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Contestazione suppletiva: il potere del PM in aula

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza che dichiarava l’improcedibilità per furto di energia per mancanza di querela. Il Pubblico Ministero aveva richiesto una contestazione suppletiva, aggiungendo un’aggravante che rendeva il reato procedibile d’ufficio. La Cassazione ha stabilito che il giudice non può impedire tale modifica, essendo un potere esclusivo dell’accusa, ma deve decidere nel merito sulla base della nuova imputazione, garantendo il diritto di difesa.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contestazione Suppletiva: la Cassazione ribadisce il potere del PM e i limiti del Giudice

In un processo penale, il ruolo del Pubblico Ministero (PM) come titolare dell’azione penale è centrale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 15114 del 2024, ha riaffermato un principio cardine della procedura: il potere del PM di effettuare una contestazione suppletiva in dibattimento non può essere sindacato o impedito dal giudice. Quest’ultimo ha il dovere di prendere atto della modifica e proseguire il giudizio sulla nuova base accusatoria, garantendo sempre il diritto di difesa dell’imputato.

I Fatti del Caso: Furto di Energia e la Querela Mancante

Il caso trae origine da un’accusa di furto di energia elettrica a carico di due persone. Gli imputati erano accusati di aver realizzato un allaccio abusivo alla rete elettrica per sottrarre energia senza registrarne i consumi. A seguito della Riforma Cartabia, il reato di furto semplice è diventato procedibile a querela di parte. Nel caso specifico, la società erogatrice dell’energia non aveva sporto querela entro i termini previsti dalla nuova normativa.

Di conseguenza, il reato sembrava destinato a una declaratoria di improcedibilità. Tuttavia, durante l’udienza, il Pubblico Ministero ha chiesto di modificare l’imputazione attraverso una contestazione suppletiva, aggiungendo la circostanza aggravante prevista dall’art. 625, n. 7 del codice penale, ovvero l’aver commesso il fatto su cose destinate a pubblico servizio. La presenza di tale aggravante avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio, superando così l’ostacolo della querela mancante.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di primo grado ha rigettato la richiesta del PM, ritenendola tardiva. Secondo il giudice, l’improcedibilità si era già consolidata allo scadere del termine per la presentazione della querela, e pertanto la modifica dell’accusa non era più ammissibile. Di conseguenza, il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge. L’accusa sosteneva che il giudice avesse illegittimamente negato l’esercizio di un potere-dovere, quello della contestazione suppletiva, che spetta unicamente al PM e che può essere esercitato fino alla chiusura del dibattimento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente le argomentazioni del Pubblico Ministero, annullando la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno chiarito che, ai sensi degli artt. 516 e 517 del codice di procedura penale, il potere di modificare l’imputazione in dibattimento è una prerogativa esclusiva dell’organo dell’accusa. Il giudice non può esercitare un sindacato preventivo sull’ammissibilità o sulla tempestività di tale contestazione.

La Corte ha specificato che il giudice, una volta che il PM ha formulato la nuova contestazione, ha l’obbligo di procedere sulla base del capo d’imputazione così come modificato. Il suo compito non è quello di bloccare l’azione penale, ma di assicurare che il processo prosegua nel rispetto del contraddittorio. A tal fine, il codice prevede specifiche garanzie per l’imputato, come il diritto di richiedere un termine a difesa per preparare una nuova strategia processuale (art. 519 c.p.p.).

Impedire la contestazione suppletiva, come fatto dal Tribunale, costituisce un’illegittima ingerenza nelle prerogative della pubblica accusa e una violazione delle norme procedurali, determinando una nullità di ordine generale. La decisione del giudice di primo grado di anticipare la declaratoria di improcedibilità ha di fatto troncato il processo, impedendo una piena valutazione dei fatti alla luce della possibile aggravante.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza la netta separazione dei ruoli tra accusa e giudice nel processo penale. Il potere di formulare e modificare l’accusa appartiene al Pubblico Ministero, unico dominus dell’azione penale. Il giudice non può arrogarsi un potere di controllo preventivo sulla contestazione suppletiva, ma deve limitarsi a garantire che, a seguito della modifica, i diritti della difesa siano pienamente tutelati. L’eventuale improcedibilità del reato va valutata solo al termine del dibattimento, sulla base dell’imputazione definitiva e validamente contestata, e non su quella originaria ormai superata dalla legittima iniziativa del PM.

Un giudice può impedire al Pubblico Ministero di modificare un’imputazione durante il processo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il potere di contestazione suppletiva (modifica dell’imputazione) è una prerogativa esclusiva e insindacabile del Pubblico Ministero. Il giudice non può negare l’esercizio di tale potere, ma deve prenderne atto e proseguire il giudizio.

Cosa succede se la modifica dell’imputazione cambia le condizioni di procedibilità del reato?
Il processo deve continuare sulla base della nuova imputazione. Se, ad esempio, l’aggiunta di un’aggravante rende un reato procedibile d’ufficio anziché a querela, il giudice non può più dichiarare l’improcedibilità per mancanza di querela ma deve decidere nel merito della nuova accusa.

Quali garanzie ha l’imputato se l’accusa viene modificata in dibattimento?
L’imputato ha diritto a chiedere al giudice la concessione di un termine per preparare la propria difesa sulla nuova contestazione, come previsto dall’articolo 519 del codice di procedura penale. Questo garantisce il pieno rispetto del principio del contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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