Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4431 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4431 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal NOME COGNOME nato a Cosenza il 02/02/1970; nel procedimento a carico della medesima; avverso la ordinanza del 04/09/2024 del tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Catanzaro, adito nel nell’interesse di NOME COGNOME avverso la ordinanza applicativa degli arresti domiciliari in ordine ai reati di cui all’art. 73 commi 1 e 4 DPR 309/90 rigettava l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME mediante il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione.
Deduce con il primo motivo vizi di violazione di legge e di motivazione. Si allegano ordinanze che sarebbero state già allegate in sede di riesame per sostenere la esistenza di una contestazione a catena e se ne ribadisce, alla luce delle stesse, la sussistenza di essa, motivandola in particolare valorizzando le date dei capi di incolpazione, dimostrative della conoscenza da
parte del P.M. dei fatti di cui all’attuale procedimento (contestati antecedentemente al 22.3.2022) già all’epoca della precedente ordinanza cautelare, siccome intervenuta in ordine a fatto accertato il 22.3.2022.
COGNOME Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge per mancanza di attualità delle esigenze cautelari. I giudici non avrebbero risposto alle doglianze difensive; inoltre si valorizza il decorso del tempo tra i fatti e l misura, nonché la confessione dei fatti addebitati
NOME Il primo motivo è inammissibile. A fronte della dichiarazione del collegio della cautela, di inammissibilità della medesima censura, già proposta in sede di riesame, il ricorrente si limita a reiterare la medesima, incorrendo nelle medesime mancanze evidenziate dal tribunale del riesame in punto di genericità della doglianza. E’ qui allora sufficiente ricordare che in tema di c.d. “contestazione a catena”, qualora si sia in presenza di distinte notizie di reato pervenute allo stesso ufficio del pubblico ministero a distanza di tempo l’una dall’altra, la retrodatazione, ai sensi dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., della decorrenza del termine di una misura cautelare disposta successivamente alla prima richiede l’assolvimento, da parte di chi impugni il provvedimento che l’abbia negata, dell’onere di rappresentare in modo specifico le ragioni a sostegno della propria doglianza e quindi, in particolare, di porre in evidenza, in modo puntuale, gli elementi indiziari che, già esistenti e conosciuti all’epoca di emanazione della prima ordinanza cautelare, avrebbero consentito di disporre la misura anche per i fatti cui essi si riferivano. (Sez. 2, n. 46038 del 14/11/2007 Rv. 238289 – 01). Tale onere, quanto alla specifica dimostrazione della sussistenza di indizi già esistenti e conosciuti dal P.M. all’epoca della prima ordinanza, non risulta adempiuto, atteso che non è certamente sufficiente evocare la sola data di iscrizione nel registro degli indagati afferente, per giunta asseritamente, i fatti di cui alla attuale seconda ordinanza, né tantomeno sottolineare come i fatti attualmente ascritti all’indagato siano anteriori a quelli d cui alla prima ordinanza, atteso che, da una parte, alla citazione della iscrizione non si accompagna alcuna allegazione dimostrativa di quanto sostenuto, in violazione del noto principio di autosufficienza del ricorso, dall’altra, manca, tra l’altro, la dimostrazione del dato realmente significativo e di per sé non enucleabile dalla mera generica e non meglio specificata iscrizione, posto che essa, come tale, non segna incontrovertibilmente – in particolare in assenza di allegazione – una precisa corrispondenza tra i fatti oggi in contestazione e la loro precisa registrazione nel registro degli indagati: si tratta della prova, mancante, di come il materiale di indagine già a disposizione del Pubblico Ministero consentisse sin dalla prima richiesta di emissione di misura – sussistendo Corte di Cassazione – copia non ufficiale
comunque tutti i requisiti sottolineati in giurisprudenza in materia di contestazione a catena, cui si rinvia quali principi notori – di rinvenire i fatti po attualmente oggetto di incolpazione provvisoria.
COGNOME Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, in ordine al quale si premette che in tema di esigenze cautelari – ove l’indagato sia dedito, per il suo “modus vivendi”, a commettere delitti in modo continuativo e seriale il giudizio sul pericolo di recidiva non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti dall’analisi della personalità dell’indagato, dall’esame delle sue concrete condizioni di vita, da dati ambientali o di contesto, nonché dalle modalità dei fatti per cui si procede (Sez. 2, n. 55216 del 18/09/2018 Rv. 274085 – 01). Perfettamente corrispondente a tale principio appare la motivazione contestata, posto che si valorizza la tendenza criminale specifica, la persistente commissione di reati in materia di stupefacenti per numerosi anni, la disponibilità costante di sostanza stupefacente, le modalità di azione dimostrative di un sistema illecito collaudato, in grado di rispondere alle esigenze costanti di consumo della clientela, l’inserimento organico in contesti delinquenziali in materia di narcotici. Né osta, in tal caso, di per sé, il decorso del tempo tra i fatti e la misura, posto il principio, cui appare ispirata la ordinanza impugnata, secondo il quale in tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, sicché il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche se risalenti nel tempo (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso dell’imputato che aveva eccepito l’insussistenza del requisito dell’attualità delle esigenze cautelari, in quanto non erano emersi ulteriori e recenti contatti con soggetti disposti a fungere da prestanome per le società coinvolte negli illeciti). (Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023 Rv. 285217 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
GLYPH Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi
la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024.