Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21003 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21003 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MAZARA DEL VALLO il 20/05/1988
avverso la sentenza del 09/10/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Marsala, che ha condannato NOME COGNOME per il reato di concorso in furto aggravato dalla violenza sulle cose e dall’esposizione alla pubblica fede.
L’imputata è accusata di aver sottratto energia elettrica per servire l’appartamento di residenza, mediante un allaccio abusivo diretto alla rete elettrica ENEL.
Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo processuale: la contestazione suppletiva dell’aggravante dell’essere la cosa sottratta destinata a pubblico servizio – utilizzata dal pubblico ministero come strumento per ottenere la procedibilità d’ufficio del reato, altrimenti da negare, alla luce della riforma cui al d.lgs. n. 150 del 2022 – è illegittima.
La difesa ritiene che avrebbe dovuto dichiararsi il non doversi procedere per mancanza di querela, poiché la contestazione suppletiva del pubblico ministero è intervenuta all’udienza del 11.4.2023, quando il termine massimo consentito dalla novella del 2022 (pari a 90 giorni) era già decorso e, comunque, avrebbe dovuto ritenersi prevalente l’indicazione normativa dell’art. 129 cod. proc. pen., con la conseguente dichiarazione di non doversi procedere per la preliminare constatazione della mancanza della condizione di procedibilità.
Il ricorso evidenzia come, accanto all’orientamento giurisprudenziale cui si è conformata la Corte d’Appello – e che ritiene la sussistenza del potere del pubblico ministero di contestare l’aggravante che sblocca la procedibilità d’ufficio del reato, senza dare prevalenza alla declaratoria di improcedibilità ex art. 129 cod. proc. pen. -, vive di recente un’opposta tesi, espressa da Sez. 4, n. 27181 del 21/2/2024, Rv. 286652. Tale sentenza, in una fattispecie analoga a quella in esame, ha ritenuto che, in tema di reati divenuti procedibili a querela per effetto della modifica di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice del dibattimento, ove sia spirato il termine previsto dall’art. 85 d.lgs. citato in assenza d proposizione della querela, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio e dell’ammissione delle prove, è tenuto a pronunciare sentenza di improcedibilità ex art. 129, cod. proc. pen., essendo inefficace, in quanto indicativa di un abuso del processo da parte del pubblico ministero, la contestazione di un’aggravante finalizzata esclusivamente a rendere il reato procedibile d’ufficio.
Tale opzione ermeneutica, tuttavia, è rimasta isolata e ad essa si sono succedute numerose sentenze di segno opposto.
NOME
Il Sostituto Procuratore Generale, COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
3.1. La difesa dell’imputato ha depositato memorie in vista dell’udienza con le quali insiste nell’accoglimento del ricorso, ribadendone le ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.1. Anzitutto, può essere utile premettere una sintesi del quadro normativo determinatosi a seguito delle modifiche introdotte dall’art.2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022 n.150, in vigore dal 30 dicembre 2022, in relazione all’art. 624, terzo comma, cod. pen.
Per effetto di tale novella, il delitto di furto, anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen., non è più procedibile d’ufficio, ma è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi:
se la persona offesa è incapace, per età o per infermità;
se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (in quest’ultimo caso torna la regola della punibilità a querela). Pertanto, il reato è procedibile di uffici quando il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7-bis cod. pen., vale a dire se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica.
In relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l’art. 85 del d. Igs. n. 150 del 2022 ha stabilito che il termin per la presentazione della querela (pari a tre mesi ex art. 124, primo comma, cod. pen.) decorre dalla predetta data (30 dicembre 2022), se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
La disciplina sopravvenuta più favorevole, riguardante il regime di procedibilità, trova applicazione anche in ordine a fatti, come quelli oggi in esame (la contestazione si riferisce a una condotta attuata dal 7.5.2018 al 2.3.2021), commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs 150 cit., secondo il principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità in situazioni di successione di leggi nel tempo analoghe, stante la natura mista, sostanziale e
processuale, della querela, nonché la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, applicando il criterio generale di cuia all’art. 2, quarto comma, cod. pen. (cfr. Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749 – 01; nonché, in generale, sul principio, tra le altre, Sez. 2 n. 225 del 08/11/2018, dep., 2019, NOME COGNOME, Rv. 274734 – 01; Sez. 5, n. 22143 del 17/04/2019, D., Rv. 275924).
La situazione processuale oggi all’esame del Collegio è la seguente: il pubblico ministero, agendo ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., ha contestato l’aggravante della destinazione a pubblica utilità della cosa sottratta in relazione al reato di furto di energia elettrica – per cui si procede nei confronti dell’imputata – alla prima udienza utile del giudizio di primo grado (e cioè all’udienza del 11.4.2023), successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, che ha reso procedibile a querela il delitto ex art. 624 cod. pen., a meno che non ricorrano le circostanze aggravatrici indicate espressamente nel riformulato terzo comma della disposizione in esame, tra le quali rientra, appunto, quella in esame.
In data 19.6.2023 il Tribunale ha ritenuto sussistente l’aggravante citata, prevista dall’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen. (pacificamente di natura valutativa, secondo la giurisprudenza di legittimità, ancorchè ritenuta validamente contestata se contenuta in perifrasi o lucuzioni sufficientemente evocative: cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 34061 del 28/06/2024, COGNOME, Rv. 286937-01; Sez. 5, n. 35873 del 23/05/2024, COGNOME, Rv. 286943-01); per tale ragione, ha ritenuto procedibile il reato e condannato la ricorrente alla pena di quattro mesi di reclusione e 200 euro di multa, sanzione confermata in appello.
Nel giudizio di secondo grado, la difesa dell’imputata ha posto la questione relativa all’improcedibilità del delitto, in origine contestato senza l’aggravante che aveva dato luogo alla possibilità di procedere d’ufficio, ma soltanto con le aggravanti dell’uso della violenza sulle cose e del mezzo fraudolento, determinanti oramai la procedibilità solo a querela, ai sensi del riformulato terzo comma dell’art. 624 cod. pen.; secondo l’imputata, detta improcedibilità doveva dichiararsi prioritariamente rispetto a qualsiasi possibilità di integrazione della contestazione da parte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., finalizzata a rendere il delitto procedibile d’ufficio. A sostegno, l’imputata richiama Sez. 4, n. 27181 del 21/2/2024, COGNOME, Rv. 286652.
La prospettiva ermeneutica da cui muove il ricorso non può essere accolta e deve, invece, essere ribadito l’orientamento secondo cui, in tema di reati divenuti perseguibili a querela per effetto della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all’art. 85
del d.lgs. citato, è consentito al pubblico ministero di modificare l’imputazione mediante la contestazione, alla prima udienza utile, di un’aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio (Sez. 5, n. 37142 del 12/6/2024, COGNOME, Rv. 287060 02; Sez. 5, n. 17532 del 11/4/2024, COGNOME, Rv. 286448; Sez. 5, n. 14890 del 14/3/2024, COGNOME, Rv. 286291).
Le sentenze citate hanno chiarito che, in ipotesi come quella in esame, non si realizza alcun effetto preclusivo definitivo che imponga al giudice una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di declaratoria di improcedibilità, a differenza dell’ipotesi di estinzione del reato, anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo e i requisiti della pronuncia vanno accertati nel momento in cui la stessa deve essere resa.
Si tratta di un indirizzo consolidato sia nella giurisprudenza della Quinta Sezione penale, ribadito da numerose sentenze, che in quella della Quarta Sezione penale (cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 33657 del 2/5/2024, COGNOME, Rv. 286890 – 01; Sez. 5, n. 43083 del 30/9/2024, COGNOME, Rv. 287243 – 01; Sez. 4, n. 41716 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287037 – 01; Sez. 5, n. 4767 del 21/1/2025, COGNOME, Rv. 287615 – 02).
Con la specificazione della necessità che la facoltà del pubblico ministero può essere esercitata, come poc’anzi evidenziato, alla prima udienza utile successiva all’entrata in vigore della novella del 2022 che ha modificato il regime di procedibilità del furto e sempre che si versi nel caso in cui l’azione penale risulti esercitata antecedentemente al 30/03/2023, data in cui il legislatore ha fissato la scadenza del termine per la persona offesa di proporre querela, ai sensi della disciplina transitoria prevista dall’art. 85 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cfr., t le altre, Sez. 4, n. 2776 del 20/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287361 – 01).
Ed infatti, va subito evidenziato che tale orientamento fa leva sulla considerazione essenziale secondo cui l’esercizio del potere di contestazione suppletiva dell’aggravante, come riconosciuto dall’art. 517 cod. proc. pen., non prevede decadenze o limitazioni, neppure nel caso in cui l’elemento di fatto aggravante sia emerso già prima dell’esercizio della azione penale.
Si tratta di un potere che, per le molteplici ragioni che di qui a poco si preciseranno, deve trovare uno spazio per il suo esercizio anche nei processi in cui, per effetto della novella e del suo regime transitorio, disegnato per l’iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, l’eventuale inattività processuale nel periodo 30 dicembre 2022-30marzo 2023 abbia impedito di fatto al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato.
GLYPH
Tale spazio deve essere individuato nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023, primo segmento processuale in cui il pubblico ministero può, nel contraddittorio tra le parti, esercitare il potere di contestazione suppletiva.
3.1. La tesi qui preferita si fonda sul riconoscimento, in capo al pubblico ministero, del potere processuale di modificare l’imputazione e sull’analogia dei poteri processuali che devono essere garantiti alle parti, in coerenza con quanto previsto dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 per la persona offesa dal reato, alla quale il legislatore ha riservato un termine per la proposizione della querela dopo il mutamento del regime di procedibilità.
Ciò perché va tutelata, in adesione ai principi costituzionali previsti dagli artt. 3, 111, comma 2, e 112 Cost., anche la posizione processuale della pubblica accusa, la quale si sia trovata nella situazione di non aver contestato sin dall’origine tutte le circostanze aggravanti caratterizzanti il delitto di furto, qualsiasi ragione.
Viceversa, non paiono sistematicamente esatte le conclusioni cui giunge il ricorso, sulla base di una sentenza rimasta quasi isolata – Sez. 4, n. 27181 del 21/2/2024, COGNOME, Rv. 286652, che si ispira a Sez. 5, n. 3741 del 22/1/2024, COGNOME Rv. 285878 – espressione di un orientamento superato, con cui si afferma che la contestazione suppletiva non può spiegare, per tardività, i propri effetti, essendo questi inibiti dall’ormai sopravvenuta causa di improcedibilità “virtuale” del reato, per mancata presentazione della querela, ad opera della persona offesa, entro la data del 30 marzo 2023, secondo quanto previsto dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022.
Ed infatti, a giudizio del Collegio, la mancata previsione di un termine analogo per il pubblico ministero – lungi da costituire un argomento di una volontà legislativa che puntava ad impedire un epilogo di modifica della contestazione – si collega coerentemente con la previsione, nel nostro sistema processuale, di un mezzo ordinario (ed eventuale, collegato alla scelta, ancora una volta, dell’ufficio di Procura) di ripristino della situazione di procedibilità di un reato, qualora sussistano le condizioni di legge e quelle della fattispecie concreta.
Tale mezzo è la contestazione suppletiva della circostanza aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio alla prima occasione utile, da intendersi, quando il processo è già in corso – come nel caso di specie ed in quelli decisi dalle sentenze cui il Collegio intende adeguarsi – alla prima udienza utile.
E sul punto – come hanno osservato le sentenze espressione dell’orientamento cui si aderisce – sarebbe irragionevole far dipendere la procedibilità del delitto dalla fissazione, o meno, di un’udienza utile alla contestazione suppletiva prima della data del 30 marzo 2023.
In particolare, tenuto conto del momento in cui si è posto il tema della nuova procedibilità del reato, e della durata del conseguente regime transitorio disegnato per l’iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, l’eventuale inattività processuale durante tale periodo, di fatto, impedirebbe al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato.
Sicché non è ragionevole impedirgli – come accaduto nel caso di specie – di esercitare il potere di contestazione suppletiva della circostanza aggravante nella prima udienza utile, anche se fissata dopo la data del 30 marzo 2023, e precisamente all’udienza del 11.4.2023.
3.2. Giova aggiungere che è la sistematica dei rapporti tra gli artt. 129 e 517 cod. proc. pen. – arricchiti dal collegamento con l’art. 554-ter cod. proc. pen. – a restituire un quadro in cui, da un lato, vi è il potere/dovere del giudice, in via generale, di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità “in ogni stato e grado del processo”; dall’altro, sul versante dell’art. 517 cod. proc. pen., si riconosce, nel dibattimento – come anche nell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 423 cod. proc. pen. e nell’udienza predibattimentale disciplinata dal novello art. 554-bis cod. proc. pen. – il potere/dovere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nel provvedimento introduttivo, senza necessità di autorizzazione del giudice.
Ed invero lo scopo della contestazione suppletiva, oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione non solo del fatto, ma anche delle circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da far garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra “chiesto” e “pronunciato”.
La stessa sequenza normativa ora vigente – art. 554-bis/art. 554-ter cod. proc. pen. – contribuisce a rafforzare l’idea che le scansioni processuali immaginate dal legislatore, in rapporto logico e cronologico, per l’udienza predibattimentale, vedano, dapprima, il momento della modifica della contestazione (in modo che l’accusa rappresenti fedelmente il fatto storico principale e le sue connotazioni circostanziali) e successivamente il momento dell’eventuale, immediata definizione del processo con la declaratoria di una delle cause di proscioglimento o di estinzione del reato o di improcedibilità dell’azione penale (art. 544-ter cod. proc. pen., che ha aggiunto anche la sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna).
Va, pertanto, ribadito il principio secondo cui, in tema di reati divenuti perseguibili a querela per effetto della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all’art. 85 del d.lgs. citato, modificare l’imputazione
mediante la contestazione, in udienza, di un’aggravante che rende il reato procedibile d’ufficio (né può esservi di ostacolo l’osservazione che l’improcedibilità si sia già “virtualmente” prodotta, per le ragioni sin qui evidenziate).
3.3. Tale soluzione non si pone in contrasto, ovviamente, come è stato espressamente affermato in tutte le sentenze che compongono l’orientamento qui preferito, con i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 49935 del 28/09/2023, Domingo, Rv. 285517 – 01, chè – altrimenti – si sarebbe dovuto agire ai sensi dell’art. 618, comma 1- bis, cod. proc. pen.
La pronuncia delle Sezioni Unite ha affermato che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.
La sentenza Domingo ha siglato un criterio di prevalenza della causa estintiva del reato di natura sostanziale, costituita dalla prescrizione, rispetto al potere/dovere del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che, eventualmente riconosciuta, avrebbe impedito la declaratoria di prescrizione.
Per giungere a tale risultato, le Sezioni Unite hanno rivisto l’orientamento di un’altra pronuncia del massimo collegio nomofilattico, la sentenza Sez. U, n. 12283 del 25/1/2005, COGNOME, Rv. 230529, che ha ricostruito l’art. 129 cod. proc. pen. come norma che non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425 469, 529, 530 e 531 stesso codice), ma enuncia una regola di condotta “rivolta al giudice” e che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio.
La pronuncia Domingo ha rimodulato gli approdi delle Sezioni Unite COGNOME in una prospettiva evolutiva ed in un’ottica di ricomposizione costituzionalmente conforme di talune dinamiche interne all’art. 129 cod. proc. pen., quando a venire in gioco sia, però, specificamente, l’istituto sostanziale della prescrizione del reato, rispetto alla possibilità di contestare l’aggravante della recidiva.
Nel richiamare adesivamente anche la sentenza COGNOME, il rapporto di prevalenza fra la contestazione suppletiva e la causa di estinzione precedentemente perfezionatasi è stato ribaltato per il caso della maturata prescrizione del reato, con sterilizzazione degli effetti della contestazione suppletiva stessa.
La ragione ispiratrice di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile, come si è già chiarito, all’apprezzamento dei valori
costituzionali sottesi alla prevalenza massima accordata al funzionamento della causa di non punibilità della prescrizione del reato e alla accentuazione del suo dover essere dichiarata con “immediatezza”, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo.
Invece, nel caso del rapporto tra improcedibilità per mancanza di querela e contestazione suppletiva, tali esigenze di ordine costituzionale collegate alla ragionevole durata del processo non vengono in rilievo, poiché, anzi, spesso, la declaratoria di improcedibilità attiene ad un momento iniziale del processo.
Piuttosto, rilevano massimamente i principi costituzionali di eguaglianza e parità tra le parti e di obbligatorietà dell’azione penale, i quali, tutti, concorrono comporre le ragioni per cui può affermarsi che sia consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022, modificare l’imputazione mediante la contestazione, alla prima udienza utile, di un’aggravante che rende il reato procedibile d’ufficio.
Evidentemente, tale potere deve essere esercitato nel primo momento processuale utile, poiché altrimenti sarebbero eluse o comunque frustrate le esigenze di coerenza complessiva del sistema disegnato dalla disciplina transitoria della novella del 2022 e quelle di attuazione del dettato dell’art. 129 cod. proc. pen., che prescrive l’immediata declaratoria di cause di improcedibilità, ivi compresa la mancanza della condizione di procedibilità d’ufficio (tramite aggravante) o a querela di parte.
3.4. L’orientamento qui preferito e dominante nella giurisprudenza di legittimità (di cui è capofila la citata Sez. 5, n. 14890 del 2024) ha ricostruito l basi costituzionali più profonde che legittimano a ritenere possibile una differente prospettiva dei rapporti tra art. 129 e art. 517 del codice di rito, ispirandosi all giurisprudenza costituzionale.
In particolare, oltre a quanto già evidenziato, si sono richiamate le affermazioni del giudice delle leggi in tema di:
“discriminazione irragionevole” rispetto all’esercizio di diritti difensivi (cfr. sentenze che hanno configurato l’illegittimità dell’art. 517 nella parte in cui, pur a seguito della contestazione “tardiva” di circostanze aggravanti idonee a determinare un significativo mutamento del quadro processuale anche riguardo al regime di procedibilità del reato, non prevede la possibilità di restituzione nel termine per la effettuazione di scelte processuali dell’imputato dipendenti dalla contestazione come rinnovata: sentenze Corte cost. n. 184 del 2014, n. 265 del 1994 e n. 333 del 2009; n. 139 del 2015; n. 141 del 2018, n. 82 del 2019 e n. 146 del 2022);
“naturale fisiologia”, nell’impianto del nuovo codice accusatorio, delle modifiche della contestazione (v. sentenza n. 82 del 2019, Corte cost., §2.1.);
nozione di “ragionevole” durata del processo, che è declinata sempre come frutto di un bilanciamento delicato di confliggenti interessi pubblici e privati; tra primi GLYPH elencandosi GLYPH “l’obiettivo GLYPH di GLYPH raggiungere GLYPH il GLYPH suo GLYPH scopo GLYPH naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità” (v. Corte cost. sent. n.317 del 2009; n. 111 del 1993 e n. 111 del 2022).
Infine, la tesi cui si intende dare continuità ha aggiunto alle basi costituzionali di sistema, appena sintetizzate, acute considerazioni ermeneutiche sulla possibilità di immaginare alcune differenze tra le diverse situazioni processuali disciplinate dall’art. 129 cod. proc. pen., con riguardo:
alla natura di “giudicato affievolito” che produce, in qualche modo, la declaratoria di improcedibilità per mancanza della condizione relativa, poichè essa non rappresenta una decisione che investe la regiudicanda, ma si arresta ad uno stadio pregiudiziale, vale a dire al rilievo del difetto di una condizione necessaria perché il giudizio possa svolgersi o possa proseguire;
alla diversa regolamentazione della declaratoria di non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità prevista nel primo e nel secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen.: in base al primo comma, essa rappresenta un epilogo processuale che opera al pari della declaratoria di non doversi procedere “sostanziale”, per proscioglimento nel merito o per estinzione del reato; invece, stando al secondo comma, la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non viene menzionata insieme alle cause di estinzione del reato che, dal canto loro, sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito, quando evidente;
al diverso atteggiamento della giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite nel disciplinare il rapporto tra cause di non punibilità, inammissibilità e giudicato sostanziale: infatti, la remissione di querela, diversamente dalla causa estintiva della prescrizione, è stata ritenuta capace di prevalere sull’inammissibilità e il giudicato sostanziale (Sez. U, n. 24246 del 2004, COGNOME, Rv. 227681).
Poste le considerazioni sin qui svolte, deve evidenziarsi l’asimmetria della pronuncia le cui affermazioni sono invocate dalla ricorrente – Sez. 4, n. 27181 del 2024, cit. – rispetto al caso oggi in esame.
La sentenza della Quarta Sezione penale, infatti, ha chiarito, nella parte finale dell’articolata motivazione, che, per rigettare il ricorso del pubblico ministero e tenere ferma la declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela, intendeva valorizzare il dato dirimente del ritardo entro cui il pubblico ministero aveva deciso di esercitare il suo potere di integrazione dell’imputazione, mediante contestazione dell’aggravante della destinazione dell’energia elettrica sottratta alla pubblica utilità (in quanto appartenente ad una rete elettrica nazionale gestita dall’ENEL).
Ed infatti, in quella fattispecie, la Corte ha evidenziato come la prima udienza nel processo di merito si fosse celebrata il giorno 6.2.2023 (con verifica della regolare instaurazione del contraddittorio e dichiarazione di apertura del dibattimento ed ammissione delle prove); il pubblico ministero ha integrato l’imputazione, al fine di ottenere la procedibilità d’ufficio del reato, solo all’udienza del 3.4.2023, cui il processo era stato rinviato. Di conseguenza – sembra ricavarsi dal giudizio espresso dalla Corte – l’improcedibilità del reato, come originariamente contestato, si era oramai consolidata, per difetto della prescritta querela.
Ebbene, così come ricostruita, la conclusione della sentenza in esame non differisce dalle indicazioni della consolidata giurisprudenza di legittimità cui il Collegio ha inteso aderire, che, allo stesso modo, ha espresso le proprie affermazioni in punto di validità della contestazione, ex art. 517 cod. proc. pen., dell’aggravante valutativa della destinazione della cosa sottratta alla pubblica utilità, con riferimento alla disciplina transitoria di cui all’art. 85 d.lgs. n. 150 2022 ed all’irragionevole disparità di trattamento che deriverebbe, tra parte privata e parte pubblica, ove non fosse consentito a quest’ultima di attivare i propri poteri di intervento nel primo momento processuale utile, in caso di reati di furto nei confronti dei quali l’azione penale era stata esercitata prima dell’entrata in vigore della novella normativa (e dello spirare del termine per integrare la querela), che, dunque, non aveva potuto essere valutata.
Viceversa, quando il pubblico ministero non abbia attivato tale facoltà alla prima udienza utile, la scelta di non intervento è acquisita al processo, in coerenza con la previsione di una disciplina transitoria “a tempo” per la persona offesa che voglia proporre querela, e, pertanto, il potere di intervento deve ritenersi precluso, con conseguente espansione della improcedibilità “virtualmente” verificatasi.
Non vi è dubbio che la sentenza n. 27181 del 2024 dedichi una consistente parte della motivazione all’analisi della questione in generale, senza focalizzarsi sulla ratio decidendi effettivamente utilizzata e relativa alla decadenza processuale sostanzialmente verificatasi, che ha frustrato il potere di iniziativa integrativa della pubblica accusa (ratio decidendi relegata ad una annotazione finale). Anzi, sembra aderire ad un’opzione generale e contraria a quella dell’orientamento dominante e qui condiviso (con cui a dire il vero non si confronta perché ad essa successivo). Infatti, si ritiene – sia pur tramite una parafrasi cui segue un’approfondita analisi delle ragioni a sostegno – che il principio posto da Sez. U, Domingo, vale a dire la prevalenza dell’improcedibilità sulla facoltà di contestazione suppletiva del pubblico ministero, valga per tutte le cause di non punibilità menzionate dall’art. 129 cod. proc. pen. e per ogni ipotesi di circostanza aggravante oggetto di contestazione suppletiva ex art. 517 cod. proc. pen.
Di conseguenza, detto principio vale anche nell’ipotesi di contestazione di un’aggravante funzionale a rendere procedibile d’ufficio un reato, contrariamente
a quanto sostenuto dalla tesi condivisa oggi dal Collegio.
Tuttavia, le affermazioni svolte dalla sentenza n. 27181 del 2024, da un lato, non costituiscono la vera ragione decisoria e non sono direttamente collegate alle
scelte adottate, rappresentando piuttosto una ricostruzione ermeneutica di premessa, cui non si aderisce in modo definitivo; dall’altro, costituiscono
un’opzione attualmente estremamente minoritaria, sovrastata da numerose decisioni successive sia della Quinta Sezione penale che della stessa Quarta
Sezione penale (già richiamate al punto 3).
5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/3/2025.