Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18861 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18861 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della repubblica presso il TRIBUNALE DI TRANI nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a TERLIZZI il 06/08/1966
avverso la sentenza del 11/10/2024 del TRIBUNALE di Trani Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata 1’11 ottobre 2024 dal Tribunale di Trani, che ha prosciolto per difetto di querela NOME COGNOME dall’accusa di furto di energia elettrica. In particolare, il Giudice monocratico ha ritenuto che la contestazione suppletiva della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio del bene sottratto, effettuata dal pubblico
ministero all’udienza dell’Il ottobre 2024, fosse tardiva e che doveva prendersi atto della mancanza di querela, querela necessaria alla luce del mutato regime di procedibilità del furto aggravato, dovuto all’entrata in vigore del d.lgs 150 del 2022, e non intervenuta nel termine di cui all’art. 85 d.lgs 150 cit.
Avverso detta sentenza ricorre il pubblico ministero presso il Tribunale di Trani, che lamenta violazione di legge ed evidenzia due aspetti che militano per l’erroneità della decisione assunta.
Il primo secondo cui la natura del soggetto leso e dell’oggetto materiale del reato – funzionale a definire la destinazione a pubblico servizio del bene sottratto – emergerebbe già dall’imputazione. L’altro tema su cui il ricorso fonda è quello per il quale il potere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non sarebbe soggetto a decadenze.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del pubblico ministero è fondato, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Trani in diversa composizione.
La decisione del Giudice monocratico contro la quale il pubblico ministero insorge ha visto il proscioglimento per difetto di querela di NOME COGNOME dal reato di furto di energia elettrica, aggravato ex art. 625, comma 1, n. 2), cod. pen. (senza specificazione di quale fosse l’aggravante contestata tra quelle di cui alla citata disposizione), giacché il Tribunale ha preso atto delle modifiche dell’art. 624, comma terzo, cod. pen., intervenute per effetto dell’art.2, comma 1, lett. i), digs. 10 ottobre 2022 n.150, in vigore dal 30 dicembre 2022; modifiche in conseguenza delle quali il delitto di furto, anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen. (prima procedibile di ufficio), è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi:
se la persona offesa è incapace, per età o per infermità;
se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7, limitatamente alle ipotesi in cui il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7 -bis, vale a dire se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di
trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica.
La novità normativa riguardante il regime di procedibilità trova applicazione anche in ordine a fatti, come quello sub iudice, commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs 150 cit. A questa conclusione può giungersi, pur in assenza di una disposizione transitoria ad hoc nella cd. riforma Cartabia (Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749 – 01), mutuando il principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in occasione di altri interventi legislativi che hanno modificato, in una direzione o nell’altra, il regime di procedibilità dei reati. Si è, infatti, condivisibilmente sostenuto che, data la natura mista, sostanziale e processuale, della querela e la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, il rapporto tra leggi che modificano il regime di procedibilità di un reato deve essere governato dalla norma di cui all’art. 2, comma 4, cod. peri. Il principio è stato sancito da Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 241862 (a proposito del reato di cui all’art. 642 cod. peri.) secondo cui l’esistenza della condizione di procedibilità, in precedenza non richiesta, andava verificata dal Giudice anche in ordine ai reati commessi anteriormente all’intervenuta modifica. Di segno analogo, ancorché in direzione inversa, è la giurisprudenza secondo cui, qualora il regime di procedibilità divenga più severo, la modifica normativa non può riguardare i reati commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della novella (Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999 sulla “nuova” irrevocabilità della querela in materia di stalking; Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, COGNOME, Rv. 209188 circa l’irretroattività della procedibilità di ufficio per i reati di violenza sessuale previs dall’art. 609-septies cod.pen.). Tale orientamento è stato richiamato in Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273552-01, § 5.
Calato il principio nell’odierna regiudicanda, se ne deduce che la novella del d.lgs. 150 del 2022, siccome disposizione di favore, trova applicazione anche con riferimento a reati commessi prima della sua entrata in vigore, come quello addebitato all’imputato.
Prendendo atto della novità normativa, il Giudice monocratico ha prosciolto l’imputato per difetto di querela. A questo esito il Giudice è giunto nonostante la contestazione della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio del bene sottratto effettuata dal pubblico ministero all’udienza dell’Il ottobre 2024 in sede di richieste introduttive – contestazione che ha ritenuto tardiva – e prendendo atto che, nel termine di cui all’art. 85 d.lgs. cit., non era stata sporta querela da parte della persona offesa.
Ciò premesso, i temi che il ricorso pone sono due, quello della natura valutativa o meno della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio dell’energia elettrica (come di altri beni primari oggetto di servizi erogati alla generalità) e della conseguente possibilità di ritenerla contestata in fatto; e quello della possibilità, per il pubblico ministero, di procedere a contestazione della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio una volta decorso il termine individuato dalla riforma Cartabia per consentire alla persona offesa di presentare querela (art. 85 cit.), rendendo, così, irrilevante il difetto sopravvenuto della condizione di procedibilità dovuto al mutato regime frutto della novella.
Tali temi sono stati oggetto di un vivace, recente confronto nella giurisprudenza di questa Corte, che ha visto ad oggi sedimentarsi l’orientamento – cui il Collegio intende aderire – secondo cui:
la circostanza aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio ha natura valutativa e non autoevidente e richiede, quindi, un’esplicita contestazione che, tuttavia, può ritenersi attuata anche quando nell’imputazione si sia fatto ricorso solo a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione.
il pubblico ministero conserva la possibilità, nel primo momento utile dopo il decorso del termine offerto alla persona offesa per presentare querela, di contestare, ex art. 517 cod. proc. pen., la circostanza aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio, rendendo così procedibile di ufficio il reato.
Quanto al primo aspetto, il pubblico ministero ricorrente ritiene che, dal capo di imputazione così come formulato, fosse evincibile la contestazione della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio dell’energia elettrica sottratta dall’imputato.
Ebbene, facendo tesoro della giurisprudenza sulle implicazioni della natura valutativa o autoevidente di una circostanza aggravante e sul grado di precisione pretesa per ritenerla validamente contestata (in primis di Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv. 275436) e poi di quella specifica sull’aggravante di cui si discute, deve concludersi che il punto di vista della parte pubblica ricorrente non è corretto.
Come ripetutamente ribadito negli arresti che si sono susseguiti a far data dall’entrata in vigore della novella rispetto a regiudicande analoghe (ricorsi del pubblico ministero contro sentenze di proscioglimento per difetto di querela di furti di beni oggetto di distribuzione massiva), arresti che sostanziano un fronte ad oggi decisamente maggioritario della giurisprudenza di questa Corte, tale
circostanza non ha natura autoevidente, siccome connotata da componenti di natura valutativa, che impongono una verifica di ordine giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di “pubblico servizio”, verifica che si basa su considerazioni in diritto, anche complesse, la cui illustrazione non si esaurisce con il mero riferimento all’oggetto sottratto. Ne consegue che l’aggravante in parola, quando non espressamente indicata attraverso il richiamo alla disposizione di cui all’art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen. e quando non esplicitamente definita con riferimento alla destinazione del bene, può ritenersi validamente contestata solo quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione (così Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286291- 01; in linea con quest’ultima, Sez. 5, n. 4767 del 21/01/2025, COGNOME, Rv. 287615 – 02; Sez. 5, n. 43083 del 30/09/2024, COGNOME, Rv. 287243 – 01; Sez. 5, n. 37142 del 12/06/2024, COGNOME, Rv. 287060 – 02; Sez. 5, n. 34061 del 28/06/2024, COGNOME, Rv. 286937-01; Sez. 5, n. 35873 del 23/05/2024, COGNOME, Rv. 286943-01; Sez. 5, n. 33657 del 02/05/2024, COGNOME, Rv. 286890 – 01; Sez. 5, n. 17532 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286448 – 01). Altrimenti detto, l’indicazione presente nel capo di imputazione – hanno ritenuto i precedenti ai quali il Collegio intende dare seguito «deve essere congeniata in maniera da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa» (così, da ultima, da Sez. 5, COGNOME). Quanto alle coordinate valutative circa l’esaustività della contestazione dell’aggravante, nella sentenza COGNOME questa Corte ha altresì precisato che «La casistica può essere, ovviamente, la più varia, ma l’essenziale è comprendere che il criterio di valida contestazione dell’aggravante con natura valutativa non è rigidamente ancorato a determinate terminologie ma postula margini di flessibilità lessicale e sintattica, avendo come unico obiettivo quello di informare adeguatamente l’imputato circa la natura del fatto che vale ad aggravare le conseguenze sanzionatorie. Una tale necessità, inequivocamente stabilita dalle plurime norme codicistiche che descrivono la modalità con la quale deve essere effettuata la contestazione del fatto e delle sue aggravanti, deriva anzitutto dai principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti umani, che garantisce effettivi livelli di tutela del diritto difesa (cr. art. 6, par. 3, lett. a, CEDU)». Interessante, per sgomberare il campo da un possibile equivoco interpretativo, è anche il passaggio della sentenza COGNOME in cui si è sostenuto che la riconoscibilità della contestazione in fatto prescinde dall’esistenza di un’esegesi che classifichi determinate condotte come aggravate (perché, se così fosse stato, Sezioni Unite Sorge non avrebbero raggruppato in un unicum di carattere valutativo ipotesi di falso che la Corte di Cassazione – copia non ufficiale
giurisprudenza consolidata riteneva pacificamente aggravate dalla fidefacenza); piuttosto – ha precisato la sentenza COGNOME «Il parametro per riconoscere la immediata percepibilità della portata giuridica aggravatrice insita nella evocazione di un fatto o di un atto è, dunque, la sfera delle conoscenze dell’uomo medio e cioè la possibilità per tale “agente” di percepire con un ragionamento semplice e diretto, la natura dell’atto o comportamento contestati come capaci di rendere il fatto in esame, esposto ad una valutazione più severa». Venendo al concreto, si è ritenuto, per esempio, adeguatamente esplicativo della contestazione in fatto della circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio il riferimento ad un allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore, la quale garantisce l’erogazione di un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’esigenza di rilevanza “pubblica” (Sez. 5, COGNOME; Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, COGNOME n.m.).
Calate le coordinate ermeneutiche appena richiamate nella concreta regiudicanda, il Collegio deve rilevare che nel capo di imputazione mancano riferimenti descrittivi sufficientemente inequivoci circa la destinazione dell’energia trafugata a pubblico servizio, posto che l’addebito concreto fa riferimento alla sottrazione del bene «alla rete di distribuzione RAGIONE_SOCIALE attraverso la manomissione delle prese di alimentazione e bypassando il contatore/misuratore», senza che sia adeguatamente illustrato il meccanismo di prelievo e senza che si comprenda – per rifarsi all’esempio citato in Sez. 5, COGNOME – se non attraverso mere intuizioni, se ed in che misura la manomissione attuata consentisse un allaccio diretto alla rete.
5. Il ricorso del pubblico ministero coglie nel segno, invece, quando censura la sentenza impugnata nella parte in cui quest’ultima non ha attribuito rilievo, ritenendola tardiva, alla contestazione suppletiva, effettuata dal pubblico ministero, della circostanza aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio (con conseguente procedibilità d’ufficio del reato), benché tale attività fosse stata svolta dal rappresentante della Procura della Repubblica alla prima udienza utile (le precedenti si erano risolte in rinvii in via preliminare) dopo la scadenza del termine di cui all’art. 85 d.lgs 150 del 2022, cioè 1’11 ottobre 2024.
A questo riguardo vanno ribadite le conclusioni cui sono giunte – oltre che Sez. 5, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, citt. – anche Sez. 4, n. 2776 del 20/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287361 – 01, Sez. 4, n. 41716 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287037 – 01; Sez. 4, n. 14710 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286124 – 01; Sez. 4, n. 15098 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286108 – 01; Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, Di
COGNOME, Rv. 285216 – 01; Sez. 4, n. 14700 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286123 – 01; Sez. 4, n. 47769 del 22/11/2023, COGNOME, Rv. 285421 – 01; Sez. 4, n. 17455 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286344 – 01; Sez. 4, n. 50258 del 22/11/2023, Gentile, Rv. 285471 – 01). Secondo tali precedenti, nel caso in cui l’azione penale risulti esercitata antecedentemente al 30 marzo 2023, data di entrata a regime delle modifiche introdotte, con riguardo alla procedibilità, dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è consentita al pubblico ministero la contestazione suppletiva dell’aggravante della destinazione del bene sottratto a un pubblico servizio entro la prima udienza successiva a tale data.
A questa conclusione il Collegio è giunto condividendo il ragionamento svolto dai precedenti suddetti, che hanno raggiunto conclusioni unanimi sul tema dei rapporti tra le disposizioni di cui agli artt. 129 e 517 cod. proc. pen. e del possibile raccordo tra esse benché in una posizione reciproca potenzialmente antinomica, tema cruciale per comprendere se il pubblico ministero conservasse il potere di contestazione della circostanza aggravante anche una volta spirato il termine per proporre querela per il reato originariamente contestato.
L’analisi che è stata svolta si snoda attraverso i seguenti passaggi, con enunciati che possono essere in questa sede richiamati e ribaditi.
Da una parte, l’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., prevede, tra i poteri/doveri del giudice disciplinati in via generale, quello di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità «in ogni stato e grado del processo»; dall’altra, l’art. 517 cod. proc. pen. riconosce, nel dibattimento – come anche nella udienza preliminare ex art. 423 cod. proc. pen. e nell’udienza predibattimentale disciplinata dal novello art. 554-bis cod. proc. pen. – il potere/dovere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nel provvedimento introduttivo, senza necessità di autorizzazione del giudice. Lo scopo della contestazione suppletiva, oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione non solo del fatto, ma anche delle circostanze, in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra “chiesto” e “pronunciato”, nell’ottica delle garanzie difensive cui la contestazione è funzionale. Ed è proprio dai contenuti dell’udienza predibattimentale e, soprattutto, dalla collocazione sistematica della norme di nuovo conio che la giurisprudenza di questa sezione (Sez. 5, COGNOME, COGNOME.) ha tratto un primo indicatore esegetico per risolvere l’apparente conflitto tra le norme di cui agli artt. 129 e 517 cod. proc. pen. Se il nuovo art. 554-bis, comma 6, cod. proc. pen. – si legge nei precedenti citati – precede l’art. 554-ter cod. pen., che
prevede, al primo comma, un obbligo di proscioglimento immediato analogo a quello dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., allora il nuovo sistema vede come preliminare l’aggiustamento della contestazione da parte del pubblico ministero, anche su sollecitazione del Giudice, e poi la possibile constatazione, da parte di quest’ultimo, dell’esistenza di cause di immediato proscioglimento, tra cui anche il difetto di querela, che è un’ipotesi per cui l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita.
Andando a ritroso, si sono poi analizzati e valorizzati gli approdi delle Sezioni Unite di questa Corte sui rapporti fra l’art. 517 e l’art. 129 del codice di rito.
Per quanto di interesse in questa sede, Sezioni Unite COGNOME (n. 12283 del 25/01/2005) hanno escluso la legittimità della pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. con rito de plano; ciò in quanto l’art. 129 non attribuisce al giudice un potere ulteriore e autonomo al di fuori di quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice): epilogo che dunque deve avvenire con le precisate cadenze e modalità procedimentali e non in modo disancorato da queste. Nella sentenza COGNOME si legge altresì che il proscioglimento senza contraddittorio – ed è questo un argomento di specifico interesse in questa sede – incide negativamente sulla partecipazione al procedimento del pubblico ministero, al quale viene precluso l’esercizio delle facoltà tese eventualmente a meglio definire e suffragare l’accusa, e determina la violazione del diritto di difesa dell’imputato, al quale viene interdetto l’esercizio di facoltà esperibili solo nell’ambito della fase o grado in essere. Il portato essenziale dell’art. 129 cod. proc. pen. è stato cioè individuato nella inibizione al giudice, susseguente alla rilevazione della causa di non punibilità, dei poteri istruttori relativi al thema decidendum, ma non anche nella inibizione della attività processuale, diversa da quella istruttoria, che deriva dal diritto delle parti all’ascolto nel contraddittorio, avendo esse la potestà di dare sfogo alle pretese proprie della fase processuale in essere. Tra queste, viene espressamente richiamata, nella motivazione della sentenza COGNOME – accanto a taluni poteri e diritti dell’imputato e della persona offesa- l’esclusiva potestà del pubblico ministero di modificare l’imputazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Un altro precedente con cui le sentenze favorevoli alla contestazione suppletiva si sono confrontate è Sezioni Unite Domingo, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione del reato per prescrizione, che l’autorevole precedente ha ritenuto inidonea ad impedire il proscioglimento suddetto.
In questo caso – si è osservato – la sentenza di proscioglimento per prescrizione segna solo la dichiarazione formale della causa di estinzione, che
tuttavia retroagisce al momento in cui quest’ultima è maturata e ha determinato, irrimediabilmente, l’effetto estintivo, sostanziale del reato, che rende superflua ogni ulteriore attività processuale, perché testimonia il venir meno dell’interesse punitivo dello Stato. Diverso è il caso dell’improcedibilità per difetto di querela che interessa nell’odierna regiudicanda, che è una statuizione processuale che non ha valenza ex ante, in quanto si limita a prendere atto, nel momento della decisione, dell’assenza della condizione di procedibilità, senza che vi sia un momento anteriore in cui l’improcedibilità può dirsi irrimediabilmente cristallizzata. Proprio in ragione della natura di statuizione processuale, la declaratoria di improcedibilità produce un effetto di giudicato che si potrebbe definire “affievolito”: essa non rappresenta una decisione che investe la regiudicanda, ma si arresta ad uno stadio pregiudiziale, vale a dire al rilievo del difetto di una condizione necessaria perché il giudizio possa svolgersi o possa proseguire. Da questa conclusione ne è stata tratta un’altra – cruciale per la soluzione della quaestio iuris in esame – cioè che la verifica della sussistenza delle condizioni preliminari per procedere al giudizio in termini di procedibilità, a differenza che il rilievo della prescrizione, deve essere compiuta avendo riguardo alla situazione esistente nel momento in cui la pronuncia deve essere assunta. In caso contrario si avrebbe che il giudice dovrebbe rilevare la presenza di un ostacolo all’esame del merito della res iudicanda quando oramai quell’ostacolo è stato rimosso e sarebbe irragionevole dichiarare l’impossibilità di proseguire l’azione penale quando in realtà l’impedimento a procedere è venuto meno. D’altra parte, si è altresì sostenuto, il dictum di Sezioni Unite Domingo si spiega anche con la necessità di non frustare – consentendo la contestazione suppletiva da parte del pubblico ministero – il principio della ragionevole durata del processo benché sia decorso il tempo previsto per l’estinzione del reato, esigenza che non si rinviene quando occorra rilevare la mancanza di una condizione di procedibilità, che prescinde dal tempo che separa la pronunzia da quella del commesso reato.
A sostegno del ragionamento svolto, si sono anche esaltate delle specifiche anomalie che un’interpretazione diversa comporterebbe.
La prima è una asimmetria tra prerogative riconosciute, rispettivamente, al pubblico ministero e alla persona offesa; quest’ultima, approfittando della finestra riconosciutale dal legislatore della riforma, avrebbe potuto incidere sulle sorti del processo esercitando il diritto di querela, mentre analogo potere non sarebbe consentito al pubblico ministero mediante la possibilità di contestare nel primo momento utile dopo la scadenza del termine concesso alla persona offesa per presentare querela – un’aggravante che riportasse il reato nell’ambito
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della procedibilità di ufficio, con conseguente mortificazione del dovere di esercizio dell’azione penale e
vulnus degli artt. 3 e 112 cost..
Il ragionamento svolto è così sintetizzato, da ultima, nella sentenza
COGNOME: «
In definitiva: – il Pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato
procedibile di ufficio: ne ha il potere; ne ha l’occasione (offerta dal segmento processuale del contraddittorio che deve sempre necessariamente precedere
l’assunzione della decisione); – con la contestazione suppletiva il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l’ostacolo
processuale al prosieguo dell’azione penale; – il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di improcedibilità, poiché non si è realizzato alcun effetto
preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di declaratoria di improcedibilità – a differenza dell’ipotesi di estinzione di
un reato che, essendosi “spento” nella dimensione sostanziale, non può rivivere
– anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo e la decisione deve verificare la situazione al momento in cui è resa».
4. Recepiti e applicati gli anzidetti principi, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Trani in diversa composizione.
Il Giudice del rinvio è stato individuato in quello di primo grado in quanto, alla luce dell’art. 593, comma 2, cod. proc. pen. nel testo modificato dall’art. 2, comma 1, lett. p), L. 9 agosto 2024, n. 114 (in vigore dal 25 agosto 2024 ed applicabile solo alle sentenze pronunziate dopo quest’ultima data, cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 6984 del 05/02/2025, P., Rv. 287528 – 01), il ricorso per cassazione è l’unico rimedio esperibile dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per i reati di cui all’articolo 550, commi 1 e 2 cod. proc. pen., donde il rinvio non va disposto al giudice competente per l’appello, come previsto dall’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., ma al giudice che ha emesso la sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di trani in diversa composizione.
Così deciso il 14/04/2025.