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Contestazione suppletiva: il potere del PM in udienza

In un caso di furto di energia elettrica, divenuto procedibile a querela dopo la Riforma Cartabia, il Tribunale aveva dichiarato l’improcedibilità per mancanza della stessa, rifiutando la richiesta del PM di una contestazione suppletiva di un’aggravante che avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che il potere di contestazione suppletiva è una prerogativa insindacabile del Pubblico Ministero e il giudice non può impedirne l’esercizio, dovendo invece pronunciarsi sulla nuova accusa garantendo il diritto di difesa dell’imputato.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contestazione suppletiva: la Cassazione ribadisce il potere insindacabile del PM

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 15106/2024) ha riaffermato un principio cardine del nostro sistema processuale penale: il potere del Pubblico Ministero di effettuare una contestazione suppletiva durante il dibattimento non può essere sindacato o impedito dal giudice. Questa pronuncia chiarisce i confini tra i ruoli dell’accusa e dell’organo giudicante, specialmente quando la modifica dell’imputazione incide sulle condizioni di procedibilità del reato. Il caso analizzato riguarda un’accusa di furto di energia elettrica e l’impatto della Riforma Cartabia, che ha modificato il regime di procedibilità per tale delitto.

I fatti del caso

Il procedimento vedeva una persona imputata per furto di energia elettrica, commesso tramite un allaccio abusivo alla rete. A seguito dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022), il delitto di furto semplice è divenuto procedibile a querela di parte. Nel corso del dibattimento, il Tribunale ha rilevato che era decorso il termine di novanta giorni per la presentazione della querela, rendendo di fatto l’azione penale improcedibile.

Di fronte a questa situazione, il Pubblico Ministero presente in udienza ha richiesto di modificare il capo d’imputazione, procedendo a una contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 517 c.p.p. In particolare, ha chiesto di aggiungere la circostanza aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, del codice penale, relativa all’aver commesso il fatto su cose destinate a pubblico servizio. Tale aggravante avrebbe trasformato il reato in procedibile d’ufficio, superando così l’ostacolo della mancanza di querela.

La decisione del Tribunale e il ricorso del Pubblico Ministero

Contrariamente alle aspettative, il Tribunale ha rigettato la richiesta del PM, ritenendola tardiva. Secondo il giudice di primo grado, l’azione penale era ormai divenuta improcedibile e tale condizione precludeva qualsiasi ulteriore indagine o modifica dell’imputazione. Di conseguenza, il Tribunale ha emesso una sentenza di non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità.

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge. Nel ricorso, l’accusa ha sostenuto che il Tribunale avesse erroneamente limitato il potere-dovere del PM di effettuare contestazioni suppletive, un potere che la legge consente di esercitare fino alla chiusura dell’istruttoria dibattimentale. Negare tale facoltà equivaleva a negare l’esercizio stesso dell’azione penale, garantito dall’art. 112 della Costituzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla contestazione suppletiva

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente il ricorso del Pubblico Ministero, annullando la sentenza impugnata. I giudici supremi hanno ribadito con forza che, in tema di nuove contestazioni in dibattimento, il giudice non può esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della richiesta del PM. La contestazione suppletiva di una circostanza aggravante è un potere esclusivo dell’accusa, finalizzato ad adeguare l’imputazione a quanto emerso nel corso del processo, garantendo il principio di correlazione tra accusa e sentenza.

La Corte ha specificato che il giudice, una volta che il PM ha formulato la nuova contestazione, ha l’obbligo di provvedere sul capo d’imputazione così come modificato. Non può, quindi, ignorare la modifica e decidere sulla base dell’imputazione originaria, ormai superata. La decisione del Tribunale è stata definita illegittima perché, arrogandosi un potere non previsto da alcuna norma, ha negato al PM il compimento di un atto che è al contempo imperativo, insindacabile e obbligatorio.

Inoltre, la Cassazione ha chiarito che la tardività rilevata dal Tribunale era basata su un presupposto errato. Il potere di modifica dell’imputazione non è soggetto ai termini di decadenza previsti per la proposizione della querela. L’esercizio di tale potere è una “eventualità fisiologica” del processo accusatorio, e negarlo significherebbe contrarre illegittimamente l’ambito di esercizio dell’azione penale. I diritti della difesa sono comunque garantiti dall’art. 519 c.p.p., che consente all’imputato di chiedere un termine per preparare la propria difesa a fronte della nuova accusa.

Conclusioni: l’intangibilità del potere del PM e la corretta conduzione del processo

La sentenza in esame riafferma la netta distinzione di ruoli nel processo penale: il PM esercita l’azione penale e ne definisce l’oggetto, mentre il giudice ha il compito di decidere su quell’oggetto, garantendo il contraddittorio tra le parti. Il giudice non può bloccare preventivamente l’iniziativa dell’accusa di precisare o integrare l’imputazione. La decisione del Tribunale di dichiarare l’improcedibilità basandosi su un’imputazione che il PM aveva già chiesto di modificare ha costituito una “ingiustificata accelerazione verso l’epilogo de plano del giudizio”, determinando un vulnus al contraddittorio e una limitazione dell’iniziativa del PM. La Cassazione ha quindi annullato la sentenza e disposto la restituzione degli atti al Tribunale per la prosecuzione del giudizio sulla base dell’imputazione modificata.

Un giudice può impedire al Pubblico Ministero di effettuare una contestazione suppletiva durante il dibattimento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice non può esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della contestazione del fatto diverso, del reato concorrente o della circostanza aggravante proposta dal Pubblico Ministero. Si tratta di un potere esclusivo e doveroso dell’accusa.

Cosa succede se una contestazione suppletiva rende un reato, prima procedibile a querela, procedibile d’ufficio?
Il processo deve proseguire sulla base della nuova imputazione. Il giudice non può dichiarare l’improcedibilità per mancanza di querela se la nuova contestazione, integrata con l’aggravante, rende il reato procedibile d’ufficio. La decisione deve vertere sul capo d’imputazione come modificato.

Quali sono i diritti dell’imputato in caso di contestazione suppletiva?
L’imputato ha la facoltà di chiedere al giudice la concessione di un termine per poter contrastare la nuova accusa. L’art. 519 del codice di procedura penale stabilisce che tale termine non può essere inferiore a quello previsto per comparire in giudizio (venti giorni), garantendo così il pieno esercizio del diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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