Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2505 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2505 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORRE
ANNUNZIATA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a SANT’ANTONIO ABATE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria del difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME per il delitto di furto aggravato dall’esposizione dei beni alla pubblica fede in quanto l’azione penale non poteva essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità della querela di parte.
Avverso la richiamata sentenza il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torre Annunziata ha proposto ricorso immediato per cassazione assumendo che il giudice di primo grado aveva erroneamente dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato sebbene all’udienza del 27 giugno 2023 il pubblico ministero d’udienza avesse contestato allo stesso, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., l’aggravante del furto commesso su cosa destinata a pubblico servizio, ciò che aveva reso il reato procedibile d’ufficio anche ai sensi del vigente art. 624, comma 3, cod. pen., come aggiunto dall’art. 2, lett. i), del d.lgs. n. 150 del 2022.
Il Pubblico Ministero ricorrente lamenta, in particolare, che il giudice aveva ritenuto la contestazione suppletiva tardiva, nonostante la stessa possa essere effettuata sino alla chiusura del dibattimento, senza che potesse assumere rilievo la circostanza che, alla data della stessa, era già decorso il termine di cui all’art. 85 del medesimo d.lgs. n. 150 del 2022 per la proposizione della querela ad opera della parte in quanto, con riferimento alla causa estintiva della prescrizione, la giurisprudenza di legittimità riconosce la possibilità che la contestazione suppletiva – espressione dell’obbligo di esercizio dell’azione penale – possa essere compiuta anche dopo il decorso del termine di prescrizione del reato. Sarebbe di qui inconferente, a differenza di quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, la formulazione della contestazione dopo il decorso del termine per la proposizione della querela, una volta mutato il regime di procedibilità del reato per come originariamente contestato alla parte.
Soggiunge inoltre il ricorrente che non avrebbe potuto effettuare la contestazione suppletiva in un momento anteriore perché le udienze del 21 e del 30 maggio 2023, successive all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, erano state rinviate per impedimento del giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Occorre evidenziare, in primo luogo, che nel capo di imputazione è stato contestato al COGNOME, in qualità di titolare della ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, di essersi impossessato di RAGIONE_SOCIALE elettrica per un ammontare quantificabile in 91.513,87 KWh per un importo pari ad euro 16.097,28, sottraendola alla società RAGIONE_SOCIALE che la somministrava.
E’ infatti assolutamente preliminare, rispetto all’esame delle censure, valutare se, attraverso l’indicata formulazione del capo di imputazione, possa ritenersi contestata in fatto la circostanza aggravante della destinazione dei beni oggetto di sottrazione ad un pubblico servizio, in assenza di una contestazione formale corredata dall’indicazione, nel predetto capo di imputazione, dell’art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen. ovvero dell’espressa contestazione, in calce alla descrizione del fatto, dell’aggravante in questione.
2.Come è stato ricordato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella fondamentale sentenza “Sorge” con l’espressione «contestazione in fatto» si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436-01)
La medesima pronuncia delle Sezioni Unite ha ricordato, inoltre, che è legittima la contestazione in fatto di un’aggravante “qualora l’imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie circostanziale, permettendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell’aggravante può dirsi dunque indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perché la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, come queste Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare con riguardo alla correlazione fra l’accusa e la decisione, sulla concreta possibilità per l’imputato di difendersi sull’oggetto dell’addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 -01). Da questa condizione discende che l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, a natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina
inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazione di tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato”.
Nella motivazione della pronuncia “Sorge” di peculiare rilievo è il passaggio nel quale, nel delimitare il confine tra contestazione in fatto ammissibile o meno, si sottolinea che la contestazione in fatto non dà “luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nell loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fa materiali è idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato”.
Le Sezioni Unite, nella più volte evocata pronuncia “Sorge”, si sono così limitate a sancire l’inammissibilità della contestazione in fatto per gli elementi accessori al fatto tipico che non si esauriscono in condotte materiali immediatamente percepibili nella loro obiettività, mentre hanno al contrario confermato la facoltà di operare una mera descrizione fattuale dell’addebito per la legittima applicazione in sentenza di accidentalia delicti formati da elementi costitutivi unicamente materiali.
3.Nella fattispecie in esame viene in rilievo un’azione delittuosa costituita dal furto di un rilevante quantitativo di RAGIONE_SOCIALE elettrica sottratto, come specificato nel capo di imputazione, alla società RAGIONE_SOCIALE che somministra tale RAGIONE_SOCIALE.
Allo scopo di vagliare se detta circostanza aggravante abbia o meno natura valutativa, occorre ricordare, innanzi tutto, che il “servizio” consiste nel fornire prestazioni mirate a persone – o a un nucleo di persone – attraverso l’utilizzazione, la produzione e la vendita di beni materiali a questo scopo destinati.
L’aggettivo “pubblico”, agli inizi del secolo scorso, assumeva una connotazione eminentemente “soggettiva”, guardando al soggetto che erogava il servizio concepito quale soggetto pubblico cui imputare l’attività espressione del servizio medesimo e “nominalistica” in virtù di quello specifico atto necessario a dichiarare come tale il servizio pubblico.
Le critiche alla “teoria soggettiva” – per l’insoddisfazione di una ricostruzione del fenomeno improntata al mero profilo del soggetto erogatore del servizio- hanno portato progressivamente la dottrina e la giurisprudenza a sviluppare la tesi valorizzante la connotazione “oggettiva” dell’aggettivo “pubblico”, fondata sulla peculiarità delle attività svolte.
Tale tesi si è sviluppata significativamente dopo l’entrata in vigore della Carta Costituzionale, attraverso una lettura combinata degli art. 41 e 43.
L’art. 43 Cost. parla espressamente di “servizio pubblico” nei termini della possibile riserva o del possibile trasferimento, per fini di utilità generale, d imprese operanti nei servizi pubblici essenziali o inerenti fonti di RAGIONE_SOCIALE ovvero che godano di situazioni di monopolio, allo Stato, agli enti pubblici o a comunità di lavoratori o utenti.
In tale norma è possibile individuare infatti attività che, per il loro rilie sociale o per le loro specifiche condizioni di gestione, assumono una rilevanza tale da spingere l’amministrazione ad assumerne in via diretta la gestione. Invero, poiché si fa riferimento al possibile trasferimento e alle autorità pubbliche di servizi pubblici, è evidente che la teoria soggettiva è divenuta recessiva, risultando implicito nella formulazione della norma costituzionale, che la qualificazione di pubblicità prescinde dall’assunzione diretta dei pubblici poteri.
La lettura “oggettiva”, poi, appare al collegio più persuasiva anche avendo riguardo all’art. 41, commi secondo e terzo, Cost., laddove afferma che l’iniziativa privata – sebbene libera – non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e contro i fondamentali diritti personali riconosciuti.
Pertanto, nell’assetto costituzionale i servizi pubblici sono quelle attività economiche a gestione variabile che, per la loro rilevanza sociale, giustificano un particolare regime di disciplina volto a verificare che i loro fini non siano i contrasto con gli obiettivi fissati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che la rilevanza delle prestazioni dei servizi pubblici deve essere attribuita non tanto al soggetto che ne assicura la fornitura quanto alle caratteristiche intrinseche delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.
La nozione di servizio pubblico, in definitiva, resta incentrata sull’elemento teleologico del soddisfacimento di interessi dei consociati, che prescinde dalla natura pubblica o privata del soggetto che eroga in concreto il servizio, che deve invero essere destinato alla realizzazione di fini sociali o fini di utilità generale di rilievo costituzionale che i consociati non sono in grado di soddisfare autonomamente.
Elemento emblematico in favore della tesi oggettiva è il processo di privatizzazione, con il progressivo passaggio da una forma diretta di intervento pubblico nell’economia a un modello di intervento che vede lo Stato assumere un ruolo di regolamentazione, indirizzo e controllo di attività non semplicemente gestite, ma assegnate a soggetti privati, che sono rappresentate da plurimi fattori, quali: l’esistenza di una regolamentazione pubblica, che consente di qualificare come servizi pubblici solo le attività oggetto di tale normativa
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derogatoria rispetto allo statuto diritto comune (Cons. St. Ad. Gen, parere 12 marzo 1998, n. 30); la soggezione del gestore al dovere di imparzialità e la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico, in modo da comprendere solo le attività che soddisfano direttamente i bisogni collettivi e non quelle che perseguono tale scopo solo in via strumentale.
È dunque il legislatore che opera questa selezione e che qualifica determinate attività di servizio come pubbliche, cioè a rilevanza collettiva. Attraverso la qualificazione legislativa, l’esercizio di gestione assume un carattere di doverosità vista l’importanza sociale che viene rintracciata in quel servizio.
Per quanto concerne specificamente l’RAGIONE_SOCIALE elettrica – a prescindere dal chiaro riferimento all’RAGIONE_SOCIALE contenuto nell’art. 43 Cost.- è di rilievo la previsione espressa dall’art. 1 della legge 12 giugno 1990 n. 146, per la quale per servizi pubblici si intendono quei servizi che, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, sono «volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libe e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e alla previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione».
La direttiva della RAGIONE_SOCIALE dei ministri del 27 gennaio 1994 sui principi relativi all’erogazione dei pubblici servizi individua, poi, esattamente i servizi pubblici, ai sensi della legge n. 146 del 1990, riferendosi a quelli che erogano RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE acqua e gas.
Sulla scia di tale direttiva sono stati emanati alcuni decreti individuanti chiaramente e concretamente i servizi da considerare pubblici, con la relativa emanazione degli schemi delle carte di servizio, come da art. 2, I. 11 luglio 1995 n. 273. Infatti, nel d.P.C. 19 maggio 1995 sono elencati i servizi che devono essere in ogni caso considerati pubblici, escludendo ogni possibile ambiguità, ossia, tra gli altri, i trasporti, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’acqua e il Vi sono, altresì, le leggi sulle privatizzazioni e sulle istituzioni delle autori amministrative indipendenti che hanno chiarito altresì che sono da ricomprendere tra i servizi pubblici le imprese erogatrici di servizi relativi, tr l’altro, ai trasporti, alle telecomunicazioni, alle fonti di RAGIONE_SOCIALE e ag altri servizi pubblici (art. 2, I. 30 luglio 1994 n. 474). Infine, vi è l’istitu dell’RAGIONE_SOCIALE ex I. 14 novembre 1995 n. 481 (recante “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”; con l’ar 13, comma 13, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, conv. con legge 21 febbraio 2014, n. 9, le sue competenze sono state estese al settore RAGIONE_SOCIALE e, correlativamente, la sua denominazione è stata modificata in “RAGIONE_SOCIALE“; con l’art. 1, commi 527 e 528, dell
legge 27 dicembre 2017, n. 205, le competenze dell’RAGIONE_SOCIALE sono state ulteriormente ampliate al settore dei rifiuti e il suo nome è stato pertanto modificato in quello di “RAGIONE_SOCIALE” Arera), che ulteriormente conferma – ove ve ne fosse stato bisogno- l’inclusione del settore dell’RAGIONE_SOCIALE elettrica nella disciplina dei servizi pubblic Dunque può affermarsi che l’erogazione di RAGIONE_SOCIALE elettrica costituisce in ogni caso un servizio pubblico a partire del chiaro dettato costituzionale, procedendo lungo il crinale delle leggi, nonché delle disposizioni regolamentari e dei decreti in materia.
4.Se, in omaggio alla premessa svolta, l’erogazione di RAGIONE_SOCIALE elettrica si configura, ineluttabilmente, come un pubblico servizio, non è dunque necessaria, in coerenza con i principi espressi dalla sentenza “Sorge”, alcuna valutazione a fronte di un capo di imputazione nel quale si faccia riferimento all’avvenuta sottrazione per finalità di profitto di un determinato quantitativo di RAGIONE_SOCIALE elettrica al soggetto preposto alla relativa erogazione per ritenere configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, cod.pen., che ricorre ogni qual volta il furto ha ad oggetto beni volti a soddisfare esigenze generali della collettività, come gli impianti di erogazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’acqua o del gas.
In linea con tale impostazione si era già posta, del resto, Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, dep. 2022, Mondino, Rv. 282543 – 01, osservando che la circostanza aggravante in esame sussiste ogni qual volta la cosa sottratta sia oggettivamente caratterizzata da un nesso funzionale all’erogazione di un pubblico servizio, restando di qui irrilevante che la sottrazione avvenga mediante un allacciamento abusivo ai terminali della rete elettrica collocati in una proprietà privata, in quanto ciò che rileva non è l’esposizione alla pubblica fede dell’RAGIONE_SOCIALE mentre transita nella rete, bensì la destinazione della stessa ad un pubblico servizio.
Peraltro già la precedente sentenza Sez. 6 n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano, Rv. 257773 – 01, aveva chiarito che le cose destinate a pubblico servizio – cui fa riferimento l’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen (applicabile al reato in esame in virtù del comma secondo, n. 3 dell’art. 635 cod. pen.) – non si identificano in quelle la cui fruizione sia pubblica ma in quelle la cui destinazione è per un servizio fruibile dal pubblico.
La richiamata giurisprudenza valorizza la sola destinazione ad un pubblico servizio del bene sottratto ai fini della configurabilità dell’aggravante in discussione, destinazione che è naturale per beni che, come l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il gas, e l’acqua, costituiscono in sé veri e propri beni comuni perché volti a
soddisfare esigenze obiettive della generalità dei consociati, oltre che normativamente definiti tali.
La mera circostanza, dunque, che il furto abbia ad oggetto l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE implica ineludibilmente e senza necessità di valutazioni di sorta la ricorrenza di un pubblico servizio, sicché l’attività svolta per l’impossessamento di essa, su qualsivoglia oggetto si rivolga al fine di operare la sottrazione, integra un fatto commesso cosa destinata a pubblico servizio.
Nella stessa prospettiva, la recente Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, PG c. COGNOME – ribadito che, in tema di furto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è configurabile l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. in caso di sottrazione mediante l’allacciamento abusivo alla rete esterna, indipendentemente dal nocumento arrecato alla fornitura in favore di altri utenti, rilevando non già l’esposizione alla pubblica fede dell’RAGIONE_SOCIALE che transita nella rete, ma la sua destinazione finale a un pubblico servizio, dal quale viene così distolta (Rv. 285422 – 01) – ha affermato che può ritenersi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., in quanto l’RAGIONE_SOCIALE elettrica fornita, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio (Rv. 285422 – 02).
Questa pronuncia ha confermato i principi che erano stati già espressi, pur senza doversi confrontare con il nuovo regime di procedibilità del delitto di furto a seguito dell’intervento del d.lgs. n. 150 del 2022, da Sez. 5, n. 33824 del 05/06/2023, COGNOME, n.m., per la quale l’aggravante di cui all’art. 625, n. 7 cod. pen. è in sé integrata, senza che sia necessaria alcuna altra valutazione, dalla sottrazione di RAGIONE_SOCIALE al servizio elettrico, in ragione della natura pubblica del servizio.
5.Non può ritenersi, del resto, per le ragioni già indicate, che la contestazione in fatto, nei termini delineati dal riprodotto capo di imputazione, della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7), cod. pen., si ponga in contrasto con il diritto di difesa dell’imputato sancito dall’art. 24 Cost. nonché con la possibilità per lo stesso di difendersi adeguatamente dall’accusa formulata nei suoi confronti ai sensi dell’art. 6, § 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che assume rilievo costituzionale in via interposta attraverso l’art. 117, primo comma, Cost.
E’ vero infatti che nella nota pronuncia COGNOME contro Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che condizione fondamentale per l’equità del processo è che l’incolpazione contenga informazioni dettagliate sia sulla “natura” delle accuse, intendendosi per tale sia la qualificazione giuridica
che la giurisdizione potrebbe considerare nei suoi confronti, sia i “motivi” dell’incolpazione, da individuare nei fatti materiali contestati all’imputato (COGNOME c. Italia, 11 dicembre 2007, § 31; v. anche Corte Edu, COGNOME c. Albania, 8 ottobre 2013, §123; Corte Edu, Pélissier e COGNOME, cit., § 51).
Tuttavia tale decisione non riguardava la mera mancata indicazione del fondamento normativo della circostanza aggravante nel capo di imputazione che era stata poi ritenuta in sentenza in forza di una contestazione in fatto bensì la ben differente fattispecie della riqualificazione avvenuta, solo in sede di legittimità, del delitto di corruzione semplice nel più grave delitto di corruzione in atti giudiziari, che può essere integrato, a differenza del primo, solo dal dolo specifico, e che si prescrive in un termine più lungo.
Inoltre, occorre considerare, sempre ai fini del “confronto” con la questione in esame, che nello stesso precedente, la Corte di Strasburgo ha sottolineato che la modifica dell’imputazione non poteva considerarsi né prevedibile né, di conseguenza, prevenibile, nella strategia di contrasto all’addebito accusatorio, anche in considerazione della diversità strutturale tra le due autonome fattispecie di reato.
Nel precedente che ha riguardato, invece, più specificamente le circostanze aggravanti, ossia nella sentenza COGNOME Torres, la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha puntualizzato che il riconoscimento in sentenza di una circostanza aggravante può prescindere dalla sua previa identificazione nell’atto di accusa, qualora risulti “implicitamente” dalla descrizione dei fatti iv contenuta, purché l’imputato fosse a conoscenza – o avrebbe dovuto esserlo delle conseguenze giuridiche derivanti da tale elemento (Corte EDU, De COGNOME Torres, 24 ottobre 1996, §§ 30 ss., in fattispecie nella quale il Tribunale supremo spagnolo aveva ritenuto l’imputato colpevole di appropriazione indebita, corredata dall’aggravante di aver commesso il fatto nell’esercizio di una funzione pubblica, osservando che la contestazione di tale circostanza poteva implicitamente essere desunta dall’atto di accusa: la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel rigettare il ricorso proposto, ha sottolineato che il carattere pubblico delle funzioni esercitate dal ricorrente costituiva un elemento intrinseco del capo di imputazione iniziale di appropriazione indebita di denaro pubblico, elemento del quale l’imputato era a conoscenza sin dall’inizio del processo, con conseguente consapevolezza del fatto che il giudice avrebbe potuto ritenere il carattere pubblico delle sue funzioni di direttore amministrativo dell’ospedale integrare una circostanza aggravante e difendersi adeguatamente, di conseguenza, nel corso del processo, da tale prospettazione accusatoria).
6. In definitiva, per il complesso delle indicate ragioni, deve ritenersi che nel capo di imputazione è stata adeguatamente contestata in fatto al COGNOME la
circostanza aggravante della destinazione dell’RAGIONE_SOCIALE elettrica sottratta a un pubblico servizio, in virtù dell’indicazione del bene sottratto e della società RAGIONE_SOCIALE che, pur formalmente privata, gestisce, sebbene non più in forma di monopolio, su base nazionale il servizio pubblico di erogazione dell’RAGIONE_SOCIALE elettrica. Di conseguenza, quella operata dal Pubblico Ministero ricorrente dopo la modifica del regime di procedibilità del delitto di furto da parte del d.lgs. n. 150 del 2022 è una mera precisazione della contestazione già compiuta e non una nuova contestazione.
La decisione impugnata deve essere dunque annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Torre Annunziata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Torre Annunziata.
Così deciso in Roma il 29 novembre 2023
Il Consigliere Estensore
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