Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 484 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 484 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vittoria il 08/08/1980
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vittoria il 16/07/1974
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 21/10/2022 della Corte di appello di Catania, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata avanzata formale richiesta dalle parti di 1:rattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalia legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5 -duodecies del d.l. :31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, nel riportarsi alla memoria in data 25/10/2023, ha concluso chiedendo di dichiararsi inammissibili i ricorsi;
udita la discussione della difesa del ricorrente COGNOME Giovanni, avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’acc:oglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 21/10/2022, la Corte di appello di Catania confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Ragusa in data 11/07/2017 che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOMEoltre ad NOME COGNOME) alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione ed euro 500 di multa ciascuno per il reato di tentata estorsione in concorso, previo riconoscimento agli stessi delle circostanze attenuanti generic:he con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante di cui all’art. 628, terzo corrima, n. 1 cod. pen. (più persone riunite) e condanna altresì al risarcimento del danno a favore della parte civile NOME COGNOME, liquidato in euro 2.500,00.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Primo motivo: mancanza assoluta di motivazione. La Corte territoriale ha omesso di considerare come il ricorrente avesse chiesto alla persona offesa di andare via dall’abitazione di proprietà dello Zingarello in cui viveva in quanto moroso ed abusivo, comportamento che di fatto sottraeva al legittimo proprietario l’immobile e comportava l’impossibilità di esercitare il diritto di propriet giuridicamente tutelato. La Corte, inoltre, aveva travisato il fatto in ordine all ragioni che avevano indotto l’imputato a manifestare un comportamento minaccioso.
Secondo motivo: violazione di legge con riferimento all’art. 521 cod. proc. pen. in relazione al riconoscimento dell’ipotesi aggravata ci cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen. per la ritenuta sussistenza (non menzionata nel capo d’imputazione) dell’aggravante di cui all’art. 6,28, terzo comma, n. 1 cod. pen. Si evidenzia come al giudice sia precluso affermare la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata dall’accusa e l’inosservanza di tale preclusione determina la nullità della sentenza. Le incerl:ezze che derivano dal ricorso alla
“contestazione in fatto” hanno notevoli ricadute non soltanto sul contraddittorio in ordine alla sussistenza dell’aggravante, ma a monte rischiano di alterare le valutazioni che l’imputato compie nel momento in cui è chiamato ad effettuare delle scelte, quale quella del rito, con le consequenziali ricadute sull’entità della pena astrattamente irrogabile. Inoltre, va considerato come la sentenza di primo grado, con la quale è stata riconosciuta, senza un’espressa indicazione nel capo d’imputazione, l’aggravante delle più persone riunite è intervenuta dopo oltre otto anni dalla commissione del fatto contestato come estorsione semplice in relazione al quale era già maturato il termine di prescrizione.
4. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 521 cod. proc. pen. in relazione al riconoscimento dell’ipotesi aggravata di cui all’art. 629, secondo connma, cod. pen. per la ritenuta sussistenza (non menzionata nel capo d’imputazione) dell’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1 cod. pen. Il motivo ricalca sostanzialmente la seconda censura proposta nel ricorso del coimputato NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
2.1. Aspecifico e manifestamente infondato è il primo motivo.
Dopo aver premesso che si è in presenza di c.d. “doppia conforme”, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argenl:ieri, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), si evidenzia come la censura proposta tenda a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatt all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.
Secondo la contestazione, NOME COGNOME quale mandante, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali esecutori materiali, mediante violenza e minaccia consistite nell’afferrare, il COGNOME alla presenza del COGNOME per il giubbotto lame! COGNOME, costringendolo ad uscire dalla sua autovettura, nel pronunciare la frase “gran figlio di puttana, veniamo per conto di COGNOME. Se gli
A
fai causa ti ammazziamo. Hai tempo fino a giovedì per sparire da qui e non farti vedere da nessuna parte altrimenti ti bruciamo la macchina e ti sfasciamo a legnate. Se ci denunci qualcuna ti troverà per noi” nonché nel pronunciare poco dopo lo COGNOME la frase “non chiedo mai scusa a nessuno. Non è uno scherzo. Oggi pomeriggio parto ma ti controllo lo stesso”, costringevano lame( COGNOME a non presenziare innanzi alla Commissione Provinciale del Lavoro di Ragusa e a non promuovere la controversia civile presso il giudice del lavoro, rinunciando in tal modo al versamento dei contributi ed alle spettanze retributive spettantegli per l’attività lavorativa prestata alle dipendenze di COGNOME, con conseguente ingiusto vantaggio patrimoniale per quest’ull:imo che sino ad allora non aveva versato i contributi e con rilevante danno patrimoniale per il Laoussif. In particolare, evidenziano i giudici di appello come “dagli atti del procedimento non emerge alcuna divergenza sostanziale e rilevante tra i fatti cosi come contestati e quelli riferiti dalla persona offesa; la persona offesa ha descritto analiticamente gli episodi in contestazione, puntualizzando e specificando per certe circostanze quanto accaduto e, a fronte di alcune specifiche domande postele, ha chiarito quali condotte sono state poste in essere e con quali modalità è stata esercitata nei suoi confronti la violenza. Ciò consente di affermare la piena attendibilità della persona offesa, la quale con lucidità ha ripercorso l’episodio in contestazione in particolare tali dichiarazioni sono risultate altresì univoche, e quindi, spontanee e costanti (al riguardo la circostanza che ella non abbia ricordato qualche particolare non appare idonea ad inficiare la credibilità della stessa). Nella specie la persona offesa ha quindi dimostrato capacità di ricordare i fatti e di esprimerli in una visione complessa, da considerare anche in relazione alle condizioni emozionali, ha rielaborato la vicenda ed è apparsa sincera, anche allorquando ha voluto puntualizzare le modalità con cui si è svolto l’episodio. Inoltre il controllo sul credibilità della stessa è stato effettuato in modo penetrante e rigoroso e le dichiarazioni dalla stessa rese appaiono già sufficienti ai fini dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati . La persona offesa è apparsa … misurata ed attenta nel riferire, sicchè alla luce degli elementi emergenti dalle risultanze processuali deve ritenersi dimostrata la sua credibilità …”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte di tale completa e lineare motivazione, le censure proposte con il primo motivo propongono una ricostruzione della vicenda che non trova riscontro nelle emergenze processuali ed omettono di confrontarsi con le argomentazioni spese dai giudici di merito.
2.2. Non scrutinabile per tardività di proposizione è il secondo motivo.
In sede di gravame d’appello, la difesa ha dedotto censure in ordine alla mancata valutazione della credibilità della persona offesa (primo motivo), alla qualificazione giuridica del fatto, a suo dire da derubricare in esercizio arbitrario
delle proprie ragioni, in violenza privata o in tentata violenza privata (secondo motivo) e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, con conseguente contenimento della pena nel minimo edittale (terzo motivo). Non risulta dedotto alcun motivo per pretesa violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. con riferimento al riconoscimento dell’ipotesi aggravata di cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen. in conseguenza della ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1 cod. pen.
Invero, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che no sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ric:orso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (cfr., Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631).
Come è noto, il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., e art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.), sono necessariamente funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.
La disposizione in esame deve, pertanto, essere letta in correlazione con quella dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti, è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relal:iva sentenza cori riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 3879 del 04/07/2023, Nania, non mass.).
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1. Manifestamente infondato è l’unico motivo dedotto.
La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante delle più persone riunite, nonostante nel capo di imputazione non sia stato espressamente indicato l’articolo di legge che la contempla, osservando che nella descrizione del fatto viene espressamente dato atto che l’aggressione nei confronti della persona offesa è avvenuta alla presenza contestuale dei due imputati COGNOME e COGNOME
Come evidenziato dalla Procura generale, la motivazione si è, dunque, conformata ai consolidati principi per cui non viola il principio di correlazione tra accusa e decisione quando l’imputazione contenga la precisa enunciazione “in fatto” di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie ascritta all’imput aggravanti comprese, così che lo stesso possa avere cognizione degli elementi che la integrano e dunque sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante (cfr., Sez. 5, n. 23609 del 04/04/2018, COGNOME, Rv. 273473; Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, COGNOME Rv. 242027). Questa Corte di legittimità ha precisato, infatti, che la c.d. contestazione in fatto «è ammissibile quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, idonei a riportare nell’imputazione tutti gli eleme costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa (Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279335).
Nel caso all’esame, dunque, l’aggravante della presenza di più persone riunite non è indicata mediante il riferimento normativo nell’imputazione, ma è descritta in modo che sia immediatamente percepibile la fattisoecie circostanziale in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo così possibile l’esercizio del diritto difesa dell’imputato. (Sez. 5, n. 7208 del 01/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280472).
L’interpretazione che il Collegio ritiene di adottare non confligge neppure con i canoni ermeneutici individuati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, con sentenza n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436, quanto alla possibilità di ritenere legittima la contestazione di un’aggravante in fatto. Invero, il massimo collegio nomofilattico, pronunciandosi sull’aggravante prevista dall’art. 476, comma secondo, cod. pen. in relazione al reato di falso in atto pubblico fidefacente, ha voluto sottolineare come la contestazione vada esplicitata formalmente quando l’aggravante esprime una valutazione della pubblica accusa sulla configurazione di una modalità del fatto non immediatamente percepibile: è necessaria, dunque, una contestazione formale dell’aggravante quando quest’ultima abbia un ineliminabile contenuto valutativo che deve essere reso percepibile con chiarezza dall’imputato, per non incorrere in una violazione del diritto di difesa. Ed infatti
affermano le Sezioni Unite che “è evidente carne la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nel loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali f materiali è idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato. Diversamente avviene con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano att:ribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale”.
Tali approdi ermeneutici non sono contraddetti nel caso di specie, in cui l’aggravante delle più persone riunite è stata correttamente ritenuta sussistente sulla base del dato oggettivo rappresentato dalla volontaria, consapevole e rilevante partecipazione alla condotta sia del Consalvo che del Garofalo, come da inequivoca contestazione in fatto.
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così determinata tenuto conto dei profili di colpa emergenti dai ricorsi, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 12/12/2023.