Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37000 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37000 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BITONTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/02/2024 del TRIBUNALE di BARI, sezione per il riesame delle misure cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 giugno 2023 il Tribunale di Bari, sezione per il riesame, rigettava l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 16 febbraio 2023 dal Giudice per l’udienza preliminare del medesimo Tribunale che aveva rigettato l’istanza volta a ottenere la declaratoria di inefficacia, per decorrenza del termine di fase, dell’ordinanza restrittiva della misura cautelare della custodia in carcere applicata al COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 74 del d.p.r. n. 309/1990, previa retrodatazione al 18 giugno 2018, data di esecuzione dell’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari nell’ambito di distinto procedimento, contrassegnato dal n. NUMERO_DOCUMENTO, per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Con sentenza del 30 ottobre 2023 la Corte di Cassazione annullava la detta ordinanza del 5 giugno 2023, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, ritenendo contraddittoria la motivazione resa riguardo al requisito dell’anteriorità del fatto rispetto all’emissione della prima ordinanza coercitiva, e ritenendo altresì la carenza di motivazione rispetto alle deduzioni difensive concernenti l’ulteriore tema devoluto, relativo alla sussistenza di una connessione qualificata tra i fatti oggetto della prima contestazione COGNOME provvisoria COGNOME nell’ambito COGNOME di COGNOME distinto COGNOME procedimento (partecipazione ad associazione criminale di tipo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE con specifico collocamento nell’articolazione territoriale di Bitonto, finalizzata alla commissione di una indefinita serie di delitti fra i quali traffico e spaccio di stupefacenti, dal 2005 all’attualità) e quelli oggetto del presente procedimento.
Con ordinanza resa, in sede di giudizio di rinvio, il 22 febbraio 2024 il Tribunale di Bari, sezione per il riesame, rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la già citata ordinanza di rigetto emessa in data 16 febbraio 2023 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari.
Avverso detta ultima ordinanza resa il 22 febbraio 2024 proponeva ricorso per cassazione l’imputato, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo, con il quale deduceva violazione degli artt. 297 comma 3 e
623 c.p.p. e illogicità manifesta della motivazione.
Assumeva la difesa che le due ordinanze di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emesse nei confronti del COGNOME rispettivamente nelle date 18 giugno 2018 e 4 febbraio 2022 fondavano la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza sulle medesime dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia – ritenute da sole sufficienti dal Giudice per le indagini preliminari per l’applicazione delle due misure cautelari – e avevano ad oggetto, la prima, il reato di associazione di tipo mafioso finalizzata anche al traffico di stupefacenti e, la seconda, il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti; doveva, pertanto, ritenersi che il reato di cui all’art. 74 del d.p.r. n. 309/1990 fosse desumibile già prima del rinvio a giudizio disposto per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, così che doveva ritenersi sussistente il primo requisito richiesto dall’art. 297 comma 3 cod. proc. pen. per l’applicazione della disciplina relativa al divieto di contestazioni a catena.
Assumeva, inoltre, la difesa che, per il fine qui di interesse, erano privi di rilevanza il fatto che i tre collaboratori fossero stati successivamente esaminati una seconda volta e la circostanza che la seconda ordinanza facesse riferimento anche a dichiarazioni di altri soggetti, considerato che gli elementi ritenuti quali gravi indizi di colpevolezza in relazione a entrambi i reati associativi erano già sussistenti al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare; né elementi nuovi e successivi alle dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia potevano essere rinvenuti in atti, considerato che il COGNOME si trovava ininterrottamente detenuto dal 18 giugno 2018.
Deduceva, ancora, la difesa che, a tenore delle imputazioni provvisorie, in entrambi i procedimenti i ruoli di primo piano, nell’ambito delle due associazioni criminali, erano ricoperti dai medesimi soggetti.
Assumeva inoltre che, sempre considerando le imputazioni provvisorie, i due reati associativi erano stati posti in essere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, così che fra i medesimi doveva ritenersi sussistente la connessione qualificata di cui all’art. 12 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., richiamata dal comma 3 del successivo art. 297 e costituente il secondo requisito per l’applicazione della disciplina ivi prevista in materia di emissione di più ordinanze cautelari.
Deduceva, infine e per altro verso, che, in ragione della ininterrotta detenzione del COGNOME a far data dal 18 giugno 2018, sia la contestazione effettuata nel primo procedimento (“dal 2005 all’attualità”) che quella effettuata nel secondo (“dal 2013 all’attualità”) non potevano estendersi oltre la data di arresto dell’imputato, così che doveva ritenersi sussistente anche l’ulteriore requisito dell’anteriorità del fatto contestato con la seconda ordinanza rispetto a quello contestato con la prima, terzo requisito previsto dal su citato comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen. per l’applicazione della disciplina del divieto di contestazioni a catena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Ed invero, come già osservato dal Tribunale per il riesame con il provvedimento impugnato, dalla mera lettura delle due ordinanze in discorso emerge la presenza di elementi nuovi, frutto di atti di indagine sopravvenuti, che sono stati utilizzati dal giudice della cautela per l’emissione della seconda ordinanza.
Tali elementi sono costituiti, in particolare, dalle “dichiarazioni di alcuni dei collaboratori di giustizia ritenute rilevanti per la posizione dell’appellante in questo procedimento penale … rese dopo l’emissione della prima ordinanza cautelare ed alcune dopo l’ordinanza ammissiva del rito abbreviato (ci si riferisce alle dichiarazioni degli ulteriori cdg COGNOME COGNOME in data 30.12.2019 e di COGNOME COGNOME in data 10.10.2019, ma anche alle successive dichiarazioni rese dai cdg COGNOME NOME NOME in data 14.10.2019 e di COGNOME NOME in data 9.10.2019) dopo le predette dichiarazioni vi è stata un’intensa attività d’indagine volta a 1) risentire i collaboratori di giustizia 2) ricercare elementi di riscontro … 3) effettuare – sempre a riscontro di quelle dichiarazioni accusatorie attività di osservazione …)” (v. pag. 22 dell’ordinanza impugnata).
Secondo la consolidata opinione del Giudice di legittimità, in tema di “contestazioni a catena”, quando nei confronti di un indagato sono emesse in procedimenti diversi, in corso innanzi alla medesima autorità giudiziaria, più ordinanze cautelari per fatti non avvinti da vincoli di connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. non opera allorché, all’epoca dell’emissione della prima ordinanza, non erano ancora desumibili dagli atti gli elementi che hanno COGNOME consentito COGNOME l’emissione COGNOME del COGNOME successivo COGNOME titolo COGNOME cautelare. (Sez. 1, n. 12700 del 27/09/2019, Trapani, Rv. 278910 – 01, che tratta di una fattispecie relativa a due ordinanze cautelari per altrettante ipotesi di tentate estorsioni ritenute non avvinte in continuazione, con riferimento alla quale soltanto un’informativa della polizia giudiziaria successiva all’emissione della prima ordinanza aveva consentito una lettura organica delle fonti probatorie dimostrative del secondo episodio criminoso).
Nel caso di specie la seconda ordinanza è stata emessa sulla scorta dei nuovi elementi emersi in ragione degli atti di indagine, sopra richiamati, successivi all’emanazione della prima ordinanza, così che deve ritenersi che all’epoca dell’emissione della prima ordinanza non fossero ancora desumibili dagli atti gli elementi posti a base del successivo titolo cautelare.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende; la cancelleria provvederà agli adempimenti di ci all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 04/07/2024