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Contestazione in fatto: furto di fauna selvatica

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Procuratore in un caso di furto di fauna selvatica. La Corte ha stabilito che, per ritenere sussistente l’aggravante della destinazione a pubblica utilità e procedere d’ufficio, non è sufficiente indicare che la fauna è ‘patrimonio indisponibile dello Stato’. La contestazione in fatto richiede una descrizione precisa della concreta destinazione del bene a un’utilità collettiva, per garantire il diritto di difesa dell’imputato. Di conseguenza, in assenza di una corretta contestazione, il reato è stato considerato furto semplice, non procedibile per mancanza di querela.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contestazione in Fatto: Il Furto di Fauna Selvatica non è Sempre Aggravato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale al confine tra diritto sostanziale e processuale: la corretta contestazione in fatto di una circostanza aggravante. Il caso riguarda il furto di fauna selvatica, bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato. La Corte ha chiarito che, per considerare il furto aggravato dalla destinazione a pubblica utilità, non basta affermare che la fauna è proprietà pubblica; è necessario che l’accusa descriva la sua concreta destinazione a un’utilità collettiva.

I Fatti del Processo

Il procedimento nasceva dall’accusa di furto mossa nei confronti di un individuo per essersi impossessato di fauna selvatica. Il Tribunale di primo grado aveva dichiarato il non doversi procedere per mancanza di querela. Questa decisione si basava sulla qualificazione del fatto come furto semplice (art. 624 c.p.), reato che, per essere perseguito, richiede la manifestazione di volontà della parte offesa.

Contro questa decisione, il Procuratore generale presso la Corte d’appello proponeva ricorso, sostenendo che il Tribunale avesse errato. Secondo l’accusa, il reato avrebbe dovuto essere considerato furto aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 7 c.p., in quanto commesso su cose “destinate a pubblica utilità”. Se tale aggravante fosse stata riconosciuta, il reato sarebbe stato procedibile d’ufficio, rendendo irrilevante l’assenza della querela.

L’Appello del Procuratore e la questione della contestazione in fatto

Il cuore dell’argomentazione del Procuratore si basava sul concetto di contestazione in fatto. L’accusa sosteneva che, sebbene l’aggravante della pubblica utilità non fosse stata esplicitamente citata con il riferimento normativo nell’imputazione, i suoi elementi costitutivi erano di fatto presenti. L’indicazione che la fauna selvatica costituisce “patrimonio indisponibile dello Stato” sarebbe stata, secondo il ricorrente, sufficiente a integrare implicitamente la contestazione dell’aggravante.

La difesa dell’imputato, invece, chiedeva il rigetto del ricorso, sostenendo che una contestazione così generica violasse il diritto a una difesa informata e completa.

La Decisione della Cassazione sulla contestazione in fatto

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, offrendo importanti chiarimenti sul principio di contestazione in fatto. I giudici hanno ribadito che una circostanza aggravante, per essere validamente contestata, deve emergere dall’imputazione in modo chiaro e preciso, permettendo all’imputato di comprenderne appieno il contenuto e di approntare un’adeguata difesa.

### La differenza tra titolarità del bene e destinazione a pubblica utilità

Il punto centrale della decisione è la distinzione tra l’astratta qualifica di un bene e la sua concreta funzione. La Corte ha spiegato che l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, c.p. non riguarda genericamente le “cose di pubblica utilità”, ma quelle “destinate a pubblica utilità”. Questo implica un apprezzamento specifico sulla funzione effettiva del bene.

Essere “patrimonio indisponibile dello Stato” definisce la titolarità giuridica e il regime di appartenenza del bene (la fauna selvatica), ma non descrive automaticamente la sua concreta destinazione al soddisfacimento di un interesse collettivo. L’utilità pubblica non è una proprietà intrinseca, ma un carattere conferito al bene in ragione di un’effettiva fruizione da parte della collettività.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso sottolineando che l’imputazione deve esplicitare gli elementi fattuali dai quali si desume la concreta destinazione del bene sottratto a un’utilità pubblica. Affermare semplicemente che la fauna appartiene allo Stato descrive solo la sua proprietà, un dato statico. L’aggravante, invece, richiede un dato dinamico e funzionale: la prova che quel bene fosse effettivamente inserito in un contesto di fruizione collettiva. L’enunciazione deve essere sufficientemente precisa da rendere manifesto all’imputato che l’accusa non riguarda solo la violazione di un diritto di proprietà, ma la lesione di un interesse dell’intera collettività. Dato che l’imputazione si limitava a menzionare l’appartenenza della fauna allo Stato, non è emersa in modo inequivocabile la contestazione della specifica aggravante, violando così il principio di correlazione tra accusa e sentenza e il diritto di difesa.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza un principio fondamentale del diritto processuale penale: la chiarezza e la completezza del capo di imputazione sono garanzie irrinunciabili. Per contestare validamente l’aggravante del furto di cose destinate a pubblica utilità, l’accusa deve andare oltre la mera qualificazione giuridica del bene. È necessario descrivere i fatti che dimostrano come quel bene, nella situazione specifica, fosse concretamente destinato a soddisfare un interesse pubblico. In mancanza di tale specificità, il reato non può essere considerato aggravato sotto quel profilo, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di procedibilità e di pena.

È sufficiente indicare che un bene appartiene allo Stato per contestare l’aggravante del furto di cose destinate a pubblica utilità?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è sufficiente. L’atto di accusa deve descrivere in modo chiaro e preciso la concreta destinazione del bene al soddisfacimento di un interesse pubblico, non bastando la mera indicazione della sua titolarità pubblica.

Cos’è la ‘contestazione in fatto’ di una circostanza aggravante?
La ‘contestazione in fatto’ si ha quando, pur senza indicare la specifica norma di legge, l’atto di accusa descrive in modo sufficientemente chiaro e preciso tutti gli elementi fattuali che costituiscono l’aggravante, mettendo così l’imputato in condizione di difendersi pienamente su di essi.

Il furto di fauna selvatica è sempre un reato procedibile d’ufficio?
Non necessariamente. Secondo questa sentenza, se non viene correttamente contestata una circostanza aggravante che rende il reato procedibile d’ufficio (come quella della destinazione a pubblica utilità), il furto di fauna selvatica è considerato furto semplice e, per essere perseguito, necessita della querela di parte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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