Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44998 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto
da:
NOME nato il 05/08/1993
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 30 gennaio 2024, confermava la sentenza del Tribunale di Torino del 18 gennaio 2018 in relazione a NOME COGNOME ritenuto responsabile del delitto di lesioni personale commesso in concorso con NOME COGNOME e altre tre persone non identificate, in danno della persona offesa.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge processuale, lamentando la nullità della notifica dell’avviso di conclusioni indagini e del decreto di citazione a giudizio, con conseguente nullità della dichiarazione di assenza.
Tale doglianza conseguiva alla circostanza che l’imputato aveva eletto domicilio e che veniva assistito da difensore di ufficio, non risultando al corrente del processo per non aver ricevuto la notifica dei menzionati atti.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge processuale in quanto, assente la querela, la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere sussistente l’aggravante delle persone riunite non contestata, per altro neanche comprovata.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni scritte con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con riferimento al primo motivo di censura il Collegio osserva preliminarmente che quando è dedotto, mediante ricorso per Cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la Corte di Cassazione è “giudice anche del fatto” e per risolvere la relativa questione può – e talora deve necessariamente – accedere all’esame dei relativi atti processuali, esame che è, invece, precluso soltanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (Sez. U. 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092).
Tanto premesso, dagli atti emerge che in data 21 febbraio 2015 l’attuale ricorrente dichiarava domicilio in Torino alla INDIRIZZO avvisato della necessità di comunicare mutamenti di domicilio e che in caso di inidoneità del
domicilio le notifiche sarebbero avvenute a mani del difensore di ufficio, contestualmente nominato in persona dell’avvocato NOME COGNOME della quale risultava – dal verbale di identificazione – l’indirizzo dello studio legale e il recapito telefonico.
Le notifiche sia dell’avviso di conclusione delle indagini sia del decreto di citazione giudizio avvenivano ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. peri. presso il difensore di ufficio, in quanto l’imputato, per quanto accertato dall’ufficiale giudiziario, non risultava reperibile presso il domicilio eletto.
Solo per l’avviso di citazione in appello – a seguito della nomina del difensore di fiducia- la nuova elezione di domicilio risultava idonea, perché effettuata presso lo studio di quest’ultimo.
E bene, va premesso che Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, COGNOME, Rv. 271772 – 01 hanno chiarito come l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto – che ne legittima l’esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. – è integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, indagine invece doverosa invece qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art. 157 cod. proc. pen.
Per altro, nel caso in esame non può trovare applicazione Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 17/08/2020, NOME COGNOME Rv. 279420 – 01, che si riferisce al diverso caso in cui l’imputato abbia eletto domicilio direttamente presso il difensore di ufficio.
Nel caso in esame, invece, l’elezione di domicilio avveniva presso la propria residenza (come emerge dai verbale di identificazione) e solo l’irreperibilità dell’imputato conduceva alla notifica presso il difensore di ufficio ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.
Va evidenziato come si richieda, comunque, che sia incolpevole la mancata conoscenza del procedimento, al fine di escludere la corretta dichiarazione di assenza: ma nel caso in esame l’imputato aveva eletto domicilio senza però comunicare le successive modifiche dello stesso, pur avendo contezza della pendenza del procedimento e pur essendo avvisato, come emerge dal verbale di identificazione, della necessità di comunicare le modifiche del domicilio.
Per altro, come comunque osservato dalla Corte di appello, la nomina del difensore di fiducia dopo la sentenza di primo grado comprovava la conoscenza del processo da parte dell’imputato.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
Quanto al secondo motivo, corretta è la sentenza impugnata.
A ben vedere le Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 – 01 hanno chiarito in motivazione (parr. 5 e 6) che « lo stesso indirizzo giurisprudenziale, ammissivo della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti, consente tale forma di contestazione descrivendola, e quindi delimitandone la legittimità, nei termini in cui l’imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie circostanziale, permettendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell’aggravante può dirsi dunque indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perché la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida’ pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, come queste Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare con riguardo alla correlazione fra l’accusa e la decisione, sulla concreta possibilità per l’imputato di difendersi sull’oggetto dell’addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051). Da questa condizione discende che l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi dell stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazione di tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato. Nella prospettiva appena delineata, è evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E dunque, le Sezioni Unite chiariscono la differenza fra aggravanti valutative e non, risultando queste ultime quelle immediatamente desumiblili dalla contestazione in fatto, in quanto emergenti nella propria materialità, poiché, come osservano Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216430 – 01, ai fini della contestazione dell’accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (il caso concerneva la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del numero delle persone concorse nel reato, pur in assenza dell’indicazione, nel capo d’imputazione, dell’art. 112, comma primo, n. 1, cod. pen.).
A ben vedere l’aggravante delle persone riunite, prevista dall’art. 585 cod. pen. e determinante la procedibilità d’ufficio per il delitto di lesioni personali, risult essere una aggravante non valutativa, per la quale è sufficiente che emerga nella descrizione del fatto, contenuta nell’imputazione, la circostanza che la condotta sia stata commessa da più persone.
Nel caso che interessa la contestazione riguardava l’attuale ricorrente e il coimputato COGNOME oltre ad un gruppo di persone mai identificate (così la sentenza riportando la deposizione di una teste) cosicché, correttamente, la Corte di appello ha ritenuto sussistente la contestazione dell’aggravante, in sintonia con Sez. 5, n. 22120 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283218 – 01 che ha affermato che in tema di lesioni personali volontarie deve ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza l’aggravante delle più persone riunite, nel caso in cui il capo d’imputazione, pur non menzionando l’art. 585, primo comma, cod. pen., rappresenti la simultanea presenza di almeno due soggetti nel luogo e al momento di realizzazione della condotta violenta.
Ne consegue la manifesta infondatezza della doglianza.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/10/2024