Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34682 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34682 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANIA nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2023 del TRIBUNALE di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata;
lette le conclusioni depositate in data dall’AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse dell’imputato, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catania, in composizione monocratica, ha dichiarato non doversi procedere per difetto della querela in ordine al delitto di furto di gas, aggravato dalla violenza sulle cose e su cose esposte alla pubblica fede per necessità e consuetudine.
Va anche aggiunto che la condotta descritta faceva riferimento all’impossessamento avvenuto attraverso collegamento abusiva mediante allaccio diretto alla rete della società RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale a fronte della contestazione suppletiva proposta dal pubblico ministero, in ordine alla destinazione a pubblico servizio ex art. 625, n. 7 cod. pen., all’udienza del 6 ottobre 2023, valutava tardiva tale contestazione e quindi improduttiva di effetti la stessa anche in ordine alla procedibilità del reato.
Il ricorso per cassazione proposto dal Procuratore AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Catania, lamenta violazione di legge in relazione all’art. 625, n. 7 cod. pen. rappresentando che il Giudice avrebbe esercitato un sindacato sulla contestazione suppletiva non consentito e conseguentemente dichiarato il proscioglimento con sentenza nulla, senza valutare la sussistenza della procedibilità d’ufficio.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 2 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 9 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona dell’AVV_NOTAIO, osservava che la disamina preliminare sulla ricognizione della sussistenza di una “contestazione in fatto” dell’aggravante ex art. 625 n. 7 cod. pen. è stata prospettata dal provvedimento di restituzione del 3 gennaio 2024, con cui la Prima Presidente sollecitava la rivalutazione della questione sui rapporti tra l’esercizio della contestazione suppletiva ex art. 517 cod. proc. pen. e il potere dovere del giudice di immediata declatoria di determinate cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., alla luce dei principi ermeneutici desumibili dalle SS.UU COGNOME (n. 24906/2019) in relazione ai limiti e alle condizioni di legittimità imposti all “contestazioni in fatto” delle circostanze aggravanti integrate da elementi di natura anche valutativa; che il capo di imputazione descrive una condotta di furto di quantitativi di gas metano, realizzata attraverso collegamento abusivo, mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore; che l’imputazione contiene formulazioni testuali idonee, per la loro immediata capacità evocativa, a dare inequivocabilmente conto del contenuto valutativo che integra la tipicità della
fattispecie aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., atteso che le modalità descrittive della condotta (l’allacciamento diretto alla rete dell’ente gestore) sono altresì indicative del distoglimento della res dalla sua finalità ultima, ossia il soddisfacimento di “pubblica” rilevanza dei bisogni energetici di un numero indeterminato di consociati; che la condotta di furto addebitata all’odierno imputato e rispetto alla quale egli ha avuto modo di difendersi, è individualizzata anche a fronte della sua diretta capacità di lesione di un interesse a dimensione pubblica e collettiva, la cui tutela giustifica l’aggravamento del trattamento sanzionatorio e il mantenimento del regime officioso di procedibilità, anche a fronte delle modifiche intervenute alla disciplina degli art. 624 e ss. cod. pen. ad opera del legislatore del 2022; che, pertanto, l’aggravante della destinazione al pubblico servizio ex art. 625 n. 7 cod. pen. deve considerarsi come legittimamente contestata “in fatto”, rendendo il reato oggetto della regiudicanda procedibile d’ufficio sin dall’origine; che comunque il PM procedeva alla modifica del capo di imputazione contestando tempestivamente, ex art. 517 cod. proc. pen., l’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen.; che il giudice di merito ha erroneamente pronunciato il non doversi procedere per difetto di querela ex art. 129 cod. proc. pen., con conseguente necessità di annullare la sentenza impugnata e rinviare ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen. alla Corte di Appello di Catania per il relativo giudizio.
Il difensore, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME, per l’imputato, si è ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va premesso che nel caso in esame il ricorso si concentra, fondatamente, sulla questione della tempestività della contestazione suppletiva da parte del Pubblico ministero, intervenuta alla prima udienza utile successiva al 30 marzo 2023, scadenza del termine previsto per consentire alla persona offesa di depositare la querela.
Pertanto, l’ulteriore tema, anche evidenziato dalla Procura AVV_NOTAIO di questa Corte, relativo alla contestazione in fatto, sarà valutato successivamente.
Quanto alla contestazione suppletiva operata dal Pubblico ministero, come osservato da Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286291 – 01, in motivazione – che ha espresso un orientamento sul punto condiviso da questo
Collegio – è ben possibile che il pubblico ministero proceda alla contestazione anche dopo la scadenza del termine del 30 marzo 2023, prefissato per la presentazione della querela della norma transitoria del d.lgs. n. 150 del 2022.
Ciò a patto che si tratti della prima occasione utile di contraddittorio correttamente istaurato dopo l’entrata in vigore della modifica normativa.
Il che si è verificato nel caso in esame, in quanto a fronte del decreto di citazione a giudizio datato 22 ottobre 2020, la prima udienza cadeva il 25 marzo 2022, prima dell’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia, la seconda udienza il 10 marzo 2023, prima della scadenza del termine fissato dal legislatore al 30 marzo 2023, con differimento proprio per consentire la proposizione della querela; all’udienza successiva, il 6 ottobre 2023 il Pubblico ministero procedeva alla contestazione suppletiva.
Diversamente il Tribunale ha ritenuto che tale contestazione, pur ammissibile in linea astratta, non potesse spiegare, per tardività, i propri effetti, essendo questi inibiti dalla ormai sopravvenuta causa di improcedibilità del reato per mancata presentazione della querela, ad opera della persona offesa, entro la data del 30 marzo 2023. Data fissata dal legislatore relativamente ai processi pendenti per uno dei reati che la riforma c.d. Cartabia aveva reso, per l’appunto, procedibili a querela di parte.
4. A ben vedere, come è stato osservato da Sez. 5, COGNOME, l’analisi letterale e sistematica delle due norme processuali in esame, anche nel loro combinato disposto, restituisce la conformazione di un sistema che, da un lato (art. 129, comma 1, c.p.p.), prevede, tra i poteri/doveri del giudice disciplinati i via AVV_NOTAIO, quello di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità “in ogni stato e grado del processo”; dall’altro (art. 517 c.p.p.) riconosce al pubblico ministero, nel corso del dibattimento – come anche della udienza preliminare ai sensi dell’art. 423 c.p.p. e della udienza predibattimentale disciplinata dal novello art. 554-bis – il potere/dovere (il pubblico ministero “contesta”) di contestare una circostanza aggravante non menzionata nel provvedimento introduttivo. Ciò senza neanche necessità di autorizzazione del giudice.
Lo scopo evidente della contestazione suppletiva è oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen. ed è quello di far sì che l’atto propulsivo contenente la contestazione contenga la definizione delle dette circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo e, conseguentemente, tali da far ritenere rispettato, alla fine del giudizio, il principio di corrispondenza fr “chiesto” e il “pronunciato”.
La regola posta dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., dal canto suo, è stata comunemente descritta, dalla giurisprudenza di legittimità, come quella che vale
a stabilire un criterio di prevalenza delle formule proscioglitive in esso previste, sostanziali o processuali – quando queste si presentino chiare – su qualsiasi attività processuale ulteriore, anche volta ad approfondimenti istruttori in favore dell’imputato.
La relazione sistematica fra l’art. 517 e l’art. 129 del codice di rito è stata analizzata dapprima dalla giurisprudenza facente capo alla sentenza delle Sez. U. De COGNOME, n. 12283 del 2005, e, successivamente, da altro caposaldo della esegesi a Sezioni Unite costituito da Sez. U. Domingo, n. 49935 del 2023, che ha interpretato evolutivamente i precetti antecedentemente enunciati, valorizzando, tra gli altri, quelli della sentenza delle Sez. U. Perroni, n. 539 del 2020.
Il portato essenziale dell’art. 129 c.p.p. è stato cioè individuato, dalla sentenza Sez. U, De COGNOME, in primo luogo, nella inibizione al giudice, susseguente alla rilevazione della causa di non punibilità, dei poteri istruttori relativi al thema decidendum, con l’effetto che l’ambito della sua cognizione deve rimanere cristallizzato allo stato degli atti.
E ciò, in nome della semplificazione del processo e del favor rei. Ma non anche nella inibizione dell’attività processuale – diversa da quella istruttoria – che deriva dal diritto delle parti ‘all’ascolto nel contraddittorio’, avendo esse la potest di dare sfogo alle pretese proprie della fase processuale in essere.
E tra queste, viene espressamente richiamata, nella motivazione della sentenza COGNOME – accanto a taluni poteri e diritti dell’imputato e della persona offesa – l’esclusiva potestà del pubblico ministero di modificare l’imputazione. Si
trattava di una ricostruzione sistematica dei due istituti in gioco, tale per cui collocando la rilevazione della causa di proscioglimento all’esito della singola fase processuale e, dunque, riconoscendole efficacia giuridica per effetto non del suo semplice maturare (criterio cronologico) ma della sua dichiarazione giurisdizionale col provvedimento conclusivo della fase, si vitalizzava a tutti gli effetti il segmento processuale del contraddittorio e si rendeva plasticamente evidente, ad esempio, che alla ammissibilità della contestazione suppletiva era inscindibilmente connessa la sua efficacia giuridica. Sicché, la contestazione suppletiva di una aggravante capace di incidere sulla procedibilità non poteva che produrre esattamente tale effetto.
Il cardine, a parere di questo Collegio, che Sez. U, De COGNOME evidenzia è la centralità del «diritto all’ascolto», che esclude il potere/dovere del giudice di una ‘immediata’ pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. assunta in solitudine, al di fuori del contraddittorio delle parti, che solo garantisce p l’imputato, ad esempio, in presenza di cause estintive rinunciabili, di essere posto in grado di manifestare la volontà di vedere valutata nel merito la propria posizione, di chiedere il giudizio abbreviato o il giudizio immediato, nonché per tutte le parti di presentare memorie e produrre documenti, di richiedere un incidente probatorio in udienza preliminare, come anche, in questo caso, solo per il pubblico ministero di esercitare l’esclusiva potestà di modificare l’imputazione. In questo senso le Sez. U, COGNOME non precludono al pubblico ministero di modificare l’imputazione, pur in presenza di una causa di non punibilità preesistente.
4.2 Osserva, inoltre, Sez. 5, COGNOME, che Sez. U, Domingo, ha accolto la suddetta sistematica ma la ha anche “rivista” in un punto essenziale, secondo una prospettiva, come detto, che appare evolutiva in una ottica di ricomposizione costituzionalmente conforme di talune dinamiche interne all’art. 129 cod. proc. pen.
Nel richiamare adesivamente anche la sentenza COGNOME, il successivo approdo giurisdizionale, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione del reato, ha mutato il rapporto di prevalenza fra la contestazione suppletiva e la causa di estinzione precedentemente perfezionatasi ed ha rilevato che questa, per quanto dotata di forza giuridica per effetto della sentenza conclusiva della fase o del grado, tuttavia la acquisisce “ora per allora” con riferimento al momento non della sua dichiarazione formale ma a quello della sua maturazione.
Ne consegue che l’attività processuale eventualmente svolta dopo tale momento non produce effetti, rimanendo neutralizzata dall’espandersi degli effetti della causa estintiva. Il correlato segmento processuale viene presentato come
sterilizzato. La ratio di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile all’apprezzamento dei valori costituzionali sottesi alla prevalenza massima accordata al funzionamento della causa di non punibilità della prescrizione del reato e alla accentuazione del suo dover essere dichiarata con “immediatezza” (così la rubrica dell’art. 129 c.p.p.): essenzialmente, sembra al Collegio, quelli condensati nel principio della ragionevole durata del processo. Non sembra, viceversa, venire in esame la tutela derivante dalla presunzione di non colpevolezza che non consiste comunque in un presunto diritto dell’imputato al proscioglimento anticipato, ma (come specificato anche dalla giurisprudenza CEDU, Allen c. il Regno Unito (n. 25424/09, 12 luglio 2013), è una garanzia processuale nell’ambito del procedimento penale che si ripercuote su ambiti diversi quale quello della distribuzione dell’onere della prova, dell’utilizzabilità d presunzioni legali, del principio di non autoincriminazione, della pubblicità e di eventuali dichiarazioni premature circa la colpevolezza di un imputato (§ 93).
4.3 Non vi è dubbio che a fronte di una dimensione dinamica intraprocessuale, quella in esame risulta invece dinamica per fattori extraprocessuali, proprio per l’intervento esterno del legislatore, che ha reso procedibile a querela un delitto che in origine, all’atto dell’esercizio dell’azione penale – come è nel caso in esame alla data del 9 dicembre 2021- era procedibile d’ufficio.
In sostanza il pubblico ministero ha correttamente esercitato l’azione penale ai sensi dell’art. 50, comma 2, cod. proc. pen., anche non contestando l’aggravante dell’art. 625, primo comma, n. 7 cod. pen.
Va chiarito pure che l’omissione e l’inerzia da parte del pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, secondo Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, Barbagallo, Rv. 212757-01, non ricadono sulla validità e l’efficacia dell’azione penale, risultando «fisiologiche» le ipotesi di contestazioni non complete, e rispetto a tale fisiologia deve consentirsi ogni ‘aggiustamento’ dell’imputazione fin dalla apertura del dibattimento sulla base del solo materiale di indagine e poi fino alla discussione. In sostanza l’inerzia – in questo caso parziale – del pubblico ministero non ne inibisce il potere-dovere di integrare la contestazione, tanto più che la Corte costituzionale ha sempre più previsto meccanismi di recupero – a tutela del diritto di difesa – dei riti alternativi in conseguenza dei poteri di integrazione dell’imputazione.
4.4 La peculiarità del caso in esame – connotata dalla sopravvenuta improcedibilità per mano del legislatore, salva l’ipotesi per il caso in esame dell’art. 625, primo comma, n. 7 cod. pen. limitatamente alla destinazione a pubblico servizio – vedrebbe dunque il pubblico ministero impossibilitato, nella prospettiva assunta dalla sentenza impugnata, ad integrare la contestazione, cosicchè, come osserva Sez. 5, COGNOME, «negare gli effetti di tale legittimo atto propulsivo del
PM, in ragione dell’operatività della causa di improcedibilità “ora per allora”, anche in casi, come quello in esame, nei quali – in ragione della assenza assoluta di attività processuale da un momento antecedente alla entrata in vigore della riforma Cartabia (30 dicembre 2022) ad un momento successivo a quello di maturazione effettiva della nuova causa di improcedibilità ( 30 marzo 2023), per rinvii disposti dal giudice o perché non vi è stata alcuna udienza utile – il PM non aveva possibilità alcuna di assumere l’iniziativa necessaria per adeguare il processo alle nuove regole, viene giudicato, da questa Corte, irragionevolmente discriminatorio e in conflitto col dovere del PM di esercizio e proseguimento della azione penale. Con messa in pericolo dei valori tutelati dagli artt. 3 e 112 Cost.
Per converso, il riconoscimento degli effetti del corretto esercizio del potere di contestazione suppletiva nel caso concreto non sembra porsi in contrasto col principio della “parità delle armi” (art. 111 Cost.) ove si consideri che, come già riconosciuto dalla giurisprudenza (Sez. 4, n. 48347 del 04/10/2023 Ud. (dep. 05/12/2023) Rv. 285682- 01) “ai fini della pronuncia di proscioglimento, anche per ragioni di rito introdotte da modifiche normative intervenute nel corso del giudizio, una volta formulata da parte del pubblico ministero la contestazione suppletiva di un’aggravante che rende il reato procedibile di ufficio, il giudice non può esimersi dal valutare le acquisizioni istruttorie onde adottare la decisione più favorevole per l’imputato”».
D’altro canto, l’assenza di limitazioni e decadenze in relazione al potere di contestazione del pubblico ministero, e anzi la doverosità della precisazione dell’imputazione è valore già declinato, oltre che da Sez. U, Barbagallo anche da Sez. U, Battistella, n. 5307 del 2007, in relazione alla udienza preliminare, con una dinamica recepita ora anche dalla riforma Cartabia, con riferimento esplicito proprio alla mancata contestazione di aggravante, prevedendo una apposita fase (predibattimentale: art. 554-bis c.p.p.) finalizzata proprio ad apportare le necessarie modifiche, anche su sollecitazione del giudice.
Come rileva Sez. 5, COGNOME, l’inefficacia della contestazione suppletiva “ora per allora” delineata da Sez. U Donningo per la maturata prescrizione del reato, scaturisce da una dinamica propria del processo, e non può essere estesa al caso in cui l’improcedibilità sopravvenga, quando al pubblico ministero, che subisce una cronologia indipendente dal suo operato, sia inibito l’esercizio fruttuoso del potere di integrazione dell’imputazione, frustrando il principio costituzionale della obbligatorietà della azione penale.
Del resto, è sempre la Corte costituzionale a ricordare la naturale fisiologia, nell’impianto del nuovo codice accusatorio, delle modifiche della contestazione (v. sentenza n. 82 del 2019, Corte cost., §2.1.), come anche a sottolineare (v. sent. n.317 del 2009), sia pur in un’ottica di tutela delle garanzie difensive e per le
esigenze ineludibili del “giusto” processo, che la nozione di “ragionevole” durata del processo è sempre il frutto di un bilanciamento delicato di confliggenti interessi pubblici e privati, tra i primi elencando “l’obiettivo di raggiungere il suo scop naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità”.
Non sembra invece che abbia rilevanza rispetto al caso in esame la sentenza della Corte Cost. n. 230 del 2022, che ha ritenuto legittimo l’art. 521, comma 2, nella parte in cui non consente la restituzione degli atti al pubblico ministero da parte del giudice, per diversità del fatto conseguente a omessa contestazione della aggravante.
Nel caso all’esame della Corte delle leggi era in gioco la valutazione di una aggravante non contestata: il giudice non poteva né doveva valutarla, pena la nullità della sentenza, né la omessa contestazione della aggravante determinava una diversità del fatto tale da giustificare razionalmente la trasmissione degli atti al pubblico ministero, risultando invece accidentalia la cui mancata contestazione è sostanzialmente un ‘costo sostenibile’ da parte dell’ordinamento.
Cioè si è riconosciuto che, nella situazione descritta, un adeguato bilanciamento fra i valori costituzionali in gioco – quello della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), da un lato, e quello della doverosità della azione penale dall’altra (art. 112 Cost.) – ben possa avere determinato il legislatore, con l’art. 521 cod. proc. pen., a far prevalere il primo, effettuando una scelta che non appare comunque irragionevole.
Nel caso in esame, invece, l’aggravante successivamente contestata e l’efficacia di tale contestazione non incidono su un elemento accidentale della contestazione e, quindi, della responsabilità penale (aggravamento della pena e connotazione del fatto), bensì sulla procedibilità o meno dell’azione penale già correttamente esercitata, quindi sull’ an del processo e sulla definizione dello stesso per paralisi della pretesa punitiva statuale in ragione di un fattore sopravvenuto. Fattore, quest’ultimo, non collegato alla volontà della persona offesa, che non rimette la querela ex art. 152 cod. pen., determinando l’estinzione del reato, effetto analogo alla prescrizione, bensì omette di presentare la querela nei novanta giorni dal 30 dicembre 2022, per giunta in assenza della informazione della necessità di sporgerla in tale termine. Ciò, a differenza della previsione che accompagnava la precedente rinuncia del legislatore alla procedibilità di ufficio, come avvenuto ad esempio per l’art. 612 cod. pen., che imponeva al giudice di dare avviso alla persona offesa della innovativa facoltà (art. 12, comma 2, d.lgs n. 36 del 2018 a differenza dell’art. 85 d.lgs n. 150 del 2022 che richiede l’avviso alla persona offesa solo in caso di sussistenza delle misure cautelari).
Nel caso che interessa, quindi, l’azione penale è stata geneticamente esercitata officiosamente in modo corretto, l’azione penale non era invalidata dalla omessa contestazione dell’aggravante, la condizione di procedibilità sopravviene per opzione legislativa: il pubblico ministero, con la contestazione dell’aggravante ex art. 625, primo comma, n. 7 cod. pen. per la destinazione a pubblico servizio della res oggetto di furto, continua a esercitare l’azione penale obbligatoria, trattandosi di ‘prosecuzione’ dell’azione penale contenuta nella nozione di «esercizio dell’azione penale», che integra un preciso potere-dovere dell’organo requirente.
4.5 Da ultimo, vanno richiamate anche le valutazioni distintive di Sez. 5, COGNOME, in ordine alle diverse cause di proscioglimento indicate dall’art. 129 cod. proc. pen. e al diverso statuto delle stesse.
Si è già anticipato che il caso in esame non conduce alla declaratoria di estinzione del reato, a differenza della remissione di querela o della prescrizione del reato.
In modo condivisibile, Sez. 5, COGNOME rileva come la struttura dell’art. 129 c.p.p. consenta di distinguere fra le varie cause di proscioglimento.
In primo luogo, assevera tale conclusione il rilievo che all’interno dell’art. 129 – che pure è norma riepilogativa degli epiloghi decisori “immediati”, in favor il non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità viene regolato in termini diversi nel primo e nel secondo comma. In base al primo comma, rappresenta una conclusione processuale che opera al pari di quella sostanziale per proscioglimento nel merito o per estinzione, e, di per sé, inibisce anche qualsiasi ulteriore attività istruttoria, o “qualsiasi altra indagine in fat anche diretta all’accertamento della assenza di responsabilità, come attestano le sentenze che in presenza di tale causa di non punibilità non ritengono consentita la comparata valutazione sulla contestuale sussistenza delle cause di proscioglimento nel merito (Sez. 6, n. 5455 del 2020, Rv 280784; Sez. 2, n. 9803 del 1984, Rv 166567; Sez.2, n. 45160 del 2015, Rv 265098; Sez. n. 4746 del 1996, Rv 204841; Sez. U, n. 49783 del 2009, Rv 245163).
Invece, in base al comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen., la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non è menzionata assieme alle cause di estinzione del reato che, dal canto loro, sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito, quando evidente.
La causa di improcedibilità viene, cioè, dissociata – nel concorso con l’evidente prova di proscioglimento nel merito – dalle cause di estinzione del reato, così evidenziandosene la natura ontologicamente differente dipendente dall’essere,
soltanto le seconde, un epilogo avente natura sostanziale che compete, subendolo, con l’omologo epilogo sostanziale, in favor.
Inoltre, appare utile anche sottolineare gli speciali effetti della sentenza di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità, rispetto a quelli della sentenza che rileva l’estinzione del reato. A differenza della sentenza che dichiara la prescrizione e che è idonea a dare luogo al divieto di ne bis in idem, la sentenza che dichiara non doversi procedere per mancanza di querela può dare luogo ad un giudicato instabile e non impedisce il nuovo esercizio dell’azione penale (v. artt. 345 c.p.p.) non solo se la querela sia in seguito presentata ma anche quando sia già stata regolarmente presentata, sia pure in un altro procedimento (Cass. Sez.1, n. 2405 del 1967, Rv. 106379).
Il complesso del rapporto così ricostruito fra contestazione suppletiva e maturata causa di improcedibilità, quantomeno in relazione alle coordinate temporali sopra evidenziate e alla novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema, induce, anche questo Collegio, a concludere nel senso che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica e operativa alla contestazione suppletiva effettuata dal pubblico ministero di udienza pur quando la improcedibilità ex lege si è prodotta parzialmente, vale a dire in relazione solo all’iniziativa della part privata e non a quella della parte pubblica.
Essendo fondato il ricorso, per le ragioni fin qui esposte, deve anche evidenziarsi comunque la contestazione contenuta nell’imputazione, prima della modifica operata dal pubblico ministero, fosse già in sé adeguata a costituire una contestazione in fatto integrante l’aggravante che rende procedibile il delitto di furto.
A tal proposito, aderendo all’orientamento di Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286291 – 01, va evidenziato come la sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela sia stata pronunciata con riferimento ad una fattispecie di reato da ritenersi, invece, già procedibile di ufficio.
Nel caso concreto il capo di imputazione era stato ab origine formulato con riferimento ad una serie di elementi descrittivi e qualificativi che hanno reso pienamente esercitabili i diritti di difesa anche in relazione alla circostanza aggravatrice dell’essere stato, il bene sottratto, destinato a pubblico servizio.
Va premesso che con riferimento al furto aggravato ex art. 625 n. 7 (per le ipotesi diverse da quelle dell’aggravante della destinazione a pubblica fede), assieme ad alcune altre ipotesi indicate nello stesso art. 624, infatti, è pacifico atteso l’inequivoco dato letterale dell’art. 624, comma terzo, c.p. – che sia sopravvissuta la procedibilità di ufficio, anche dopo la modifica, operata dall’ art. 2 d. Igs. n. 150 del 2022, della procedibilità relativa alla generalità dei reati
furto aggravato nel senso della sopravvenuta perseguibilità di questi soltanto su querela di parte. Regime più favorevole, applicabile anche ai reati oggetto di processi in corso, in virtù del disposto dell’art. 2, comma 4, cod. pen.
Occorre anche dare atto che il non avere, il PM ricorrente, dedotto specificamente – per quanto la violazione sia formulata in relazione alla legge penale sostanziale -come la preannunciata procedibilità di ufficio anche con riferimento alla contestazione di reato così come originariamente formulata dal suo Ufficio, non è di ostacolo alla ricostruzione in tal senso dell’assetto processuale, ad opera di questa Corte di legittimità.
Ed infatti, l’accesso agli atti e al fascicolo processuale, consentito alla Corte nel caso di deduzione di error in procedendo, permette ed anzi rende doveroso riconoscere la fondatezza del petitum del ricorso per cassazione, come specificato dal PM, che ha comunque inteso sollecitare il “punto” della ritenuta violazione, nel caso di specie, dell’art. 625 n. 7 c.p. ed il riconoscimento della procedibilità d ufficio di un reato qualificato invece, erroneamente, dal giudice a quo, come procedibile a querela di parte. In altri termini, fermo il petitum del ricorso, l’esame della causa petendi enunciata nei motivi relativi alla piena efficacia della contestazione suppletiva volta a far mutare il regime di procedibilità, presuppone comunque la soluzione della questione della individuazione dei casi in cui tale contestazione suppletiva si riveli indispensabile in relazione al fine perseguito, ovvero non necessaria perché il problema della individuazione del regime di procedibilità ha trovato già, nella dinamica processuale, una soluzione autonoma e diversa.
6. Ciò posto, occorre anche dare atto del variegato panorama giurisprudenziale che costituisce lo sfondo alla questione qui evocata, instabile al punto che con ordinanza del 7 dicembre 2023, era stato sollecitato l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. Si registra infatti, da un lato, l’orientamento p il quale la circostanza aggravante in esame (destinazione del bene a pubblico servizio) non deve essere necessariamente ed espressamente enunciata nel capo di imputazione quando questo abbia ad oggetto un bene, come l’energia elettrica o il gas, la cui caratteristica intrinseca è proprio quella appena evocata, sicchè la stessa citazione del bene comporta di per sé un unico significato e la possibilità di una univoca attivazione dei poteri difensivi (v., tra le massimate, Sez. 4 , n. 48529 del 07/11/2023, Rv. 285422; Sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023 (dep. 2024), Rv. 285844 – 01).
In senso diverso si è d’altro canto anche affermato che, sempre in tema di furto, non possa considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., costituita
dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, nel caso in cui nell’imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (v., tra le massimate, Sez. 4 – n. 46859 del 26/10/2023, Rv. 285465 – 01; Sez. 5 -, n. 26511 del 13/04/2021, Rv. 281556 – 01; Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, Rv. 285878).
La questione richiede una diretta scelta di campo, come osserva Sez. 5, COGNOME, nel rispetto del provvedimento di avvenuta restituzione del ricorso rimesso, ai sensi dell’art. 172 disp. att. c.p.p., essendo stata espressamente sollecitata alle sezioni semplici, in tale provvedimento, una rinnovata analisi della questione alla luce della sentenza delle Sez. U, ric. COGNOME, n. 24906 del 18/04/2019, il cui insegnamento è stato nel senso che è sempre consentita ed è legittima la “contestazione in fatto di una circostanza aggravante la cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esaurisca in comportamenti”… “riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive”: e l’energia o il ga potrebbero essere ritenuti già descritti, dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5 , n. 1094 del 03/11/2021 Ud. (dep. 2022), Rv. 282543 – 01; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, Rv. 285422 – 01), quale bene connotato dalla destinazione finale al pubblico servizio.
Ritiene il Collegio che la lettura della sentenza delle Sez. U, COGNOME fornisca una serie di strumenti ermeneutici utili per impostare la ricerca della soluzione del caso in esame. Il nucleo forte della motivazione della citata sentenza è, in primo luogo, quello della chiara iscrizione del tema della contestazione della circostanza aggravante nel perimetro della necessità di una informazione dettagliata, diretta all’imputato, circa la natura del fatto che vale ad aggravare le conseguenze sanzionatorie. Necessità fatta derivare non solo dalla inequivoca formulazione delle plurime norme codicistiche che descrivono la modalità con la quale deve essere effettuata la contestazione del fatto e delle sue aggravanti, ma anche e soprattutto dalla considerazione del livello di tutela preteso al riguardo dalla Convenzione edu (art. 6, par. 3, lett. a) in materia di diritti fondamentali qual è, per l’appunto, quello inerente alla difesa dell’imputato nel processo.
Se ne fa discendere, da un lato, nella sentenza COGNOME, il riconoscimento che tal genere di informazione non richiede particolari enunciazioni o precisazioni tutte le volte nelle quali la fattispecie integratrice della circostanza aggravante è, per così dire “autoevidente”. È sufficiente, cioè, citare nel capo di imputazione l’oggetto della condotta delittuosa, quando questo è di per sé evocativo del bene la cui lesione determina l’aggravamento di pena (e di tutte le conseguenze connesse, come il regime relativo alla procedibilità). Il riferimento più semplice potrebbe essere quello relativo alla aggravante dell’uso dell’arma come nel caso
dell’art. 585 cod. pen., quando nel capo di imputazione si descriva una azione lesiva compiuta con una pistola, o con un collo di bottiglia, etc. pur senza formalmente menzionare la fattispecie normativa appena evocata.
Deve anche precisarsi, al riguardo, che il carattere “autoevidente” dell’elemento aggravatore non può farsi discendere dal carattere più o meno incontroverso dell’inquadramento di esso da parte della giurisprudenza.
Se così fosse – a parte la considerazione degli sviluppi a cui è sempre aperta la interpretazione giurisprudenziale- nella sentenza COGNOME non si sarebbe pervenuti a riconoscere la necessità di contestazione “ad hoc” in relazione ad una serie di casi riportabili alla aggravante dell’art. 476, comma 2, cod. pen., come quello del verbale redatto dalla Polizia giudiziaria, o della autentica del notaio, att pacificamente inquadrati dalla giurisprudenza nel novero di quelli fidefacenti. Necessità che è stata invece ricondotta alla qualità articolata delle questioni e del percorso logico/giuridico che l’aggravante è atta ad evocare, in linea di principio, nei confronti di tutti i protagonisti della vicenda processuale, primo fra i qual l’imputato il quale, nei gradi di merito, esercita in vari momenti anche difese personali.
Il parametro per riconoscere la immediata percepibilità della portata giuridica aggravatrice insita nella evocazione di un fatto o di un atto è, dunque, la sfera delle conoscenze dell’uomo medio e cioè la possibilità per tale “agente” di percepire con un ragionamento semplice e diretto, la natura dell’atto o comportamento contestati come capaci di rendere il fatto in esame, esposto ad una valutazione più severa.
D’altro canto, però, nella sentenza COGNOME, si ricostruisce in modo articolato e non con una soluzione rigida la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica appena descritta: nel senso che, una volta riconosciuto che la circostanza aggravante è integrata da elementi che richiedono un apprezzamento giuridico/fattuale di natura complessa il cui esito è necessariamente “aperto”, per le Sezioni Unite è, si, doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l’imputato ad una difesa accorta e puntuale, al riguardo; ma è anche consentito che il connotato giuridico in questione possa ritenersi adeguatamente contestato ed evidenziato mediante “espressioni evocative” che lo riguardino puntualmente. E che, perciò, risultano anche idonee a prendere il posto della contestazione formale (quella cioè effettuata mediante la indicazione dell’articolo di legge o del comma in cui è menzionata l’aggravante). Ed è questo lo snodo rilevante della sentenza COGNOME che, se da un lato offre indicazioni preziose circa i limiti da porre alla c.d. “contestazione in fat quando l’aggravante è di natura “valutativa”, d’altra parte, per questa ipotesi, non pretende di dettare un criterio inflessibile riguardante le modalità attraverso le
quali possa perseguirsi l’intento di una contestazione chiara e precisa circa la natura effettiva del fatto aggravatore.
E, per questo, finisce per demandare la soluzione alla analisi del caso per caso: il che è anche la ragione delle diverse sensibilità alla base del contrasto giurisprudenziale venutosi a creare.
Invero, il ricorso alla perifrasi o al giro di parole con cui si significa una rea cui ci si potrebbe riferire con un unico termine – da ritenersi consentito per le aggravanti “valutative” – si distingue dalla “contestazione in fatto” – invece non consentita.
La perifrasi infatti, insiste proprio sul connotato speciale della aggravante, descrivendolo e quindi richiamandolo alla attenzione della difesa, mentre la “contestazione in fatto” è null’altro che la descrizione del comportamento contestato, attraverso la descrizione di elementi evocativi della fattispecie di base.
Una descrizione, cioè, formulata – nella prospettiva che qui interessa – in modo dispersivo e non mirato, con riferimento all’elemento aggravatore.
Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene di uniformarsi alla giurisprudenza secondo cui ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell’essere il bene, oggetto di furto, destinato a pubblico servizio; ritiene anche, però, che essa possa essere ritenuta idoneamente contestata quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano una univoca esemplificazione.
La destinazione del bene-energia o del gas, oggetto di furto, a pubblico servizio, non pare un connotato intrinseco e autoevidente del bene medesimo, posto che, per essere affermato o negato, richiede una complessa valutazione da parte dell’interprete, anche riguardante norme extrapenali.
Ciò che determina la punizione più grave è, infatti, la dimensione pubblica e collettiva dell’interesse eventualmente attinto nel caso concreto, tale da non avere reso ragionevole, per il legislatore del 2022, l’estensione anche ad esso del novellato regime di procedibilità a querela del derubato. L’aggravante in questione mira invero a punire più severamente l’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente ad un bene che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero per la qualità ad essa inerente, serve ad un uso di pubblico vantaggio. Ne discende, ad esempio, che il furto di energia auto-prodotta da un privato e destinata da questi al proprio uso personale, non dovrebbe ricadere nell’ambito di operatività della aggravante. Altra indagine demandata ai soggetti del processo per la verifica della sussistenza della aggravante in parola, oltre alla specifica destinazione, è poi quella relativa alla nozione più AVV_NOTAIO di “destinazione a pubblico servizio” che non è data dalla constatazione della fruizione pubblica del bene, bensì dalla qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse
umane e materiali, e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati (Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano, Rv. 257773). Tale indagine attinge anche il tema, a lungo dibattuto soprattutto nel passato sia da parte della giurisprudenza che della dottrina, della natura della aggravante come “di danno” o “di pericolo” essendo richiesto da taluni, per la sua sussistenza, che il fatto del colpevole abbia pregiudicato o almeno esposto a pericolo di pregiudizio il servizio pubblico. Il che non si realizzerebbe nel caso della energia elettrica che, malgrado la sottrazione, raggiunge sempre, sia pure per via traversa, la propria normale destinazione, che è quella di essere consumata senza particolari limitazioni quantitative (v. per la soluzione affermativa a tale problematica: Sez. 2, n. 1176 del 20/06/1967, COGNOME, Rv. 105901 – 01; Sez. 2, n. 602 del 21/03/1967, COGNOME, Rv. 104749 – 01; Sez. 2, n. 49 del 17/01/1967, COGNOME, Rv. 104369 – 01; Sez. 2, n. 1663 del 25/11/1966 dep. 1967, COGNOME, Rv. 104717 – 01; Sez. 2, n. 521 del 25/03/1966, COGNOME, Rv. 102364; Sez. 2, n. 1393 del 15/10/1965, dep. 1966, COGNOME, Rv. 100071; da ultimo, v. Sez. 4, n. 48043, del 03/10/2023, Cascone, mm.; per la soluzione contraria, Sez. 4, n. 21456 del 17/04/2002, Tirone, Rv. 221617 – 01; conf. Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266229 – 01; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 – 01).
Va infine considerato che la qualificazione della energia elettrica o del gas come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della distribuzione, è stata il frutto di una serie di interventi normativi primari secondari volti a disciplinare positivamente tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico, in modo da comprendere solo le attività che soddisfano direttamente i bisogni collettivi e non quelle che perseguono tale scopo solo in via strumentale. Si pensi alla I. n. 146 del 1990, che qualifica l’approvvigionamento di energie e dei prodotti energetici, come s rvizi pubblici essenziali, alla direttiva attuativa della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, alla legge istitutiva della Autorità amministrativa per l’energia e il gas ex I. 14 novembre 1995 n. 481.
Anche tale produzione normativa è stata il frutto di un prolungato dibattito interpretativo essendosi passati, nel tempo, dalla preferenza per un inquadramento “soggettivo” dell’attributo “pubblico” riferito al servizio, ad una lettura invece in senso “oggettivo” che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.
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Pure l’art. 625 n. 7-bis cod. pen. che conforma l’effetto aggravatore ivi previsto al fatto che il bene sottratto afferisca ad un servizio pubblico – tale qualificando espressamente quello di erogazione della energia elettrica o gas attribuisce, dal canto suo, rilevanza decisiva alla condizione che debba trattarsi di servizio gestito da soggetto pubblico o privato in regime di concessione pubblica.
Tutte le riflessioni fin qui illustrate danno ragione della conclusione di ritenere l’aggravante in questione come connotata da componenti di natura valutativa.
Tuttavia, consentono anche di concludere per la idoneità, accanto alla contestazione formale della aggravante, di un tipo di contestazione non formale, seppur doverosamente indicativa della finalità in gioco: e cioè quella di rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio dell stessa. E tale scopo appare raggiunto quando nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto – di energia piuttosto che di gas – posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore, rete, per l’appunto, capace di dare luogo ad un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica” (contestazione, peraltro, diversa da quella in esame nella recente sentenza n. 3741 del 2024 che, per tale motivo, non appare esporre una conclusione in contrasto con quella qui raggiunta).
Discende da quanto sopra esposto che il giudice a quo, nel presente processo, in cui il capo di imputazione presentava la indicazione appena ricordata, ha fatto un uso errato della regola di giudizio posta dal combinato disposto dell’art. 625 n. 7 in relazione all’art. 624, comma 3, cod. pen.: infatti, pur in presenza di contestata aggravante atta a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece ritenuto rilevante la inconferente circostanza della mancanza di querela della PO.
9. Ne consegue che anche sotto tale profilo il ricorso è fondato
10. Va disposto l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., al Tribunale di Catania, vertendosi in tema di ricorso immediato per Cassazione, fondato per la nullità processuale determinata dalla attribuzione di inefficacia alla contestazione suppletiva operata dal pubblico ministero, che avrebbe determinato anche da parte della Corte di appello l’annullamento della sentenza di primo grado.
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P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catania, in diversa persona fisica.