Contestazione Tardiva Aggravante: La Cassazione Fissa i Paletti sulla Procedibilità
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nel diritto processuale penale, quello della contestazione tardiva aggravante e dei suoi effetti sulla procedibilità del reato. La decisione chiarisce i limiti dell’azione del Pubblico Ministero nel tentativo di ‘salvare’ un’accusa destinata altrimenti all’archiviazione per mancanza di querela, specialmente alla luce delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia. Vediamo nel dettaglio cosa ha stabilito la Suprema Corte.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da un procedimento per furto di energia elettrica. A seguito delle recenti riforme legislative, questo tipo di reato è diventato procedibile a querela di parte. Nel caso di specie, la persona offesa non aveva sporto querela entro i termini di legge. Di fronte a questa situazione, che avrebbe comportato una declaratoria di improcedibilità, il Pubblico Ministero, durante un’udienza, ha tentato di effettuare una contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 517 c.p.p., aggiungendo all’imputazione l’aggravante della destinazione del bene (l’energia) a un pubblico servizio (art. 625, n. 7, c.p.).
La presenza di tale aggravante avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio, superando così l’ostacolo della querela mancante. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto tardiva questa contestazione e ha dichiarato il non doversi procedere. Contro questa decisione, il Procuratore Generale ha proposto ricorso diretto in Cassazione.
La Questione Giuridica e la contestazione tardiva aggravante
Il cuore della questione giuridica era stabilire se fosse legittimo per il Pubblico Ministero utilizzare lo strumento della contestazione suppletiva per introdurre un’aggravante che modifica il regime di procedibilità, dopo che il termine per la proposizione della querela era già spirato. Il ricorrente sosteneva che il Tribunale avesse errato nel dichiarare tardiva la contestazione, in quanto l’azione penale era stata esercitata.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a bilanciare le esigenze dell’accusa con il rispetto dei nuovi e più stringenti termini procedurali introdotti dal d.lgs. n. 150 del 2022 (Riforma Cartabia), che mirano a definire più celermente la sorte dei procedimenti penali.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la correttezza della decisione del Tribunale. I giudici hanno chiarito diversi punti fondamentali.
In primo luogo, hanno ribadito che l’aggravante della destinazione a pubblico servizio ha una natura ‘valutativa’. Ciò significa che, per essere considerata validamente contestata fin dall’inizio, l’imputazione deve descrivere fatti che rendano evidente all’imputato la natura pubblica del bene sottratto. Ad esempio, menzionare un allaccio abusivo alla rete di distribuzione elettrica gestita da un ente erogatore è sufficiente a far comprendere l’accusa di aver sottratto un bene destinato alla collettività.
Il punto cruciale della motivazione, tuttavia, riguarda la tempistica. La Corte ha osservato che la contestazione suppletiva del PM è avvenuta il 4 ottobre 2023. Tuttavia, dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia e prima della scadenza del termine per la querela, si erano già tenute altre due udienze (il 28 marzo e il 5 aprile 2023). In quelle occasioni, il Pubblico Ministero avrebbe potuto e dovuto procedere alla contestazione dell’aggravante.
Non avendolo fatto, il suo tentativo successivo è stato correttamente giudicato tardivo e, di fatto, un espediente per aggirare le conseguenze della mancata querela. La Corte ha sottolineato che l’illegittimità della decisione del giudice di primo grado si verificherebbe solo se il PM non avesse mai avuto l’occasione di effettuare la contestazione prima della scadenza del termine. Poiché in questo caso le occasioni c’erano state, la preclusione è scattata.
Le Conclusioni
La sentenza stabilisce un principio di rigore procedurale di notevole importanza. La contestazione tardiva aggravante non può essere utilizzata come strumento per ‘sanare’ la mancanza di una condizione di procedibilità, come la querela, quando il Pubblico Ministero ha avuto concrete opportunità per agire tempestivamente e non lo ha fatto. Questa decisione rafforza la portata delle nuove disposizioni sulla procedibilità, garantendo che i termini previsti dal legislatore siano rispettati e non elusi attraverso tardive modifiche dell’imputazione. Per gli operatori del diritto, è un monito a esercitare le proprie prerogative processuali con la massima tempestività, pena la perdita della possibilità di procedere.
Quando un’aggravante come quella della destinazione a pubblico servizio può considerarsi già contestata nei fatti?
Si considera contestata quando il capo di imputazione descrive una condotta che manifesta in modo evidente la natura del bene sottratto, come ad esempio un allaccio diretto alla rete di distribuzione pubblica dell’energia, rendendo chiaro all’imputato che dovrà difendersi dall’accusa di aver leso un interesse collettivo.
È legittimo per il Pubblico Ministero aggiungere un’aggravante per rendere un reato procedibile d’ufficio dopo la scadenza del termine per la querela?
No, secondo questa sentenza non è legittimo se il Pubblico Ministero ha avuto precedenti occasioni (udienze tenutesi dopo l’entrata in vigore della riforma ma prima della scadenza del termine) per effettuare tale contestazione e non le ha sfruttate. L’inerzia preclude un intervento successivo e tardivo.
Qual è stato l’impatto della Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) in questo caso specifico?
La Riforma ha introdotto nuovi regimi di procedibilità a querela per reati come il furto e ha fissato termini precisi. La decisione della Cassazione rafforza l’imperatività di questi termini, impedendo che vengano aggirati tramite l’uso tardivo di strumenti processuali come la contestazione suppletiva, e sottolinea la necessità di un’azione tempestiva da parte dell’accusa.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7403 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7403 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore generale presso Corte d’appello di Catania nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 24/01/1965
avverso la sentenza del 04/10/2023 del Tribunale di Catania; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con restituzione degli atti al Tribunale di Catania.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Catania ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di COGNOME NOME per il reato di furto di energia elettrica aggravato dalla violenza sulle cose e dall’esposizione alla pubblica fede.
Avverso la sentenza ricorre per saltum il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catania deducendo violazione di legge. Lamenta in particolare il ricorrente che illegittimamente il Tribunale avrebbe ritenuto tardiva, in quanto effettuata successivamente alla scadenza del termine fissato dall’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 senza che la persona offesa avesse presentato querela, la contestazione supplettiva svolta dal pubblico ministero all’udienza del 4 ottobre 2023 ai sensi dell’art. 517 c.p.p. e ad oggetto l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7) c.p. in riferimento alla destinazione al pubblico servizio dell’energia elettrica sottratta dall’imputato, circostanza dalla cui contestazione discendeva la procedibilità d’ufficio del reato.
Il difensore dell’imputato ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va anzitutto ribadito che, in tema di furto, non può considerarsi legittimamente contestata in fatto la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, c.p., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell’imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti atteso che la suddetta aggravante ha natura valutativa, in quanto impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res oggetto di sottrazione, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore (Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, Rv. 285878).
In altri termini, l’aggravante in questione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, è connotata da componenti di natura valutativa. Tuttavia, accanto alla contestazione formale della aggravante, può ritenersi consentita anche una tipologia di contestazione non formale che però deve essere congeniata in maniera da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della
stessa. Tale scopo appare raggiunto, ad esempio, quando nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto di energia posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore; rete, per l’appunto, capace di dare luogo ad un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica” (così Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286291; Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, COGNOME non mass.).
Né rileva che il pubblico ministero all’udienza del 4 ottobre 2023 abbia provveduto alla contestazione suppletiva dell’aggravante in questione ai sensi dell’art. 517 c.p.p., atteso che l’illegittimità della decisione del giudice di ritenere tardiva la contestazione una volta che sia già spirato il termine previsto dall’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 per la proposizione della querela ricorre nel caso in cui il titolare dell’azione penale, successivamente all’entrata in vigore del citato decreto e prima della maturazione del suddetto termine, non abbia avuto occasione per effettuarla, mentre nel caso di specie il pubblico ministero avrebbe potuto procedervi in una delle precedenti udienze del 28 marzo e del 5 aprile 2023, entrambe successive all’entrata in vigore delle modifiche apportate dal citato decreto legislativo all’art. 624 c.p. in merito alla procedibilità del furto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Procu tore Generale.
Così deciso il 18/1 2024