva, in ordine alla attendibilità del teste – persona offesa consegue in maniera inesorabile proprio dal meccanismo della “contestazione” che, per l’appunto, suppone e si attiva, per ‘appunto, a seguito o di una difformità di versioni tra quella resa in aula rispetto a quella acquisita nel corso delle indagini preliminari ovvero, come nel caso di specie, di un “non ricordo” cui segua la conferma del contenuto di dichiarazioni predibattimentali che i teste non sia stato
tuttavia in grado – in prima battuta – di rendere rispondendo alle domande del pubblico ministero.
In entrambi i casi, infatti, il giudice è tenuto a motivare, nel caso di condanna, sul perché, nel primo, ritenga di poter fondare la sua decisione sulle dichiarazioni rese dal teste in aula nonostante siano risultate difformi rispetto a quelle rese in precedenza; nel secondo caso, sulle ragioni che possano giustificare un mancato o incompleto ricordo dei fatti su cui era stato chiamato a riferire e che, come nel caso di specie, avevano formato oggetto di denuncia nei confronti degli imputati; in ogni caso, anche laddove il teste abbia finito per convergere sulle dichiarazioni rese nel corso delle indaini preliminari, sulle ragioni per !e quali egli abbia inizialmente fornito in aula una versione diversa e non sia stato in grado di rispondere sin da subito in termini coerenti con il contenuto delle dichiarazioni predibattimentali.
Ed è per l’appunto su questo versante che la sentenza in esame è oggettivamente carente.
Va in primo luogo rilevato che, come sottolineato dalle difese e ancora una volta – obiettivamente risultante dalla stessa lettura della motivazione, le “contestazioni” formulate dal pubblico ministero erano intervenute non già a seguito di un incompleto o impreciso ricordo del teste quanto ; piuttosto, ad una assoluta incapacità del COGNOME di riferire spontaneamente ed in prima battuta su circostanze assolutamente centrali nella ricostruzione della vicenda ed ai fini della valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi dei delitti ascritti agli imputati.
In altri termini, il COGNOME aveva reiteratamente e candidamente ammesso di non ricordare nulla a partire – ad esempio – dai termini del prestito inizialmente richiesto al COGNOME, di cui non era stato in grado di riferire né l’entità ma nemmeno le condizioni; analogamente va rilevato quanto al contatto con NOME COGNOME e, ancora, alle modalità ed alla “causale” del “subentro” del COGNOME nel rapporto debitorio e, poi, dell’avvento, nella vicenda, di NOME (“NOME“) COGNOME e di NOME Confessore.
La Corte d’appello ha in primo luogo richiamato i principi, si cui si è detto in precedenza, delineati dalla giurisprudenza sui redime delle dichiarazioni (anche meramente) confermative di quelle rese dal teste in sede predibattimentale (cfr., pag. 30) e, di seguito, ha formulato una diagnosi di attendibilità “estrinseca” delle dichiarazioni del COGNOME il cui racconto risulterebbe “.. – tenuto conto anche delle numerose contestazioni relative a molteplici segmenti delle dichiarazioni predibattimentali -, quanto al nucleo essenziale delle accuse, sufficientemente preciso, coerente, logico, lineare, orientato nel tempo e nello spazio ” (cfr., pag. 30).
Orbene, in tal modo i giudici del gravame di merito hanno operato una valutazione che riguarda il complesso delle dichiarazioni rese dal teste ma che, come si è detto, è stato il frutto, per la stragrande maggioranza, del ricorso al meccanismo delle “contestazioni” e, per questa via, delle dichiarazioni di quelle delle quali egli si era limitato a confermare il contenuto rispetto a quanto riferito in precedenza dopo aver premesso di non ricordare nulla di quanto gli era stato chiesto.
Il collegio deve allora ribadire che la valutazione sull’affidabilità del complesso delle dichiarazioni rese dal teste deve tuttavia passare per un reale confronto con le ragioni per le quali sia stato necessario sollecitarne il ricordo attraverso la lettura – e, per questa via, la sostanziale acquisizione – di quelle rese in sede predibattimentale; si tratta di un obbligo che, come è opportuno ribadire, discende direttamente dal disposto di cui all’art. 500, comma secondo, cod. proc. pen. e che, peraltro, è tanto più stringente quanto più sia rilevante la difformità tra quanto riferito in aula ed il contenuto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari sino al punto, come nei caso di specie, della integrale “sostituzione” di queste ultime ad una pressoché totale assenza di spontaneo ricordo da parte del teste.
La sentenza impugnata ha, invero, sostenuto che il teste “… non si sia :imitato ad asserire di non ricordare e a confermare le precedenti dichiarazioni, ma abbia rievocato, in modo spontaneo/autonomo e/o comunque puntualizzato tratti salienti della vicenda che ci occupa (cfr., ivi, pag. 33); se non ché, partendo da questa seconda considerazione, osserva il collegio che la Corte territoriale, per corroborare questa affermazione, ha sintetizzato il contenuto del ricordo “spontaneo/autonomo” del COGNOME che, tuttavia, come è possibile rilevare dalla diretta lettura della sentenza, riguardano aspetti, fatti, circostanze che, di per sé, risultano privi di alcun rilievo sui piano della configurabilità dei delitt contestati ed infine ritenuti.
La Corte d’appello ha cercato, cioè, di evidenziare un “nucleo centrale’ della ricostruzione proposta dal COGNOME facendo presente che costui, pur non essendo stato in grado di ricordarne i termini, aveva comunque riferito del suo iniziale rapporto con COGNOME e, poi, dell'”avvento”, nella vicenda, del COGNOME e dei due COGNOME: e, tuttavia, proprio scorrendone i termini come richiamati dai giudici di merito, è possibile rendersi conto che questo “nucleo centrale”‘ ovvero questi “tratti salienti” (cfr., pag. 33 della sentenza) risultavano in realtà per essere del tutto “neutri” sul piano della rilevanza penale dei relativi rapporti tra le parti che, invece, hanno assunto rilievo soltanto alla luce dei contenuto delle dichiarazioni predibattimentaii oggetto di più o meno automatica e non circostanziata conferma.
In altri termini, pur avendo il COGNOME riferito di un iniziale “cont con NOME COGNOME e, poi, con COGNOME ed i due COGNOME (e’ va pur detto, sotto questi due aspetti non essendo stati in grado dì precisare in alcun modo le “ragioni” ed il “titolo” in forza del quale costoro sarebbero subentrati nel rapporto c l’iniziale creditore), è stato soltanto attraverso il richiamo alle dichiara precedentemente rese che è stato possibile, nelle due sentenze, argomentare circa la rilevanza penale degli accordi intercorsi tra le parti e delle pretese che sarebber state fatte valere nei confronti della persona offesa.
Sul piano soggettivo, inoltre, la Corte ha inoltre giustificato il manca ricordo del COGNOME alla luce dell’ampio iato temporale intercorrente tra l data della deposizione (anno 2017) e l’epoca di commissione dei fatti (risultante, all’incirca, agli anni 2008 e 2009) nonché dalla complessità del rapporto usurario instaurato con i vari, molteplici, imputati e consolidatosi nel corso del tempo” (cf pagg. 30-31 della sentenza impugnata).
E, tuttavia, pur a fronte del tempo trascorso e della complessità e sovrapporsi nel tempo di rapporti di debito, occorreva spiegare – con argomentazioni che non fossero di mero stile e tali da risolversi in uno steril richiamo alla distanza temporale dei fatti – il motivo per il quale il RAGIONE_SOCIALE era stato in grado di riferire nemmeno sulla somma inizialmente mutuata e sulle condizioni alle quali il primo prestito sarebbe stato erogato.
Si trattava, infatti, dell’origine della vicenda che, sia pure travolta d eventi successivi, avrebbe dovuto lasciare una qualche traccia nella memoria della persona offesa la cui sostanziale attendibilità è stata inoltre motivata, dalla Cor d’appello, con la mancata costituzione di parte civile e, pertanto, con l’assenza d un interesse patrimoniale direttamente versato nel processo: dimenticando, i giudici dì secondo grado, l’accesso ad una serie di benefici previsto dalla legislazione nazionale e, comunque, la nullità prevista dai secondo comma dell’art. 1815 cod. civ..
Va poi rilevato che, ancora una volta partendo dalla lettura della sentenza di secondo grado, la deposizione del COGNOME non ha potuto trovare un reale conforto in quella della COGNOME che, per ammissione anche dei marito, non era stata messa a parte della vicenda essendosi limitata a consegnare degli assegni a NOME COGNOME (cfr., pag. 35 della sentenza) ed a riferire delle pressioni e de minacce subite da NOME COGNOME e da NOME COGNOME non essendo stata in grado, tuttavia, di indicare quale fosse il “titolo” delle pretese vantate da costor ia teste, insomma, non ha potuto fornire un apporto ulteriore rispetto alle circostanze fattuale che – come emerge dalla motivazione – erano state ammesse dallo stesso COGNOME il quale aveva riferito di un suo prestito ai RAGIONE_SOCIALE e del
sua conoscenza con NOME e NOME COGNOME che lo aveva accompagnato presso RAGIONE_SOCIALE (cfr., ivi, pag. 37).
Quanto agli assegni che la COGNOME avrebbe consegnato al COGNOME, risulta ancora una volta dal tenore della sentenza impugnata che, se da un lato il COGNOME, in sede di controesame, aveva recisamente escluso di aver mai concesso – tramite la sua società – un finanziamento all’odierno ricorrente (cfr., pag. 29: “mai”), nel contempo, a domanda del PM, aveva invece ammesso che, in passato (cfr., pag. 28: “… quando stavano ancora bene, quasi bene”), i COGNOME aveva chiesto ed ottenuto un finanziamento perché “… doveva pagare per finire dei garage …” (cfr., ivi).
La Corte d’appello ha inoltre ritenuto di poter sostenere la ricostruzione fornita dal COGNOME con il contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, sulla cui utilizzabilità, quanto alle seconde, si è peraltro argomentato in precedenza.
Ebbene, il contenuto delle prime – ovvero delle intercettazioni telefoniche – ha ad oggetto delle conversazioni intercorse tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME, il cui testo è riportato nel corpo della sentenza (cfr., pagg. 37-40), ma che è evidentemente in grado di assumere un qualche rilievo soltanto alla luce della ricostruzione fornita dalla persona offesa; di per sé, infatti, si tratta di conversazioni dal contenuto del tutto neutro ovvero, a ben guardare, in astratto coerente con la ricostruzione alternativa proposta dalla difesa di NOME COGNOME quanto al finanziamento che il RAGIONE_SOCIALE gli aveva assicurato di poter ottenere ed al quale, invece, non aveva dato séguito ma, anche, all’assegno consegnato al ricorrente per l’acquisto di gadget pubblicitari tramite una terza persona e mai coperto (cfr., ad esempio, pag. 39, la telefonata n. 1914 in cui il COGNOME fa riferimento alla scadenza dell’assegno “per la pubblicità”, oltre che, nella telefonata n. 1516, alla “pratica” del finanziamento che sarebbe stato richiesto dal ricorrente tramite il COGNOME).
Altrettanto dicasi, se non altro quanto alla loro sostanziale “neutralità”, alle conversazioni intercettate in ambientale (cfr., pagg. 40-43) da cui emerge, certamente, l’esistenza di un complesso di rapporti di natura patrimoniale interessanti NOME COGNOME, NOME COGNOME e lo stesso COGNOME, la cui natura è tuttavia assolutamente confusa e non ricostruibile, nemmeno indirettamente, sulla base dei loro contenuto: valga per tutti il riferimento al finanziamento di 28 mila euro che, secondo i! Confessore, il COGNOME avrebbe fatto “in faccia a me” (cfr., pagg. 42-43).
Ancora una volta, cioè, si tratta di “riscontri” privi di un’autonoma valenza indiziaria che è stata loro attribuita soltanto alla luce di una lettura orientata dalle dichiarazioni del COGNOME.
2.2.4 Va rilevato, inoltre, che, in evidente contraddizione con il ritenuto carattere asseritamente”… preciso, coerente, logico, lineare, orientato nello spazio e nel tempo …” (cfr., pag. 30) delle dichiarazioni del COGNOME, la Corte d’appello, sul punto riformando la sentenza di primo grado (cfr., pagg. 227-229 quanto alla ricostruzione dell’estorsione come delitto consumato) – pur avendo concluso per la natura usuraria delle pretese fatte valere dal COGNOME e da NOME COGNOME con il ricorso alle minacce – ha dovuto ricondurre il fatto di estorsione nella fattispecie del tentativo; i giudici salernitani si sono determinati in tal senso osservando che non era stata acquisita la prova che il RAGIONE_SOCIALE si fosse risolto a consegnare denaro e/o titoli “… poiché non libero di autodeterminarsi a causa delle soprammentovate minacce” (cfr., pag. 54); ha richiamato, in particolare, la “contestazione” del PM il cui contenuto ha stimato poco chiaro tanto da non consentire di comprendere “… né la tipologia dell’imposizione né che la traditio, avvenuta circa un mese addietro, sia conseguenza diretta di una condotta minatoria o violenta” (cfr., ivi); in tal modo, a ben guardare, la Corte non si è limitata a ritenere insufficiente la prova del nesso causale tra la minaccia e la dazione ma, ancor prima, ha dovuto ammettere che non erano stati acquisiti elementi idonei a ricostruire in termini adeguati la stessa “tipologia dell’imposizione”, ovvero della pretesa che sarebbe stata avanzata dagli odierni ricorrenti e la cui illiceità, come è pacifico, riposava proprio sulla natura usuraria del credito sottostante.
2.2.5 Taluna delle difese ha inoltre corroborato le sue considerazioni, circa la inadeguata valutazione della attendibilità delle dichiarazioni dei Carpentieri, con la decisione della Corte di revocare la confisca che era stata disposta dal primo giudice ai sensi dell’art. 644 ultimo comma, cod. pen., nella misura di euro 67.350,00 “calcolata previa sottrazione gli importi, complessivamente corrisposti dal Carpentieri e pari a 92.350,00 euro, delle somme cumulativamente oggetto delle pattuizioni di prestito, ovverossia 25.000 euro …” (cfr., pag. 287 della sentenza di primo grado).
i giudici di secondo grado, in effetti, hanno revocato la misura in quanto “la persona offesa, ha sì affermato di aver corrisposto somme di denaro e di aver consegnato titoli di credito … ma non è stata in grado di fornire indicazioni specifiche quanto alla entità degli interessi usurari effettivamente pagati” (cfr., pag. 60 della sentenza in verifica).
2
È vero che il delitto di usura si configura come reato a schema duplice e-2, quindi, si deve ritenere perfezionato con la sola accettazione della promessa degli
interessi o degli altri vantaggi usurari, ove alla promessa non sia seguita effettiva dazione degli stessi, ovvero, nella diversa ipotesi in cui la dazione sia stata
effettuata, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria. (cfr., in tal senso, ad esempio, Sez. 2, n. 23919 del 15/07/2020, Basilicata, Rv. 279487 –
01; conf., Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 280313 – 01, secondo cui il delitto ai atteggia secondo il duplice schema dei delitti c.d. “a condotta
frazionata o a consumazione prolungata”, perché i pagamenti ed i comportamenti il
compiuti in esecuzione del patto usurario, già penalmente rilevante, segnano momento consumativo sostanziale del reato e, dunque, non sono qualificabiii come
postfacturn non punibile; conf., ancora, Sez. 1, n. 40380 dell11/6/2015, Rv.
264887; Sez. 2, n. 33871 del 2/7/2010, Rv. 248132; Sez. 2, n. 53479 del
15/11/2017, non mass.).
E, tuttavia, la revoca della confisca assume rilievo, nel caso di specie, proprio per !e ragioni per le quali è stata disposta, ovvero – come si è visto – per
l’inadeguatezza, sul piano probatorio, delle dichiarazioni del COGNOME circa l’entità delle somme erogate in attuazione della pattuizione che si assume usuraria e sui cui termini, si è detto, egli non era stato in grado di fornire alcuno spontaneo contributo risultando, solo ed esclusivamente, dalla conferma delle dichiarazioni predibattimentali.
2.2.6 Le considerazioni sin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli che dovrà procedere ad una complessiva rivalutazione degli elementi acquisiti alla luce dei principi richiamati e delle argomentazioni difensive già sviluppate con gli atti d’appello in merito alla natura ed alla “tenuta” delle dichiarazioni della persona offesa e dei relativi riscontri.
Gli ulteriori motivi di gravame sono assorbiti.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 18/03/2025
Il consigl” sore