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Contestazione aggravante: il PM deve agire in udienza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale avverso una sentenza di improcedibilità per furto di energia elettrica. Il ricorso lamentava la mancata possibilità per il PM di effettuare una contestazione aggravante che avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio. La Corte ha rilevato che, in realtà, il PM d’udienza non aveva mai formulato tale richiesta, ma aveva anzi concluso in conformità alla difesa, chiedendo l’improcedibilità per mancanza di querela. L’appello si basava quindi su un presupposto di fatto inesistente.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contestazione aggravante: se il PM non agisce, il processo si ferma

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32063/2024, offre un importante chiarimento sul ruolo attivo che il Pubblico Ministero (PM) deve assumere in udienza, specialmente in relazione alla contestazione aggravante. Il caso, nato da un’accusa di furto di energia elettrica, dimostra come l’inerzia dell’accusa possa portare alla chiusura del processo, senza che tale esito possa essere successivamente corretto in sede di impugnazione.

I Fatti del Processo

Il procedimento di primo grado vedeva un imputato accusato del reato di furto di energia elettrica. A seguito della Riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022), questa fattispecie di furto, se non accompagnata da specifiche aggravanti, è diventata procedibile solo a seguito di querela della persona offesa. Nel caso di specie, la querela non era mai stata presentata.

Di conseguenza, il Tribunale di Siracusa, prendendo atto della nuova disciplina e della mancanza della condizione di procedibilità, ha dichiarato il “non doversi procedere” nei confronti dell’imputato.

Il Ricorso del Procuratore Generale e la contestazione aggravante

Contro questa decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, sostenendo una tesi ben precisa: il Tribunale avrebbe errato nel dichiarare l’improcedibilità, poiché avrebbe di fatto impedito al PM presente in udienza di effettuare una contestazione aggravante suppletiva. Nello specifico, si sarebbe potuta contestare l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, del codice penale, ovvero l’aver commesso il fatto su cose destinate a un pubblico servizio. Tale aggravante avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio, superando così l’ostacolo della mancanza di querela. Secondo il ricorrente, il giudice non avrebbe dovuto avere voce in capitolo sull’ammissibilità di tale contestazione, essendo un atto esclusivo e obbligatorio del PM.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato completamente questa ricostruzione, definendo il ricorso “inammissibile e fuori fuoco”. L’errore del Procuratore Generale è stato dare per scontato un fatto che, secondo i verbali d’udienza, non è mai accaduto.

Dall’analisi degli atti processuali, infatti, è emerso chiaramente che il PM presente al processo di primo grado non solo non ha mai tentato di formulare una nuova contestazione aggravante, ma ha concluso le sue richieste in maniera perfettamente conforme alla difesa, chiedendo egli stesso la declaratoria di improcedibilità per assenza di querela.

In sostanza, l’appello si basava sulla presunta violazione del diritto del PM di modificare l’imputazione, quando in realtà era stato proprio il rappresentante dell’accusa a rinunciare a tale facoltà, ritenendo corretta la chiusura del processo. Non vi è stata alcuna violazione dell’art. 517 del codice di procedura penale, perché non c’è stata alcuna richiesta da parte del PM che il giudice potesse illegittimamente respingere.

La Corte sottolinea che la peculiare situazione processuale, in cui tutte le parti hanno concordemente chiesto l’improcedibilità, impedisce di applicare qualsiasi altro principio giurisprudenziale sulla contestazione “implicita” o “valutativa” delle aggravanti. La volontà manifestata in udienza dal PM ha prevalso su ogni altra possibile interpretazione dei fatti.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: le facoltà processuali devono essere esercitate attivamente e tempestivamente. Il Pubblico Ministero che, di fronte a un cambio normativo, ha la possibilità di mantenere in vita l’azione penale attraverso una contestazione aggravante, ha il dovere di farlo esplicitamente in udienza. Se, al contrario, rimane inerte o, come in questo caso, si associa alla richiesta di improcedibilità, non potrà essere l’organo superiore (il Procuratore Generale) a lamentare in un secondo momento una violazione di diritti mai esercitati. L’esito del processo dipende dalle azioni concrete svolte in aula, non da quelle che si sarebbero potute compiere in astratto.

Può il Procuratore Generale ricorrere in Cassazione lamentando che al PM d’udienza sia stata negata la possibilità di una contestazione aggravante se quest’ultimo non l’ha mai richiesta?
No. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio perché basato su un presupposto fattuale errato. Se il Pubblico Ministero in udienza non formula alcuna richiesta di contestazione suppletiva, ma anzi conclude per l’improcedibilità, non vi è alcuna violazione di legge da parte del giudice.

Cosa succede se un reato, come il furto aggravato, diventa procedibile a querela a seguito di una riforma e la querela manca?
Se manca la querela e non sussistono altre circostanze aggravanti che rendano il reato procedibile d’ufficio, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale, ovvero che il processo non può proseguire.

È sufficiente che un’aggravante sia implicitamente desumibile dai fatti per ritenerla validamente contestata?
La sentenza chiarisce che la volontà processuale manifestata dalle parti è fondamentale. In questo caso, anche se un’aggravante poteva essere astrattamente desumibile dai fatti, il Pubblico Ministero ha esplicitamente concluso per l’improcedibilità, dimostrando di non volersi avvalere di tale circostanza. La sua condotta processuale ha quindi precluso ogni possibilità di considerarla contestata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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