Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10690 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10690 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
n. in
DL
omissis
avverso la sentenza del 26/05/2023 della Corte di appello di Bari i visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 maggio 2023, la Corte d’appello di Bari, accogliendo soltanto in punto trattamento sanzionatorio il gravame proposto dall’odierno ricorrente, giudicato con rito abbreviato, ha ridotto la pena principale inflitta primo grado ad anni cinque e mesi due di reclusione ed euro 18.600 di multa, applicando all’imputato le conseguenti pene accessorie, in ordine ai reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di produzione, anche tentata, di divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico, nonché di istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione per essere stata illegittimamente ritenuta la circostanza aggravante di cui all’art. 600 quater, secondo comma, cod. pen. della detenzione di materiale pedopornografico in ingente quantità senza che detta circostanza fosse stata contestata nel capo d’imputazione. In violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza – si lamenta – la Corte territoriale, invece di dichiarare la nullità in parte qua della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen. tenendone conto nella determinazione dell’aumento praticato a titolo di continuazione per detto reato satellite, aveva illogicamente ritenuto che la mancata contestazione potesse ritenersi superata dal mero dato quantitativo del materiale detenuto.
Con il secondo motivo di ricorso si deducono la violazione dell’art. 62 bis cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche pur avendo la Corte territoriale riconosciuto tenendone conto ai fini della determinazione della pena – che sussistevano elementi di favorevole valutazione come l’incensuratezza, la giovane età, il positivo comportamento processuale e le dichiarazioni confessorie rilasciate. Si era inoltre illogicamente rilevato che l’opzione processuale per il rito abbreviato era già stata autonomamente “premiata” con la riduzione della pena prevista dalla legge, omettendo di considerare che i due benefici hanno presupposti logicogiuridici assolutamente differenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso non è fondato, dovendosi escludere il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, con conseguente nullità ex art. 522, comma
2, cod. proc. pen., laddove sia ritenuta la circostanza aggravante di cui all’art. 600 quater, secondo comma, cod. pen. a fronte di una imputazione che, senza espressamente richiamare detta previsione, specificamente contesti la detenzione di materiale pedopornografico con riferimento a centinaia di immagini e video pur senza qualificare come “ingente” detta quantità.
1.1. Secondo il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, condiviso dal Collegio, ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è infatti indispensabile una formula specifica espressa con una particolare enunciazione letterale, né l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto che la integrano (Sez. 1, n. 51260 del 08/02/2017, Archinito, Rv. 271261, con riguardo alla premeditazione). A tal fine, dunque, rileva la precisa enunciazione, in imputazione, degli elementi di fatto che integrano la fattispecie circostanziale (Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255793), ciò che si verifica quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle lor caratteristiche, idonei a riportare nell’imputazione tutti gli elementi costitutivi de fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa (Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, Saracino, Rv. 279335).
Del resto, questa Corte nella sua più autorevole composizione ha da tempo affermato che il difetto di correlazione tra imputazione contestata e sentenza postula la verifica di un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
1.2. Tornando più di recente sul tema con specifico riguardo alle circostanze aggravanti, le Sezioni unite hanno precisato che, sulla scorta di questi principi, «l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanzia e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazione di tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato» (così, in motivazione, Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv.
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275436, la quale ha ritenuto che, in tema di reato di falso in atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, e non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma, escludendo, invece, che la mera indicazione dell’atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a fine in quanto l’attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione).
Nella motivazione di tale decisione si legge, inoltre, che «è evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell’imputazione fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibi l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato. Diversamente avviene con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitat nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigersi dall’imputato pur se assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esito qualificativo ch connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattan per l’appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse» (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436, in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla scorta di questo più recente approdo si è conseguentemente affermato che soltanto le circostanze necessariamente caratterizzate da profili valutativi non possono considerarsi legittimamente contestate in fatto e ritenute in sentenza ove questi ultimi non siano esplicitati nell’imputazione (Sez. 5, n. 7541 del 25/11/2021, dep. 2022, Mezzina, Rv. 282982).
1.3. Reputa il Collegio che, nel ritenere nella specie legittimamente contestata la circostanza aggravante prevista dall’art. 600 quater, secondo comma, cod. pen., la sentenza impugnata abbia fatto buon governo degli esposti principi e reso una motivazione tutt’altro che illogica.
Sul piano dell’indicazione delle norme violate, si è innanzitutto correttamente rilevato come la contestazione sia stata mossa con riguardo al «delitto di cui all’art. 600 quater c.p.» nel suo complesso, senza indicazione di commi, sicché – escluso iI richiamo al terzo comma della disposizione, concernente una diversa condotta e peraltro introdotto soltanto successivamente ai fatti oggetto di addebito – l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico abbraccia indistintamente sia il primo, sia il secondo comma della disposizione incriminatrice.
Soprattutto, si è condivisibilmente osservato come la formulazione dell’addebito incentri con chiarezza il disvalore della condotta imputata anche sull’ingente dato quantitativo, essendo stata contestata la detenzione di «centinaia di immagini e video di natura pedopornografica». Oltre al profilo qualitativo della riferibilità a minorenni del materiale pornografico in questione – nel prosieguo della contestazione precisato più nel dettaglio – l’imputazione descrive dunque anche un profilo di obiettiva ingente quantità che immediatamente evoca la circostanza aggravante prevista dal secondo comma della disposizione incriminatrice senza che la comprensione dell’addebito aggravato richieda una particolare attività valutativa suscettibile di condurre a conclusioni diverse. Come questa Corte ha già più volte avuto modo di precisare, infatti, non vi è dubbio che, secondo il senso comune – donde, peraltro, l’insussistenza di qualsiasi problema di tassatività e determinatezza della fattispecie aggravata – un quantitativo di immagini e video espresso nell’ordine delle centinaia sia “ingente” ed integri dunque con certezza l’ipotesi prevista dal secondo comma della norma incriminatrice (cfr. Sez. 3, n. 39543 del 27/06/2017, R., Rv. 271461, secondo cui la configurabilità della circostanza aggravante in esame impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene, sicché l’aggravante risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche; Sez. 3, n. 35876 del 21/06/2016, B., Rv. 268008, che ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata, nella quale i giudici avevano ravvisato gli estremi dell’aggravante in questione in relazione alla detenzione di un film e 300 fotografie; Sez. 3, n. 17211 del 31/03/2011, R., Rv. 250152, riferita ad una fattispecie di detenzione di 175 DVD contenenti numerosi files pedopornografici). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Del resto, il ricorso – in ciò contraddistinto da innegabili profili di generici limitandosi ad una censura di carattere meramente formale rispetto alla
formulazione dell’imputazione ed alla motivazione della sentenza impugnata, non si confronta realmente con quest’ultima e, senza in alcun modo contestare che il quantitativo di immagini e video fatto oggetto di imputazione integri gli estremi dell’ingente quantità, non allega le ragioni che avrebbero impedito all’imputato di comprendere l’accusa in quei termini formulata e di difendersi sul punto.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità, manifesta infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite.
2.1. Diversamente da quanto allegato dal ricorrente, la Corte territoriale ha adeguatamente e logicamente motivato le ragioni poste a base della negata concessione delle circostanze attenuanti generiche, osservando come la obiettiva gravità delle condotte illecite, non occasionali e perpetrate in danno di più minori, non ne consentisse il riconoscimento a fronte degli elementi che secondo l’imputato ne avrebbero giustificato l’applicazione, dovendo escludersi la sufficienza dello stato di incensuratezza e la valenza dell’ammissione degli addebiti a fronte di una solida e già acquisita prova di commissione dei fatti, senza che potesse al proposito valere l’opzione per il giudizio abbreviato, già autonomamente premiata dall’ordinamento con la riduzione ex lege della pena.
2.2. La Corte territoriale, dunque, ha assunto la propria decisione con motivazione non censurabile in questa sede.
Il giudizio fattuale reso dai giudici di merito, difatti, non è contraddittor posto che gli elementi favorevoli addotti dall’appellante (in particolare la giovane età, l’incensuratezza e l’ammissione di responsabilità) sono stati doverosamente valutati, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., per la determinazione della pena, con riduzione di quella inflitta in primo grado. Con riguardo al giudizio sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, invece, mentre è pacifico che la loro applicazione non possa fondarsi sulla scelta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato (Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, COGNOME, Rv. 277271) e che lo stato di incensuratezza non sia di per sé sufficiente (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489), la valorizzazione di quegli elementi favorevoli ai fini della riduzione della pena non rende contraddittoria la motivazione sul diniego delle invocate attenuanti. E’ consolidato, invero, il principio secondo il quale il giudice del merito esprime al proposito un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considera preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), potendo a tal fine limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo
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elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02), ben potendo il beneficio essere negato per la ritenuta prevalenza ostativa fondata sulla gravità del fatto (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509-03).
Il ricorso, complessivamente infondato, deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 9 gennaio 2023.