Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13778 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13778 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa nel procedimento a carico di NOME, nata ad Avola il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 30/06/2023 del Tribunale di Siracusa visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore dell’imputata, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di furto di energia elettrica aggravato dalla violenza sulle cose, rilevando la mancanza della querela ed osservando che sebbene il Pubblico ministero avesse manifestato l’intenzione di contestare l’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen., i
considerazione della destinazione a pubblico servizio dell’energia elettrica, con conseguente procedibilità di ufficio del reato, la contestazione doveva riten tardiva.
A sostegno della tardività, il Giudice di primo grado ha in primo luogo osservato che la improcedibilità del reato preclude al giudice qualunque accertamento sul fatto ed impone l’immediata declaratoria di estinzione del reato stesso, incompatibile con una prosecuzione del processo determinata da una contestazione suppletiva formulata successivamente al maturare della condizione di improcedibilità.
A conforto di tale conclusione ha invocato due sentenze di questa Corte di cassazione, delle quali una ha affermato che nel caso in cui intervenga sentenza dichiarativa di improcedibilità dell’azione penale, il giudice non può dichiarare la falsità di atti e documenti poiché la improcedibilità dell’azione penale non autorizza alcun accertamento, sia pur parziale, del fatto (Sez. 5, n. 20734 del 24/03/2010, Mattiaz, Rv. 247476) e l’altra che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per una circostanza aggravante non può essere valutato qualora essa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione computato con riferimento all’originaria imputazione, in quanto, una volta maturato il termine di prescrizione, la prosecuzione del processo è incompatibile con l’obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato (Sez. 5, n. 48205 del 10/09/2019, B., Rv. 278039); il Tribunale ha affermato che quest’ultimo principio sarebbe estensibile alla improcedibilità per difetto di querela.
In particolare, secondo il Tribunale, sarebbe illegittima la contestazione suppletiva della circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen., che renderebbe il reato procedibile d’ufficio, in quanto era già maturata la «condizione di improcedibilità».
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per saltum il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa chiedendone l’annullamento ed articolando un unico motivo di impugnazione con il quale lamenta violazione di legge.
Sostiene in primo luogo che il richiamo operato dal Tribunale alla sentenza di questa Corte di cassazione n. 43240 del 2016 è incongruo, poiché detta decisione si limita ad affermare la prevalenza delle formule di proscioglimento nel merito rispetto a quelle per estinzione del reato e riguarda una ipotesi diversa da quella che viene in rilievo in questa sede; in particolare, il mutamento del regime di procedibilità del reato intervenuto per effetto dell’entrata in vigore
del d.lgs. n. 150 del 2022 non rende invalida ab origine l’instaurazione del rapporto processuale, che rimane invece validamente costituito, con la conseguenza che il pubblico ministero è pienamente legittimato a muovere la contestazione suppletiva ex art. 517 cod. proc. pen., facoltà dallo stesso esercitabile sino alla chiusura del dibattimento, non dovendo egli essere autorizzato a tal fine dal giudice.
Afferma altresì che il pubblico ministero è l’unico dominus dell’esercizio dell’azione penale e può modificare l’imputazione o procedere a nuove contestazioni sino alla pronuncia della sentenza di primo grado e che i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità per l’ipotesi dell’estinzione del rea per prescrizione non sono estensibili alla diversa ipotesi del reato non procedibile per difetto di una condizione di procedibilità.
Aggiunge, a sostegno dell’illegittimità della decisione, che ai fini dell determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purché la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza (Sez. 5, n. 26822 del 23/03/2016, Scanu, Rv, 267892).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione sottoposta a questa Corte di cassazione con l’impugnazione è se la contestazione suppletiva dell’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen. per essere il furto stato commesso su cosa destinata a pubblico servizio, avvenuta successivamente alla !;cadenza del termine concesso alla persona offesa per sporgere querela dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 e decorrente dal 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del citato d.lgs., sia idonea a rendere il reato procedibile d’ufficio.
Questa Corte di cassazione ha già più volte affermato, in tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 150, che la previsione della procedibilità a querela comporta che, stante la natura mista, sostanziale e processuale, di essa, nonché la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, il giudice, in forza dell 2, quarto comma, cod. pen., ne debba accertare l’esistenza anche rispetto ai reati commessi anteriormente all’intervenuta modifica (Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749).
Laddove difetti la querela, il giudice di primo grado sarà tenuto ad emettere una sentenza in rito, che dichiari non doversi procedere nei confronti dell’imputato per difetto della condizione di procedibilità.
Il Pubblico ministero, all’udienza del 30 giugno 2023, ha contest all’imputata l’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 7 cod. pe essere il reato stato commesso su cosa destinata a pubblico servizio, ch ritenuta, renderebbe il reato procedibile d’ufficio e con il ricorso si duole omessa valutazione da parte del Tribunale che ha ritenuto tardiva e qui inidonea la contestazione.
Laddove l’azione penale sia stata esercitata in assenza della neces condizione di procedibilità il giudice deve pronunciare, ex àrtt. 129 e 529 cod. proc. pen., sentenza che dichiari non doversi procedere nei confr dell’imputato, rilevando il difetto di detta condizione.
In ordine alla possibilità che la condizione di procedibilità possa sopravv dopo la proposizione dell’azione penale, non vi è un indirizzo univoco.
In passato, questa Corte di cassazione ha affermato, in relazione richiesta di punizione, che sebbene questa possa intervenire, a norma del 128, secondo comma, cod. pen., entro i tre anni dal giorno in cui il colpevo trova nel territorio dello Stato, non per questo poteva ritenersi, nel dell’abrogato codice di rito, che l’inizio dell’azione penale potesse prece richiesta, sicché l’omissione di essa fosse in prosieguo sanabile con regolare presentazione, dovendo trovare applicazione gli artt. 152, 378, 479 cod. proc. pen. abrogato per cui il giudice, in difetto di una condiz procedibilità, doveva pronunciare anche d’ufficio sentenza di non dove procedere, che non impediva la riproposizione dell’azione penale per il medes fatto e contro la stessa persona, se la richiesta di punizione fosse stata i regolarmente presentata (Sez. 6, n. 1213 del 20/09/1968, Gallo, Rv. 109230).
Anche nel vigore del nuovo codice di rito è stato affermato, sulla base medesimo principio, che la mancanza di una condizione di procedibilità, come querela, osta all’inizio di qualsiasi attività processuale, e quindi, di qual indagine in fatto, compresa quella riguardante l’esistenza in vita dell’im (Sez. 5, Sentenza n. 4746 del 12/02/1996, Sanfilippo, Rv. 204841).
Più recentemente, è stato invece affermato, in tema di contestazi suppletiva di un reato procedibile a querela della persona offesa, che l’ori assenza dell’istanza di punizione non preclude al giudice di pronunciars merito della imputazione qualora la condizione di procedibilità interv successivamente, entro il termine previsto dall’art. 124 cod. pen. (S Sentenza n. 29205 del 16/02/2016, NOME COGNOME, Rv. 267617, relativa fattispecie in cui questa Corte di cassazione ha ritenuto legittima la de sulle nuove contestazioni in relazione alle quali vi era stata un’este tempestiva della costituzione di parte civile, cui la Corte ha attribuito il
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querela). È stato osservato, in particolare, che i principi di ragionevole durata del processo e di economicità dei mezzi processuali impongono di ritenere che il difetto della condizione di procedibilità non comporti una invalidità dell’atto di esercizio dell’azione penale, ma solo il dovere del giudice, nel momento in cui sia chiamato ad assumere una decisione, di pronunciare sentenza di proscioglimento per tale causa, con la conseguenza che la sopravvenuta proposizione della querela – e, in generale, il sopravvenire della condizione di procedibilità – esclude che si possa arrestare il corso del procedimento per tale causa.
In realtà, i precedenti sopra richiamati riguardano ipotesi in cui, nel momento in cui l’azione penale era stata esercitata, la procedibilità era sottoposta a condizione e questa difettava.
Nel caso che ci occupa, invece, l’azione penale è stata proposta quando il reato era procedibile d’ufficio, cosicché senz’altro l’azione penale è stata validamente esercitata.
Solo a seguito della modifica dell’art. 624, terzo comma, cod. pen., intervenuta per effetto dell’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, il delitto di furto, anche se aggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen., è divenuto punibile a querela della persona offesa; si procede di ufficio solo se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, o se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, primo comma, n. 7 (salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, ipotesi nella quale il reato è procedibile a querela) e 7-bis, cod. pen.
In relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della suddetta modifica legislativa (come quello contestato alla COGNOME, commesso sino al 24 luglio 2019) l’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 ha previsto che: «Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».
Tuttavia, sebbene il reato fosse procedibile d’ufficio al momento in cui è stata esercitata l’azione penale, laddove esso non sia più procedibile d’ufficio a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, il termine fissato dall’ar 85 sia scaduto e la condizione di procedibilità non sia intervenuta, il giudice dovrà comunque pronunciare una sentenza che dichiari che l’azione penale non deve essere proseguita per difetto di querela, ai sensi degli artt. 129 e 529 cod. proc. pen. Si viene, quindi, a creare una situazione analoga a quella in cui l’azione sia stata esercitata ab origine in difetto della condizione di procedibilità.
La questione sottoposta a questa Corte di cassazione dal ricorrente è se, nella situazione sopra descritta, laddove il pubblico ministero, dopo che il
termine suddetto è già scaduto, contesti una circostanza aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio, il giudice debba comunque limitarsi ad emettere una sentenza dichiarativa della improcedibilità, considerando tamquam non esset detta contestazione, o debba decidere nel merito.
3. Nell’affrontare tale questione questo Collegio non può omettere di confrontarsi con i principi recentemente affermati dalle Sezioni Unite in ordine alla questione concernente la possibilità di contestare, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., una circostanza aggravante a effetto speciale (nel caso di specie la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale) anche successivamente al decorso del termine di prescrizione, calcolato alla luce dell’originaria imputazione (Sez. U., n. 49935 del 28/09/2023, NOME, Rv. 285517).
Le Sezioni Unite, nel motivare la loro decisione, hanno in primo luogo evidenziato i contrapposti orientamenti che avevano dato origine al contrasto giurisprudenziale.
Secondo un primo orientamento, il decorso del termine prescrizionale precluderebbe ogni successiva contestazione. Avendo la contestazione dell’aggravante natura costitutiva, i suoi effetti si produrrebbero solo al momento in cui essa viene attuata con la conseguenza che essa, ladclove per il reato non aggravato il termine di prescrizione sia già interamente decorso, non sarebbe in grado di far rivivere un reato ormai estinto (Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, Macrì, Rv. 271745; Sez. 6, n. 47499 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265560;Sez. 2, n. 5610 del 03/11/1987, dep. 1988, Sergio, Rv. 178347; Sez. 2, n. 10448 del 19/06/1981, COGNOME, Rv. 151053; Sez. 5, n. 1061 del 28/11/1978, dep. 1979, Sacco, Rv. 140995).
Secondo altro orientamento, invece, la contestazione di un’aggravante a effetto speciale sarebbe valutabile ai fini del calcolo del termine di prescrizione anche se avvenuta per la prima volta dopo il decorso del 1:ermine previsto per l’imputazione non aggravata, purché la contestazione preceda la pronuncia della sentenza, in quanto la contestazione avrebbe natura non costitutiva, ma meramente ricognitiva, poiché ogni circostanza sarebbe preesistente rispetto alla contestazione e ontologicamente indipendente da essa (Sez. 6, n. 40627 del 16/10/2008, Bozzaotra, Rv. 241488; Sez. 5, n. 9769 del 19/10/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 234225; Sez. 6, n. 44591 del 04/11/2008, Nocco, Rv. 242133; Sez. 2, n. 373 del 26/01/1978, Renda, Rv. 138645).
Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto affermando che una volta che sia maturato il termine di prescrizione del reato non aggravato, la successiva contestazione dell’aggravante ad effetto speciale, in astratto idonea a
determinare un allungamento del termine prescrizionale e quindi impedire l’estinzione del reato, rimane inefficace, non potendo essa paralizzare l’obbligo, già sorto prima della contestazione dell’aggravante, di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. Una volta che il termine di prescrizione previsto dalla legge per il reato non aggravato sia interamente decorso, il giudice, anche dopo che la aggravante sia stata contestata, è tenuto a dichiarare «ora per allora» la estinzione del reato per prescrizione che già avrebbe dovuto essere dichiarata prima della contestazione, non potendo l’omessa pronuncia della doverosa sentenza liberatoria da parte del giudice creare un pregiudizio all’imputato che di detta decisione avrebbe dovuto beneficiare; ai sensi della disposizione appena citata, infatti, il giudice h l’obbligo di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia lo stato e il grado del processo, sentenza di proscioglimento.
Laddove si sia in presenza di una causa di non punibilità che il giudice del dibattimento avrebbe dovuto immediatamente riconoscere E dichiarare, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., risulta ormai preclusa ogni ulteriore attività processuale.
I principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza Dorningo devono ritenersi applicabili a tutte le cause di proscioglimento di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. e quindi anche alla mancanza della condizione di procedibilità, non distinguendo detta disposizione tra le varie ipotesi da essa contemplate.
Ne consegue che laddove, come nel caso di specie, il reato risulti procedibile a querela per effetto del mutato regime di procedibilità introdotto dal d.lgs. n 150 del 2022, la querela non sia stata proposta e sia scaduto il termine previsto dall’art. 85 del citato d.lgs., il giudice sarà tenuto a pronunciare immediatamente sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., risultando inidonea ad impedire siffatta pronuncia la contestazione suppletiva, dopo la scadenza del termine, di un’aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio, che rimarrebbe priva di effetti.
In particolare, non può sostenersi che la sentenza COGNOME potrebbe trovare applicazione solo in relazione alla estinzione del reato per prescrizione, sul rilievo che questa determina l’estinzione del reato che, una volta maturata, non consentirebbe la reviviscenza del reato per effetto di una contestazione tardiva, e non in relazione alla mancanza della condizione di procedibilità, poiché la contestazione suppletiva dell’aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio non farebbe rivivere un reato ormai estinto, ma si limiterebbe a rendere non più necessaria la querela consentendo una pronuncia sul merito.
In contrario deve considerarsi che le Sezioni Unite, con la sentenza
NOME, hanno avuto cura di evidenziare che, dovendo comunque prevalere la regola della immediata pronuncia della sentenza di proscioglimento in presenza di taluna delle ipotesi di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non rileva questione sulla natura ricognitiva o costitutiva della contestazione dell’aggravante ad effetto speciale che’ se ritenuta, determinerebbe un allungamento del termine di prescrizione ed impedirebbe l’estinzione del reato.
In sostanza, le Sezioni Unite affermano che anche laddove la contestazione dell’aggravante avesse natura ricognitiva – in quanto l’aggravante preesisterebbe alla contestazione e prescinderebbe da questa – e il termine di prescrizione previsto per il reato aggravato non fosse ancora decorso, l’obbligo a carico del giudice di pronunciare con immediatezza, sin dalla formazione della relativa causa, una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’ad 129, comma 1, cod. proc. pen. non verrebbe travolto dalla contestazione suppletiva dell’aggravante intervenuta dopo la maturazione del termine prescrizionale. Il giudice dovrebbe, quindi, dichiarare l’avvenuta estinzione del reato anche laddove, ove si tenesse conto dell’allungamento del termine di prescrizione conseguente all’applicazione della aggravante ad effetto speciale oggetto della contestazione suppletiva, il termine di prescrizione non fosse ancora decorso. Il principio di obbligatorietà dell’azione penale, di cui costituisce espressione i potere del pubblico ministero di procedere a contestazione suppletiva, sarebbe, quindi, in tale ipotesi recessivo rispetto ai principi, anch’essi di ran costituzionale, di ragionevole durata del processo e di legalità. A tale ultimo proposito deve ricordarsi che le Sezioni Unite hanno affermato, con altra sentenza, che «l’art. 129 c.p.p. rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 c. sostanza, l’art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico» (Sez. U., n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né l’applicabilità dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza Donningo alla ipotesi del difetto della condizione di procedibilità si pone i contrasto con quelli ricavabili dalle sentenze COGNOME (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757) e COGNOME (Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230530), pure pronunciate da tale autorevolissimo consesso.
Come già rilevato da altra sentenza di questa Sezione (Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, non massimata), che pure ha ritenuto di applicare i principi affermati dalla sentenza NOME ad un caso analogo, con questa sentenza le
Sezioni Unite «hanno precisato come non sia affatto in disc:ussione la facoltà da parte del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva, la quale non richiede l’autorizzazione del giudice (nei casi di cui all’art. 517 cod. proc pen.) e può essere formulata pur dopo l’apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattinnentale, sulla base di materiali investigativi già acquisiti e noti all’organo di accusa, per supplire ad una inerzia rimediare ad un errore ovvero per esprimere una diversa valutazione discrezionale rispetto a quella effettuata al momento dell’esercizio dell’azione penale (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, deo. 1999, COGNOME, Rv. 212757-01)» e che neppure è ravvisabile alcuna «contraddittorietà nell’affermare, per un verso, l’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione e, per altro verso, il dovere di pronunciare nel contraddittorio (secondo quanto puntualizzato da Sez. U n. 12283 del 25/01/2005, COGNOME), perché si tratta di regole che operano su piani diversi: la prima individua una regola decisoria, ossia la prevalenza della causa di estinzione; la seconda detta una regola destinata a regolare il processo, come sede nella quale le decisioni vengono assunte. La partecipazione del pubblico ministero alla fase processuale destinata a garantire il contraddittorio delle parti non significa che la contestazione operata in quel momento sia necessariamente rilevante ai fini del sorgere del dovere del giudice di pronunciare nel merito della stessa, ossia di attivare il presupposto dell’art. 521 cod. proc. pen.».
4. Estendendo, quindi, all’ipotesi della mancanza di condizione di procedibilità i principi recentemente affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza NOME in relazione alla prescrizione, nel caso di specie deve rilevarsi che il reato di furto di energia elettrica, come originariamente contestato all’imputata nel decreto di citazione a giudizio, è divenuto procedibile a querela per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 e che la contestazione suppletiva dell’aggravante, che avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio, è stata operata dal Pubblico ministero all’udienza del 30 giugno 2023, quando il termine fissato dall’art. 85 del citato d.lgs. era già decorso e di conseguenza già a detta udienza era sorto per il giudice l’obbligo di emettere sentenza dichiarativa della improcedibilità del reato per mancanza della querela e la contestazione della aggravante deve ritenersi inefficace e quindi inidonea a determinare un mutamento del regime di procedibilità.
Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.
Rigetta il ricorso.
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Così deciso il 24/01/2024.