Contestazione Supplettiva: Valida anche Prima dell’Apertura del Dibattimento
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione procedurale: la validità della contestazione supplettiva effettuata dal Pubblico Ministero. In particolare, la Corte ha chiarito che tale modifica dell’imputazione è legittima anche se avviene dopo la costituzione delle parti ma prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento. Questa decisione ha implicazioni significative sulla gestione del processo penale, soprattutto nei casi in cui una nuova aggravante cambia la procedibilità del reato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un procedimento per furto di energia elettrica. Il Tribunale di primo grado aveva emesso una sentenza di non doversi procedere per difetto di querela. La persona offesa, infatti, non aveva formalmente manifestato la volontà di perseguire penalmente l’imputata.
Durante un’udienza preliminare al dibattimento, il Pubblico Ministero aveva proceduto a una contestazione supplettiva, aggiungendo all’imputazione l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, c.p., relativa al furto di beni destinati a pubblico servizio. Questa aggravante è cruciale, poiché trasforma il reato da procedibile a querela di parte a procedibile d’ufficio.
Tuttavia, il Tribunale aveva ritenuto tale contestazione “inefficace” perché era intervenuta prima della formale apertura del dibattimento, come previsto dall’art. 492 c.p.p., pur essendo successiva alla verifica della regolare costituzione delle parti. Di conseguenza, il reato rimaneva procedibile a querela e, in assenza di questa, il processo non poteva proseguire.
Il Ricorso del Procuratore e la questione della contestazione supplettiva
Contro questa decisione, il Procuratore Generale ha proposto ricorso per saltum direttamente in Cassazione, lamentando una violazione di legge. Il cuore del ricorso si basava sull’errata interpretazione da parte del giudice di merito dell’art. 517 c.p.p., che disciplina appunto le contestazioni supplettive.
Secondo il Procuratore, il Tribunale aveva illegittimamente limitato il potere del Pubblico Ministero di modificare l’imputazione a un momento processuale specifico (dopo l’apertura del dibattimento), mentre la giurisprudenza consolidata riconosce una maggiore flessibilità. L’inefficacia dichiarata dal giudice di primo grado aveva, di fatto, vanificato l’azione penale per un cavillo procedurale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata e rinviando il caso alla Corte d’Appello per il giudizio. I giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale: il potere del Pubblico Ministero di procedere a una contestazione supplettiva non è rigidamente vincolato a specifici limiti temporali all’interno della fase dibattimentale.
La Corte ha evidenziato che, secondo un orientamento consolidato, è riconosciuto al PM il potere di modificare l’imputazione o formulare nuove contestazioni nel corso del dibattimento senza vincoli temporali o di fonte. Questo potere è bilanciato dal diritto dell’imputato di richiedere un termine per preparare la propria difesa, esercitando così ogni prerogativa difensiva, come la richiesta di nuove prove o la possibilità di accedere a riti alternativi.
Citando una precedente sentenza (Sez. 6, n. 9002 del 2020), la Cassazione ha specificato che la contestazione è legittima anche se effettuata prima che il giudice provveda ai sensi dell’art. 492 c.p.p. (dichiarazione di apertura del dibattimento). Considerare irrituale tale atto, come fatto dal Tribunale, è un errore di diritto.
Di conseguenza, la contestazione dell’aggravante che rendeva il reato procedibile d’ufficio era stata effettuata ritualmente dal Pubblico Ministero. Il Tribunale avrebbe dovuto prenderne atto e procedere con il giudizio, invece di dichiarare l’improcedibilità.
Conclusioni
Questa sentenza rafforza il principio di flessibilità dell’azione penale nel dibattimento, garantendo al contempo i diritti della difesa. La Corte di Cassazione ha chiarito che la contestazione supplettiva è uno strumento a disposizione dell’accusa per adeguare l’imputazione alle risultanze processuali, e il suo esercizio non può essere limitato da interpretazioni eccessivamente formalistiche delle norme procedurali. La decisione sottolinea che l’efficacia della contestazione non dipende dal momento esatto in cui viene formulata all’interno dell’udienza, ma dalla garanzia che all’imputato sia concesso il tempo necessario per riorganizzare la propria strategia difensiva. In conclusione, la sostanza prevale sulla forma, a tutela sia dell’efficienza della giustizia che del diritto di difesa.
È valida una contestazione supplettiva fatta dal Pubblico Ministero prima dell’apertura formale del dibattimento?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la contestazione supplettiva è valida anche se effettuata dopo la costituzione delle parti ma prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento ai sensi dell’art. 492 c.p.p.
Perché la contestazione dell’aggravante del furto di beni destinati a pubblico servizio era così importante in questo caso?
Perché questa aggravante rende il reato di furto procedibile d’ufficio. Ciò significa che lo Stato può perseguire il colpevole anche senza una querela da parte della persona offesa. Senza tale aggravante, il caso sarebbe stato archiviato per difetto di querela.
Come vengono tutelati i diritti dell’imputato in caso di contestazione supplettiva?
L’imputato ha la facoltà di chiedere al giudice la concessione di un termine a difesa. Questo periodo gli permette di contrastare la nuova accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o la possibilità di chiedere riti alternativi, garantendo così il pieno rispetto del diritto di difesa.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27691 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27691 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANIA nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME NOME a AUGUSTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 del TRIBUNALE di SIRACUSA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di COGNOME NOME per il reato di furto energia elettrica aggravato dalla violenza sulle cose.
Avverso la sentenza ricorre per saltum il AVV_NOTAIO Generale presso la Corte d’appello di Catania deducendo violazione di legge. Lamenta in particolare il ricorrente che illegittimamente il Tribunale avrebbe ritenuto inefficace, in quanto effettuata prima della formale apertura dell’istruttoria dibattimentale, la contestazione supplettiva svolta dal pubblico ministero all’udienza del 21 febbraio 2023 ai sensi dell’art. 517 c.p.p. e ad oggetto l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7) c.p. in riferimento alla destinazione pubblico servizio dell’energia elettrica sottratta dall’imputato, circostanza dalla cu contestazione discendeva la procedibilità d’ufficio del reato.
Il difensore dell’imputata ha depositato memoria con la quale ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Va anzitutto ribadito che, in tema di furto, non può considerarsi legittimamente contestata in fatto la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, c.p., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio qualora nell’imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti atteso che la suddetta aggravante ha natura valutativa, in quanto impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res oggetto di sottrazione, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore (Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, Rv. 285878).
Il P.G. ricorrente non contesta, se non che in maniera assolutamente generica, l’avvenuta contestazione in fatto della menzionata aggravante nell’imputazione originaria, ma lamenta invece la violazione dell’art. 517 c.p.p. per avere il giudice ritenuto inefficace la contestazione supplettiva della medesima aggravante effettuata dal pubblico ministero all’udienza del 21 febbraio 2023, in quanto intervenuta prima della formale dichiarazione dell’apertura del dibattimento.
In proposito va evidenziato anzitutto come il pubblico ministero abbia proceduto alla contestazione supplettiva nella pendenza del termine assegNOME dall’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 alla persona offesa per proporre la querela in conseguenza del mutato regime di procedibilità del reato disposto dallo stesso decreto.
Ciò premesso illegittimamente il giudice del merito ha ritenuto “inefficace” la contestazione supplettiva, considerando irrituale la sua effettuazione dopo la verifica della regolare costituzione delle parti, ma prima della formale apertura del dibattimento. Infatti, non solo il precedente giurisprudenziale evocato a sostegno della propria conclusione da parte del Tribunale specificamente ha ritenuto legittima la contestazione supplettiva operata prima che il giudice provveda ai sensi dell’art. 492 c.p.p. (Sez. 6, n. 9002 del 08/01/2020, Di Re, Rv. 278562), ma altresì nella motivazione del provvedimento impugNOME, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, ha inteso ribadire il consolidato orientamento di questa Corte per cui va riconosciuto al pubblico ministero il potere di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice u termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere rit alternativi o l’oblazione (ex multis Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B., Rv. 262614; Sez. 5, n. 8631 del 21/09/2015, dep. 2016, Scalia, Rv. 266081). La sentenza COGNOME, dunque, non ha inteso limitare la possibilità di effettuare la contestazione supplettiva prima della formale apertura del dibattimento all’ipotesi di mero errore materiale nella formulazione dell’originaria imputazione, come sostenuto dal giudice del merito.
Deve dunque concludersi che la contestazione supplettiva dell’aggravante in grado di rendere perseguibile d’ufficio il reato imputato alla COGNOME era stata ritualmente effettuata dal pubblico ministero e che il Tribunale doveva tenerne conto ai fini della propria decisione.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per il giudizio ai sensi dell’art. 569 comma 4 c.p. alla Corte d’appello Catania.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte di appello di Catania.
Così deciso il 15/5 2024