Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 11378 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11378 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Capua il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 02/12/2022 della Corte di appello di Firenze; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica presentata, In data 17/02/2024, dal difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, con cui si insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 02/12/2022, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza con cui, il precedente 17/09/2021, il Tribunale di Firenze aveva affermato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al delitto di lesioni personali stradali gravi e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha articolato tre motivi di
ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità e, in specie, del disposto di cui all’art. 517 cod. proc. pen. per essere stata riconosciuta la sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 590-bis, comma 5, n. 2, cod. pen. in assenza della sua formale contestazione.
Sostiene in particolare che con la decisione della Corte territoriale sarebbe stata affermata la configurabilità di tale circostanza in maniera del tutto illegittima, non avendo il pubblico ministero giammai proceduto alla modifica dell’originaria imputazione, la qual cosa renderebbe la pronuncia viziata di nullità in parte qua.
2.2. Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., di vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di denegata concessione dell’attenuante di cui all’art. 590-bis, comma 7, cod. pen.
Assume al riguardo che nella decisione oggetto d’impugnativa la mancata concessione della diminuente sarebbe stata irragionevolmente argomentata, posto che non si sarebbe tenuto conto dell’elevata velocità a cui procedeva il ciclomotore condotto dalla parte lesa NOME Crisitinel, circostanza, in tesi, indicativa della corresponsabilità della predetta nella causazione del sinistro.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, infine, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
Sostiene in proposito che con la decisione della Corte territoriale sarebbe stata illegittimamente negata la concessione delle attenuanti generiche, giustificata, in tesi, dall’avvenuto risarcimento del danno inferto alla parte lesa, sicché il potere dosimetrico risultava malamente esercitato.
Il medesimo difensore ha depositato poi, in data 17/02/2024, una memoria di replica alle conclusioni scritte rassegnate dal pubblico ministero, insistendo per l’accoglimento del ricorso presentato.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 7 del d.l. n. 1 del 2021, convertito dalla legge n. 126 del 2021 e, ancora, dall’art. 16 del d.l. n. 228 del 2021, convertito dalla legge n. 15 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Destituito di fondamento è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità e, in specie, del disposto dell’art. 517 cod. proc. pen. per essere stata riconosciuta, con la decisione impugnata, la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 590-bis, comma 5, n. 2, cod. pen. in assenza di formale contestazione, atteso che il pubblico ministero non avrebbe proceduto, in corso di causa, alla modifica dell’originaria imputazione.
Rileva al riguardo il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non è dato riscontrare nella decisione assunta dalla Corte territoriale la violazione dell’evocata disposizione processuale, posto che il giudice di seconde cure ebbe ad esaminare la questione – dedotta nello specifico con il secondo motivo di appello – confutandola col rilievo che la circostanza in oggetto risultava, all’evidenza, contestata in fatto, mercé l’utilizzo, nell’imputazione dell’espressione, riferita al conducente del veicolo investitore, “… impegnava quindi l’intersezione sopra indicata, non rispettando il semaforo rosso posto in INDIRIZZO“.
Tale argomentazione, con la quale non si confronta il ricorrente, che con il motivo in disamina si limita a riproporre pedissequamente la doglianza già agitata in grado di appello, risulta in linea con la consolidata elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte, secondo cui «Ai fini della contestazione di una aggravante non è necessaria la specifica indicazione della norma che la prevede, essendo sufficiente la precisa enunciazione “in fatto” della stessa, così che l’imputato possa avere cognizione degli elementi che la integrano» (così: Sez. 5, n. 23609 del 04/04/2018, COGNOME, Rv. 273473-01, nonché, in precedenza, Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, P.G. in proc. Chatbi, Rv. 2557931, Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, P.G. in proc. Diaji, Rv. 253776-01 e Sez. 2, n. 47863 del 28/10/2003, COGNOME, Rv. 227076-01).
Palesemente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di denegata concessione dell’attenuante di cui all’art. 590-bis, comma 7, cod. pen., sostenendo che nella decisione della Corte territoriale il diniego di detta diminuente sarebbe stato irragionevolmente argomentato, posto che non si sarebbe tenuto conto dell’elevata velocità a cui procedeva il ciclomotore condotto
dalla parte lesa NOME, circostanza che si vorrebbe indicativa della corresponsabilità della predetta nella causazione del sinistro.
Osserva in proposito il Collegio che la Corte territoriale ha argomentato, in maniera adeguata, lineare e tutt’altro che illogica, la mancata concessione dell’attenuante in questione, evidenziando, in specie, che, in assenza di elementi di fatto in tal senso, l’anzidetta diminuente non può ragionevolmente collegarsi a una supposta corresponsabilità della vittima nella causazione del sinistro, non essendo consentito inferirne la sussistenza dalla sola entità dei danni subiti nell’impatto da quest’ultima e dai veicoli coinvolti.
Tale circostanza induce logicamente a concludere che, a ben vedere, il ricorrente, con l’agitata doglianza, formula la sollecitazione ad un’inammissibile rivalutazione delle prove, di cui caldeggia, in maniera del tutto generica, una lettura alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale.
È tuttavia ben noto che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, essendogli preclusa in radice la rivalutazione del fatto.
Del tutto infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 62-bis e 133 cod. pen., assumendo che con la decisione della Corte territoriale sarebbe stata indebitamente negata la concessione delle attenuanti generiche, in tesi giustificata dall’avvenuto risarcimento del danno, con conseguente erroneo esercizio del potere dosimetrico.
Ritiene infatti il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, nell’impianto argomentativo a corredo della decisione impugnata risultino esplicitate le ragioni della denegata concessione della diminuente de qua, indicate, in specie, nella gravità del grado di colpa del soggetto agente, nella rilevante entità del danno alla persona dallo stesso causato e nel non lieve pregiudizio penale esistente a suo carico, la qual cosa induce a concludere che il potere dosimetrico sia stato correttamente esercitato nel caso di specie e, comunque, in conformità al consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui «AI fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (in tal senso: Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02, nonché, in precedenza, Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826-01, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014,
NOME, Rv. 259899-01, Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone e altri, Rv. 249163-01 e Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv. 247959-01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M,
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/02/2024