Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/11/2023
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17.4.2023, il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di furto di energia elettrica a lui ascritto, per mancanza di querela (fatto del 29.5.2016).
Il giudicante ha reputato illegittima, in quanto tardiva, la contestazione suppletiva formulata dalla pubblica accusa, relativamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7), cod. pen. (per essere l’energia elettrica un bene destinato a pubblico servizio), circostanza che avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio anche alla luce della riforma introdotta dal d.lgs. n. 150/2022.
Avverso la prefata sentenza propone ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica di Siracusa, adducendo violazione di legge, per avere il Tribunale fissato un termine di decadenza alla facoltà del PM di procedere alla contestazione ex art. 517 cod. proc. pen., equiparando il caso di specie a quello dell’illegittimità della contestazione suppletiva di un’aggravante ad effetto speciale – che determina il prolungamento del termine di prescrizione del reato – avvenuta dopo il decorso del termine di prescrizione del reato non aggravato.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il non doversi procedere nei confronti dell’imputato per il delitto a lui ascritto perché l’azione penale non deve essere proseguita per mancanza di querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
È assorbente il motivo riguardante la dedotta illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la tardività della contestazione suppletiva da parte del Pubblico ministero, asseritamente in quanto intervenuta oltre il termine per proporre la querela, in relazione al reato per come originariamente contestato.
Il Tribunale ha giustificato tale decisione operando un (erroneo) parallelo fra il termine di procedibilità e quello di prescrizione del reato, pur trattandosi, all’evidenza, di due situazioni giuridiche affatto diverse: l’istituto del
prescrizione attiene all’estinzione di (quasi) tutti i reati a seguito del mer decorso ‘del tempo, mentre il regime di procedibilità attiene alla necessaria sussistenza di una specifica condizione per l’esercizio dell’a2:ione penale rispetto a determinate figure di reato, secondo una scelta che è rimessa alla discrezionalità del legislatore. Si tratta di discipline normative affatto diverse per struttura e finalità, che non possono essere equiparate ai fini che qui rilevano.
È, dunque, evidente che, nella specie, il Pubblico ministero, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., era pienamente legittimato ad effettuare la contestazione suppletiva della circostanza aggravante in questione, a seguito della quale il reato oggetto di contestazione non poteva più considerarsi procedibile a querela di parte ma d’ufficio.
Il Tribunale, in sintesi, avrebbe dovuto decidere sulla regiudicanda rimodulata a seguito della contestazione suppletiva dell’accusa, stabilendo se nel caso concreto ne sussistessero – in tutto o in parte – i presupposti, traendone le relative conseguenze in tema di procedibilità del reato.
Sotto questo profilo, la pronuncia impugnata ha violato il codice di rito, che non consente al giudicante di esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della contestazione del fatto diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio o del reato concorrente o della circostanza aggravante non menzionati in tale decreto, dovendo invece provvedere sul capo d’imputazione come modificato, stabilendo se sussiste o meno la responsabilità penale dell’imputato (cfr. Sez. 2, n. 9039 del 17/01/2023, Rv. 284289 – 01).
5.1. Tale affermazione si inserisce in un costante orientamento, già ribadito da precedenti pronunce di legittimità (Sez. 6, n. 37577 del 15/10/2010, Rv. 248539 – 01, in motivazione), secondo cui gli artt. 516 cod. proc. pen. e segg., inseriti sotto la rubrica “Nuove contestazioni”, disciplinano l’esercizio dell’azione penale nel corso del dibattimento, mirando a salvaguardare il principio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza. Il Pubblico ministero interviene sull’imputazione enunciata nell’atto che instaura il giudizio, per adeguarla a quanto emerge dalle prove raccolte, in modo che il dibattimento possa proseguire e la decisione conformarsi alla fattispecie concreta corretta e/o ampliata. Effettuare una nuova contestazione è un potere esclusivo del Pubblico ministero, inerente all’esercizio dell’azione penale, la cui obbligatorietà è prescritta dall’art. 112 Cost. Ove si provveda in tal senso, non è richiesto né il consenso dell’imputato né l’autorizzazione del giudice. Pertanto, la decisione del giudice del dibattimento che, arrogandosi un potere che nessuna norma gli riconosce, nega al Pubblico ministero il compimento di un atto imperativo,
insindacabile e obbligatorio qual è la contestazione della circostanza aggravante, rilevando la tardività, è illegittimo.
5.2. Nello stesso senso si era già affermato quanto segue: “avvenuta, infatti, la contestazione del reato connesso da parte del pubblico ministero, il giudice che procede ha l’obbligo di provvedere in ordine al nuovo capo di imputazione, stabilendo se sussiste o meno la responsabilità penale dell’imputato, ovvero dichiarando la propria incompetenza perché il fatto appartiene a quella di un giudice superiore. E ove il giudicante ometta di decidere nel senso su riferito, la sentenza da lui resa potrà essere utilmente impugnata in quanto non si è pronunciata su di un capo di imputazione. Anzi, è proprio questo l’unico rimedio a disposizione del rappresentante della pubblica accusa avverso il rifiuto del giudicante a provvedere sulla contestazione effettuata ai sensi dell’articolo 517 cod. proc. pen., dal momento che la possibilità di procedere autonomamente – da taluni prospettata – è data per il reato connesso, ma non per la circostanza aggravante” (Sez. 2, n. 5180 del 5.11.1999, in motivazione).
5.3. Ulteriore argomento si trae dalla lettura della motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 139/2015, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. In tale decisione viene precisato come la contestazione “tardiva” di circostanze aggravanti sia idonea a determinare «un significativo mutamento del quadro processuale», potendo «incidere in modo rilevante sull’entità della sanzione tanto più quando si tratti di circostanze ad effetto speciale – e talvolta sullo stesso regime di procedibilità del reato». Tale passaggio motivazionale ammette e dà per scontata la possibilità che la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, effettuata nel corso del giudizio, determini – ove previsto per legge – il mutamento del regime di procedibilità del reato per cui si procede.
Quanto alla tardività della contestazione suppletiva rilevata dal giudicante, vanno qui ribaditi i principi affermati da Sez. Unite n. 4 del 28/10/1998 – dep. 1999, Rv. 212757, secondo cui «la direttiva n. 78, di cui all’art. 2 della legge delega per il vigente codice di rito (legge 16 febbraio 1987 n. 81), prevedendo appunto il potere del pubblico ministero di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione non pone specifici limiti temporali all’esercizio di detto potere nell’ambito di tale fase processuale, né consente di
fare distinzioni quanto alla fonte degli elementi dai quali la contestazione “suppletiva” trae causa. E ciò è stato previsto dalla direttiva in esame, e poi introdotto nel codice di rito, perché la modifica dell’imputazione o la contestazione di una circostanza aggravante, come pure di un reato concorrente, non possono che considerarsi come eventualità fisiologiche in un sistema processuale che si ispira al rito accusatorio incentrato nel dibattimento, ma che non consente, come più volte ricordato dalla Corte costituzionale, dispersione degli elementi utili per un “giusto processo”. Ora, è vero che la tendenziale parità delle parti, cui si ispira la logica del sistema accusatorio – nell’esaltare il princip del contraddittorio – richiede che il pubblico ministero formuli l’imputazione in base agli elementi d’accusa già acquisiti nelle indagini preliminari (artt. 405-407 cod. proc. pen.) e che, a sua volta, l’imputato, posto a conoscenza degli elementi di accusa, possa sin dall’inizio del dibattimento contrastarli efficacemente. Ma ciò non può comportare, come ineluttabile conseguenza, che, se il pubblico ministero, per inerzia o errore, abbia omesso in parte la contestazione di elementi di accusa già acquisiti, non possa provvedervi poi nel dibattimento, e sin dal suo inizio, apportando le necessarie modifiche all’imputazione».
7. In riferimento al momento processuale in cui il potere di precisazione della contestazione, immediatamente derivante dal principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., deve essere esercitato, le direttrici ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998 – dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757), non assegnano alcuna preclusione correlata alla preesistenza, rispetto all’apertura del dibattimento, degli elementi di fatto che portano alla modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e alla contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen., poiché le nuove contestazioni possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Di guisa che il potere di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni va riconosciuto al Pubblico ministero senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione (ex multis Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, Rv. 262614; Sez. 6 n. 44980 del 22.09.2009, Rv. 245284).
Sulla specifica questione oggetto della presente impugnazione si è già pronunciata la Sezione Feriale di questa Corte, la quale ha condivisibilmente affermato il principio secondo cui, in tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel caso di intervenuto decorso del termine previsto all’art. 85 del d.lgs. citato senza che sia stata proposta la querela, è consentito al pubblico ministero di modificare l’imputazione in udienza mediante la contestazione di una circostanza aggravante per effetto della quale il reato divenga procedibile di ufficio, essendo lo stesso investito, anche in difetto di sopravvenienze dibattimentali rilevanti a tale fine, del potere-dovere di esercitare l’azione penale per un reato correttamente circostanziato (cfr. Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, Rv. 285216 – 01; fattispecie di furto, in relazione alla quale, per effetto della contestazione suppletiva dell’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., il delitto era divenuto procedibile di ufficio). Ciò è stato affermato sul presupposto che il P.M. non ha la mera facoltà, bensì il potere-dovere di esercitare e proseguire l’azione penale per il fatto-reato correttamente circostanziato, e non ostando, in ipotesi, alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante l’assenza di sopravvenienze dibattimentali all’uopo rilevanti.
Dalle superiori GLYPH considerazioni GLYPH discende che GLYPH il Tribunale GLYPH ha illegittimamente precluso al Pubblico ministero il potere-dovere di esercitare e proseguire l’azione penale per il fatto-reato oggetto della contestazione suppletiva, in tal modo incorrendo nella nullità assoluta di ordine generale ex artt. 178 e 179 cod. proc. pen., concernente la formulazione dell’imputazione ad opera della parte pubblica nell’esercizio dell’azione penale.
A tale nullità consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Siracusa per l’ulteriore corso.
Così deciso il 22 novembre 2023
Il Presidente