Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7752 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7752 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Foggia il 16/11/1956, avverso l’ordinanza del 08/07/2024 del Tribunale di Bari; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 8 luglio 2024, depositata il 5 agosto 2024, il Tribunale di Bari ha respinto l’appello cautelare proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza del Tribunale di Foggia del 14/05/2024, con la quale è stata rigettata l’istanza di declaratoria di inefficacia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 297, comma 3, e 303 cod. proc. pen., della misura della custodia cautelare in carcere disposta a carico del ricorrente con ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bari il 13/07/2023.
2. Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME propone ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 297, comma 3, e 303 cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla esclusione della inefficacia della misura cautelare in applicazione dei principi in materia di divieto di c.d. “contestazioni a catena”.
Premette il ricorrente che il Tribunale di Bari, con l’impugnata ordinanza, ha ritenuto che i nuovi elementi valorizzati a fondamento della richiesta difensiva non avessero intaccato il giudicato cautelare formatosi a seguito dell’adozione della sentenza di questa Corte n. 154 (quale numero di sentenza della sesta sezione, mentre il numero generale è 10127) del 31/01/2024, nella quale era stato evidenziato, da un lato, che non risultava dimostrata la desumibilità dagli atti del primo processo (5557/2017 R.G.N.R. DDA BARI) della gravità indiziaria per i delitti contestati nel procedimento oggetto di giudizio (3892/2022 R.G.N.R. DDA BARI) e, dall’altro, che il delitto ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990 era contestato con formula aperta nel procedimento oggetto di giudizio (3892/2022), spostando così la consumazione dello stesso sino alla data della sentenza di primo grado.
Deduce il ricorrente che, alle udienze del 6 febbraio 2024 e del 2 aprile 2024, il teste maresciallo NOME COGNOME ha dichiarato a) che l’attività investigativ aveva avuto inizio nel 2016 ed era terminata nel marzo 2018, anche se nel dicembre 2019 erano state eseguiti perquisizioni, sequestri, assunzioni di informazioni da collaboratori di giustizia, arresti, b) che l’attività investiga aveva originato più procedimenti, tra i quali il proc. n. 5557/2017 R.G.N.R. denominato “decimazione bis” ed il proc. n. 2892/2022 R.G.N.R. denominato “over game”. Aggiunge il ricorrente che il contenuto delle dichiarazioni del teste COGNOME corrisponde con quanto evidenziato nella informativa del 29/12/2021, nella quale si indica che l’indagine nasceva con il procedimento penale n. 34257/2016 mod. 44 DDA dal quale si separava l’odierno procedimento che consentiva di raccogliere dati investigativi che determinavano l’esecuzione di cinque refertazioni
cronologicamente successive: il procedimento “decima azione”, il procedimento “gold rush”, il procedimento “start&stop”, il procedimento “decima bis”.
Sostiene la difesa che la posizione del ricorrente nel presente processo era già nota, in tutta la sua interezza, già dal marzo 2018 e che, in epoca successiva a tale data, non era stato acquisito alcun elemento significativo della sua appartenenza al gruppo associativo dedito al traffico di stupefacenti: dalle perquisizioni e dai sequestri successivi nulla era emerso nei confronti del ricorrente; i collaboratori di giustizia non avevano specificato condotte tenute dal ricorrente, tanto che nei provvedimenti cautelari non era stata valorizzata una chiamata in correità. Pertanto, gli indizi di reità a carico del ricorrente eran costituiti dalle sole intercettazioni telefoniche o captazioni ambientali, sulle cu trascrizioni deve vigilare il P.M., già contenuti nel fascicolo del P.M. si dall’adozione della prima ordinanza del novembre 2018, mentre la separazione dei processi era stata conseguenza della scelta del P.M.
Argomenta, infine, il ricorrente che, all’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n 309/1990, qualificata unicamente dai reati-fine, non si applica la regola della tendenziale stabilità del sodalizio, in difetto di elementi contrari attestanti recesso individuale o lo scioglimento del gruppo, e, seppur in presenza di una contestazione aperta, il teste COGNOME ha specificato che alcun fatto avrebbe commesso il ricorrente in epoca successiva al marzo 2018.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, con la quale si ribadisce che il giudicato cautelare formatosi a seguito della sentenza di questa Corte n. 10127 del 31/01/2024 era stato ampiamente superato dalle dichiarazioni testimoniali del maresciallo NOME COGNOME e nella informativa del 29/12/2021, essendo stata la separazione dei procedimenti n. 557/2017 R.G.N.R. e 3892/2022 R.G.N.R., entrambi pendenti innanzi alla DDA di Bari, una scelta del P.M., che, sin dall’origine, aveva piena conoscenza dell’intero materiale investigativo, tanto che dalla lettura delle ordinanze cautelari emergeva che erano stati valorizzati indizi acquisiti tutti nel marzo 2018.
E’ pervenuta altresì memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, con la quale si rimarca che il momento di deducibilità della gravità indiziaria non può essere rimesso alla scelta della Polizia Giudiziaria, che agisce sotto la direzione del P.M., di quando trascrivere i contenuti delle intercettazioni e quando compendiarle in una informativa di reato, sicchè l’eventuale intempestiva attività della P.G. non è un fatto che resta al di fuori del controllo del giudic rientrando nell’iniziativa del P.M. che il giudice deve controllare. Ed il controllo d momento di desumibilità degli atti degli elementi indiziari prescinde, ad avviso della difesa, dalla formale redazione dell’informativa di reato che compendi le
operazioni di trascrizione. Del resto, per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309 che si caratterizza per la realizzazione dei reati fine, l’assenza di ulteriori element indizianti oltre il marzo del 2018, ancorchè vi fossero state altre attività di ricer della prova nel 2019, non consentiva di estendere la permanenza associativa oltre tale momento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente richiamare lo sviluppo interpretativo giurisprudenziale, compiutamente descritto nella pronuncia Sez. 6, n. 10127 del 31/01/2024, che ha caratterizzato l’istituto della retrodatazione dei termini di custodia cautelare di cui all’art. 297 cod. proc. pen.
Ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., «se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma».
2.1 La portata applicativa della norma in esame è stata ampliata da alcune pronunce della Corte costituzionale: la sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale è stata dichiarata la illegittimità dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nell parte in cui “non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”; la sentenza n. 233 del 2011, con la quale è stata dichiarata la illegittimità dello stesso art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prim ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
2.2 Le Sezioni unite COGNOME e COGNOME (rispettivamente, n. 21957 del 22/03/2005, Rv. 231057-8-9 e n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Rv. 23590910-11) hanno ravvisato tre distinte ipotesi di contestazione a catena.
2.2.1 Innanzitutto, l’emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica. In queste situazioni, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive, prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità, al momento dell’emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure (art. 297, comma 3, prima parte, cod. proc. pen.).
2.2.2 In secondo luogo, il caso in cui, in procedimenti diversi, vengano emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una delle tr forme di connessione qualificata sopra indicate in cui la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui stata emessa la prima ordinanza (art. 297, comma 3, seconda parte, cod. proc. pen.).
2.2.3 Infine, l’emissione di più ordinanze cautelari relative a fatti tra i quali non sussiste alcuna connessione ovvero sia configurabile una connessione non qualificata, nel senso sopra indicato. In tali ipotesi, per effetto della sentenza dell Corte costituzionale n. 408 del 2005, la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive. Tale regola vale solo se le ordinanze sono state emesse nello stesso procedimento. Le Sezioni Unite Librato, hanno, infatti, chiarito che, qualora i titoli cautelari siano stati emessi in procedimen diversi, occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero.
Nei casi descritti, come illustrati dalla sentenza Sez. 6, n. 10127 del 31/01/2024, è comunque necessario che i reati oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della prima ordinanza cautelare, dal momento che l’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., prende in considerazione solo i “fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza”. L’ordinanza cautelare segna, dunque, il momento entro il quale la condotta illecita deve essere cessata, perché il provvedimento non può “coprire”, attraverso la retrodatazione, fatti o parti di fatti successivi alla sua emissione.
Infatti, in materia di reati associativi, le Sezioni Unite Librato hanno escluso l’anteriorità del reato associativo rispetto alla data di emissione della prima ordinanza cautelare nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, COGNOME, Rv. 279222).
Quanto al requisito della “desumibilità” dagli atti, questa consiste non nella mera conoscenza o conoscibilità dei fatti posti a base della seconda misura cautelare, ma nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo tale da consentire al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo, in presenza di concrete esigenz cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351), senza richiedere ulteriori indagini o elaborazione degli elementi probatori acquisiti, che rendano necessaria la separazione la distinta iscrizione delle notizie di reato connesse (Sez. 4, n. 16343 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284464).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, grava infine sulla parte che invoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare l’onere di fornire la prova della esistenza di una connessione qualificata e della desumibilità dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza già al momento dell’emissione del primo provvedimento (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, COGNOME, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, COGNOME, Rv. 262577, in cui la Corte ha precisato che, a tal fine, la parte deve provare il deposito, all’interno del procedimento nel quale è stata emessa la prima ordinanza e al momento di emissione della stessa, dell’informativa finale della polizia giudiziaria, contenente il compendio dei risultati investigativi, ovvero di note d Polizia Giudiziaria, rispetto alle quali la successiva informativa finale non presenti elementi di novità).
Tanto premesso, il Tribunale cautelare ha argomentato il provvedimento di rigetto sulla base di una motivazione scevra da vizi logici o giuridici, essendosi attenuto ai principi sopra richiamati.
Ha, infatti, correttamente escluso il requisito dell’anteriorità cronologica de reato associativo contestato nel presente procedimento rispetto al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare, eseguita il 30/11/2018, sia perché il reato associativo di cui al capo 1 è in questa sede contestato in forma aperta (“da gennaio 2017 sino all’attualità”), sia perché gli altri reati contestati ai capi e 73 sono stati pacificamente esclusi dalla retrodatazione (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 10127 del 31/01/2024, cit.), con la conseguenza che viene a mancare il presupposto, dovendo il meccanismo della retrodatazione riguardare tutti i fatti oggetto del secondo titolo cautelare.
Il Tribunale cautelare ha anche correttamente escluso la sussistenza del requisito della desumibilità dagli atti degli elementi posti a fondamento del secondo titolo cautelare al momento della emissione del primo titolo cautelare ed anche al momento in cui è stato richiesto il rinvio a giudizio in ordine al primo procedimento (23/09/2019), atteso che detti elementi sono stati sottoposti all’ufficio requirente solo con l’informativa di reato in data 14/01/2022. E tanto conformemente ad un consolidato orientamento di legittimità, in base al quale il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza non coincide con la ricezione da parte del pubblico ministero della informativa di reato, ma con quello in cui il suo contenuto possa considerarsi recepito, avendo riguardo al tempo obiettivamente occorrente per enuclearne ed apprezzarne la valenza indiziaria (Sez. 6, n. 44371 del 10/10/2024, COGNOME; Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, COGNOME, Rv. 274752; Sez. 6, n. 48565 del 06/10/2016, Corrimisso, Rv. 268391), attraverso una lettura ponderata del relativo materiale (Sez. 1, n. 12906 del 17/03/2010, Cava, Rv. 246839).
Ed ancora il Tribunale di Bari ha correttamente aggiunto che gli elementi posti a fondamento del delitto associativo sono stati desunti anche da fonti di prova acquisite successivamente, ovverosia perquisizioni, sequestri, dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Non vale, pertanto, l’osservazione difensiva secondo la quale il P.M., sin dal marzo 2018, aveva piena conoscenza dell’intero materiale investigativo, soprattutto perché tale osservazione non è sostenuta da una puntuale spiegazione dell’eventuale irrilevanza delle predette acquisizioni investigative successive rispetto alla posizione del ricorrente, da valutarsi congiuntamente a quella degli altri indagati nell’ambito di un contesto unitario, dal momento che si procede per un reato associativo; per altro verso, la critica difensiva finisce con l’esaminare separatamente le singole iniziative del Pubblico ministero, senza una visione d’insieme dei risultati investigativi, invece necessaria per il giudizio di gravi indiziaria in materia di reati associativi (cfr., Sez. 6, n. 1657 del 16/10/2024, dep. 2025, Querulo).
Conseguentemente, anche il riferimento ad una ipotesi di mancato controllo del P.M. rispetto ad una non tempestiva attività della P.G. appare generico,
limitandosi la difesa a considerare isolatamente la posizione del ricorrente, senza illustrare in modo specifico le ragioni di un obiettivo ritardo nel deposito dell
informativa di reato, prendendo in adeguata considerazione l’ambito complessivo delle indagini poste in essere con riferimento alla intera compagine associativa.
Alla stregua degli elementi esposti, le censure che oppone il ricorrente, fondate essenzialmente sull’unico elemento di novità della testimonianza del
maresciallo NOME COGNOME sono generiche per mancanza di adeguato ed integrale confronto con le argomentazioni poste a base dell’ordinanza impugnata.
7. In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente,
ex art. 616 cod. proc. pen.,
al pagamento delle spese processuali.
Alla cancelleria spettano gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025.