Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1194 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1194 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 19.7.1967;
contro
il provvedimento del GIP del Tribunale di Roma del 19.7.202
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Scstituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME confermando così l’ordinanza del 20.6.2024 con cui il GIP del Tribunale capitolino aveva applicato all’Aierno ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere avendo ravvisato, lie’ suoi confronti, gravi indizi di colpevolezza in relazione a fatti di associa; ione delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali e di autoriciclaggio nonché le esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensc re che deduce:
2.1 nullità dell’ordinanza impugnata per violazione della disciplina :Jettata dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. e violazione dell’art. 125, comma – 3, od. proc. pen.: lamenta che sia il GIP che il Tribunale hanno recepito la richiE sta del PM non tenendo conto della specifica posizione del Coppola già sottopu:to ala misura carceraria per le medesime contestazioni associative e per i medesimi fatti contestati in questa sede dai Tribunali di Catanzaro (poi Vibo Valentia), I apoli e Roma; riporta atti degli altri procedimenti segnalando come le condotte contestate al COGNOME “dal gennaio 2017 con condotta perdurante” fossero di natura associativa ed aggravate ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. comm3ssi in Afragola, Casoria, Arzano e Comuni limitrofi ed altre Regioni tra cui il Lazic., sino al 2019″; riporta, altresì, il decreto che ha disposto il giudizio di fronte al Ti – bunale di Catanzaro, con i relativi capi di imputazione, segnalando che, anche n quel caso, si trattava di condotte associative aggravate ai sensi dell’art. 416-bis 1 coi pen. contestate al COGNOME con condotta tenuta dal gennaio del 2(.119, e perdurante, in Vibo Valentia, Napoli, Roma e territorio Nazionale e la fin ilità di agevolazione del clan COGNOME; aggiunge che tra le fonti di prova valorizzate dal G:I.P vi sono gli atti del proc. 30350/13 RGNR (operazione “Stone”) e gli atti dE I proc. 44055/18 RGNR, acquisiti in copia e che dall’attività di indagine da cui è sc.5turita la misura non sono emersi elementi indicativi di una protrazione dell’ criminosa del COGNOME successivamente alla adozione della prima ori lanza cautelare e richiama, a tal fine, il contenuto dell’informativa finale del 3..5.2024, allegata all’istanza di riesame, ma non scrutinata dal Tribunale; rileva che ri,13pure la perquisizione eseguita in sede di applicazione della presente misura aveva consentito di acquisire elementi dimostrativi di una protrazione della condotta illecita e ribadisce che la misura qui in esame era stata adottata quando il C:)ppoia era stato da poco più di tre mesi scarcerato dal Tribunale di Napoli e, poi, anche da! Tribunale di Vibo Valentia e sottoposto alla misura dell’obbligo di firmi: ed al divieto di dimora nella Regioni della Campania e del Lazio; insiste, quind , sulla violazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. per non avere il Tributale di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Roma retrodatato i termini di durata della custodia a partire dall’8 aprile 2021, data di applicazione della prima ordinanza cautelare emessa nei proceiimenti denominati “RAGIONE_SOCIALE” di Roma, Napoli e Vibo Valentia da cui sono scatu -iti tutti i procedimenti avviati sul territorio nazionale tra cui quello nel corso del luale è stata adottata la misura in atto, nonché sulla violazione dell’art. 125, cornma 3, cod. proc. pen., per omessa motivazione in merito alle allegazioni difen! ive sul superamento della presunzione di prosecuzione dell’attività criminosa oltre la data di esecuzione della prima misura; sottolinea che si è in presenza di una ipDtesi di “gemmazione” di procedimenti legati da un vincolo di connessione qualificata tale da imporre la retrodatazione della misura; richiama, ancora, i principi ribadti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla nozione di “desumibilità” dagli a tt i d processo e la stessa ordinanza genetica che aveva evocato le attività commerciali gestite da NOME COGNOME attraverso il deposito della COGNOME di Roria e la conversazione tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME relativa alle melesime attività imprenditoriali per le quali il COGNOME era stato attinto dalla misur custodiale dell’8 aprile 2021; evidenzia che il GIP aveva dato conto del co itrasto tra i COGNOME ed NOME COGNOME nonché delle dichiarazioni di NOME COGNOME in merito ai rapporti commerciali tra il COGNOME ed NOME COGNOME; ribacisce la necessità di dichiarare la perdita di efficacia della misura richiamando, quAdi, le tre situazioni enucleate dalla giurisprudenza di legittimità caratterizzate, tu te, dal presupposto comune secondo cui i fatti per cui è stata adottata la orc inanza successiva devono essere antecedenti alla adozione della ordinanza precezEnte;
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza dei pericolo di reiterazione del reato e/o di inquinamento probatorio nonché in ordine ai gravi indizi di colpevolezza: segnala che il ricorrente è stato attinto dalla nisura custodiale con esclusivo riguardo ai capi 15) e 37) mentre il Tribunale, ::an un meccanismo di “copia e incolla”, ha ripreso l’intera attività investigativa a carico del COGNOME aggiungendo che, a prescindere dalla insussistenza di gravi indizi sulle suddette contestazioni provvisorie, non era comunque ravvisabile alcuna es genza cautelare sotto il profilo del rischio di reiterazione del reato e nemmeno in punto di salvaguardia della prova, acquisita con perquisizioni e sequestri nell’amt ito del procedimento principale; tantomeno, il pericolo di fuga; richiama, da ultimo, la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla natura soggettiva della aggrwante mafiosa sotto il profilo della agevolazione e l’insussistenza di elementi idonei a dimostrare la consapevolezza, in capo al COGNOME, dell’esistenza di una consprteria mafiosa e della sua volontà di favorirla;
3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifest mente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato ma, prima ancora, caratterizzato da assoluta genericità.
1.1 La difesa, infatti, deduce violazione dell’art. 297, comma 3, coc proc. pen. sostenendo che la misura adottata dal GIP del Tribunale di Roma rigué . rdasse fatti analoghi a quelli per i quali l’odierno ricorrente era già stato attinto provvedimenti cautelari personali adottati da varie altre autorità giudizia e che procedono nei suoi confronti.
Invoca, perciò, la disciplina dettata dalla norma suindicata con conse guente declaratoria di inefficacia della misura in atto.
L’art. 297 comma 3 cod. proc. pen., concernente le contestazioni cd. ”a catena”, ha codificato la regula iurís, frutto della giurisprudenza formata s i sotto la vigenza del codice previgente, con la quale era stata disciplinata la de oga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare, all’evidente fine di evitare il fenomeno, della dilatazione dei tempi della “carcerazione provvisoria” mediante l’emissic ne, momenti diversi, nei confronti della stessa persona, di più provvedimenti coercitivi concernenti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, wvero riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro.
Nel testo originario l’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. stabiliva che a decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare avrebbe (I3vuto essere dovuto retrodatata al momento dell’esecuzione di altra prec !dente ordinanza, laddove i due provvedimenti avessero riguardato lo stesso fatto , )vvero più fatti in concorso formale tra loro, oppure integranti ipotesi di aberratío delicti o di aberratío ictus pluríoffensíva.
Nella versione successiva, introdotta nel 1995 con la legge 332, l’operatività del meccanismo di retrodatazione era stata prevista esclusivamente per i casi di connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., 1 -ett. b) (concorso formale e continuazione tra i reati) e c) limitatamente all’ipotesi di reati connessi per eseguire gli altri (connessione cd. teleologia); è stata, poi, intrxiotta una regola generale di retrodatazione “automatica” (“se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misi ra.., i
termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave”) non operante in questi rmini laddove la seconda ordinanza cautelare fosse stata adottata dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza (“la disposizione non si E pplica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del ri vio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del pmsente comma”).
L’ambito di operatività della previsione normativa si è tuttavia ampliE to per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale la Corte Costitu2ionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nella p, rte cui “non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al mo nento dell’emissione della precedente ordinanza” ed inoltre ulteriormente precisa t” dalla sentenza n. 233 del 2011, che ha dichiarato la illegittimità dello stesso ari. 297, comma 3, nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede che la regola in tema di decorreTza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in git. dicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
In definitiva, la disposizione in esame, secondo uno schema ricost – Jttivo minuziosamente ricostruito in alcune decisioni (cfr., ad es Sez. 3, n. 10788 del 29/01/2016, Rao, Rv. 266490 – 01) finisce per tratteggiare tre diverse ipotesi di “retrodatazione” caratterizzate, peraltro, dal presu pposto comune rappresentato dal fatto che i delitti oggetto dell’ordinanza ca itelare cronologicamente posteriore siano stati commessi antecedentemente alla data emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore.
La prima ipotesi è quella in cui le due (o più) ordinanze applicative di nisure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti-reato legati tra loro da un rap.:orto di concorso formale, continuazione o connessione teleologia (casi di connessione qualificata) ed in cui, per le imputazioni oggetto del primo provved mento coercitivo, non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio.
In questo caso trova applicazione la disposizione dettata dal primo reriodo dell’art. 297 comma 3, cod. proc. pen., secondo cui la retrodatazionc2 della decorrenza dei termini di durata della misura applicata successivamentE opera automaticamente e, dunque – come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte – “indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione dellE prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di de:,umere
dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure’ (cfr Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10- 11); detto automatismo risponde, infatti, all’esigenza “di mantenere la durata della cautelare nei limiti stabiliti dalla legge, anche quando nel corso delle i -dagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata” (cfr., C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89) ed opera solo se le ordinanze siano state emesse nello ;tesso procedimento penale.
La seconda ipotesi, come si è detto, rappresenta una variante della prima e riposa comunque sull’accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle estinte ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è caratterizzata dall’intervenuta emissione del decreto di ri lvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo; essa presupoone, inoltre, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti essendo peraltro irrilevante il fatto che siano frutto della “gemmazione’ da un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazion , 2 delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto aut)nome origini.
In tal caso risulta applicabile la regola dettata dal secondo periodo e Ell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., sicché la retrodatazione della decorrer za dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibi dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti c ggetto della prima ordinanza.
La terza ipotesi è, infine, quella in cui tra i fatti oggetto ci ?i due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione ovvero sia config rabile una forma di connessione “non qualificata”; si tratta, infatti, della ipotes frutt dell’intervento manipolativo operato dalla Corte Costituzionale con la sent( iza n. 408 del 2005 per effetto del quale la retrodatazione della decorrenza del t.rmine di durata massima della misura cautelare si applica “in tutti i casi in eJi, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze”; in tal caso il giudica deve, allora, verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare, non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare; con l’ulteriore precisazione secondo cui tal€ regola opera solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procecimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, occorre verificare che al momento della emissior e della
prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza e che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero (cfr., SS.UU. “Librato”; Sez. 1, n. 22681 del 27.5.2008, COGNOME).
Le tre ipotesi di cui si è dato conto, infine, sono tutte caratte izzate dall’imprescindibile presupposto comune rappresentato dal fatto che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi antecedentemente alla data emissione della ordinanza cal telare cronologicamente anteriore; siffatta condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associ izione di stampo mafioso con formula “aperta”, che indichi la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della perme, nenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (cfr., ad esempio,
Sez. 2, GLYPH n. 16595 del 06/05/2020, GLYPH Genidoni, GLYPH Rv. 279222 01; Sez. 6, n. 52015 del 17/10/2018, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 274511 01; Sez. 6, n. 15821 del 03/04/2014, GLYPH De GLYPH NOME, GLYPH Rv. 259771 01; Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, GLYPH Canzonieri, GLYPH Rv. 253237 01; Sez. 2, n. 34576 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 245256 – 01, in continuità co Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, Librato, Rv. 235910-01).
Da ultimo, va infine ribadito che la questione relativa alla retroda: zione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta ancìe nel procedimento di riesame, a condizione, tuttavia, che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione della successiva ordinanza cautelare il termine di durata complessivo fosse già scaduto (cfr., in tal senso, recenter lente, Sez. 2 , n. 37879 del 05/05/2023, Macrì, Rv. 285027 – 01, in cui la Co te ha precisato che l’indagato in stato di custodia cautelare, nei cui confronti sian ) stati adottati vari provvedimenti restrittivi della libertà personale e che assuma la sussistenza di un’ipotesi di “contestazione a catena”, non può impugnare d wanti al tribunale del riesame l’ulteriore ordinanza impositiva di misura cautelare, posto che la cosiddetta “contestazione a catena” non incide sul provvedimento in é, ma solo sulla decorrenza e sul computo dei termini di custodia cautelare, questioni che possono essere proposte al giudice che ha applicato la misura con istanza di scarcerazione ex art. 306 cod. proc. pen.; conf., Sez. 2, n. 13021 del 10/03,2015, Belgio, Rv. 262933 – 01; Sez. U, n. 45246 dei 19/07/2012, Polcino, Rv. 25:549 -01; conf. S.U. n. 45247/12, COGNOME, non massimata).
1.2 Questa premessa di natura generale era opportuna per dar conto della genericità del ricorso che, nel contestare – in termini, peraltro, a loro volt aspecifici – le considerazioni svolte dal Tribunale del Riesame (cfr., pacg. 4-5 dell’ordinanza impugnata), non consente di comprendere in quale delle va legate ipotesi di “retrodatazione” della misura dovrebbe farsi rientrare il casc che ci occupa.
Proprio la molteplicità delle situazioni disciplinate dal codice di rito, arricchita dagli interventi della Corte Costituzionale e ulteriormente dettagliata nella elaborazione giurisprudenziale, impone all’interessato, che invc chi la retrodatazione della data di decorrenza della misura in atto e la consejuente declaratoria di estinzione dei suoi effetti, di allegare e provare i relativi presupposti fattuali di operatività del meccanismo (cfr., in tal senso, ad es.2mpio, Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, COGNOME, Rv. 262577 – 01, in cui la Ccrte ha affermato che è onere della parte, che invoca la retrodatazione della decc rrenza del termine di custodia cautelare, provare la desumibilità dagli atti del primo procedimento del fatto di reato oggetto dell’ordinanza successiva, precisando che la parte, ai fini della desumibilità del fatto di cui alla seconda ordinanza, deve provare il deposito, all’interno del procedimento nel quale è stata emessa le prima ordinanza e al momento di emissione della stessa, dell’informativa final .! della polizia giudiziaria, contenente il compendio dei risultati investigativi, ovvero di note di P.G., rispetto alle quali la successiva informativa finale non presenti elementi di novità; conf., Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, COGNOME, Rv. ;63511 – 01, secondo cui la parte che nel procedimento di riesame invoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare ha ‘onere di fornire la prova della esistenza di una connessione qualificata e della desumibilità dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza già al mc mento dell’emissione del primo provvedimento, quali condizioni che legii: imano l’operatività della disciplina prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc pen.; Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, Spagnolo, Rv. 257827 – 01, in cui la Cc rte ha ribadito che p onere della parte che, nel procedimento di riesame, ivoca l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, in presenza di contestazioni a catena, fornire la prova dell’esistenza delle condizioni di applicazione di tale retrodatazione riferite al termine interamente scaduto al momento del secondo provvedimento cautelare e alla desurnibilità dall’ordinanza applicativa della misura di tutti gli elementi iEonei a giustificare l’ordinanza successiva). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
NOME COGNOME nel procedimento nel quale è stata adottata l’oni nanza oggetto dell’istanza di riesame, è indagato in relazione al capo 37), per il :elitto
di cui agli artt. 416 e 416-bis.1 cod. pen. commesso in Roma, Venezia e i altri luoghi in qualità di organizzatore e “… con condotta tuttora in atto” (cfr., pag. dell’ordinanza in verifica), con finalità di agevolazione delle famiglie di ca norra COGNOMECOGNOME e delle famiglie di ‘ndrangheta COGNOME e COGNOME oltre che della famiglia COGNOME a Roma; è inoltre indagato, al capo 15), per i reati di cui agli artt. 110, 648-bis e 416-6/5.1 cod. pen., commessi in Roma ed altrove tra l’agosto ed il dicembre del 2019, a loro volta aggravati dalla fina ità di agevolazione del clan COGNOME–COGNOME e del clan COGNOME di San Giorgio a Cremano.
Il Tribunale ha fatto presente che il difensore aveva eccepito la viola zione del meccanismo della “contestazione a catena” evocando, a tal fine, la intervenuta adozione di diverse misure relative ai medesimi fatti emesse dai Tribunali di F:oma’ Catanzaro e Napoli, la prima delle quali in data 8 aprile 2021 limitandosi, tuttavia,. ad indicare le ipotesi di reato senza precisarne la data ed il luogo di consumE zione né, tantomeno, le condotte omettendo, inoltre, di allegare le ordinanze di cui non era stata indicata nemmeno la data di rispettiva adozione (cfr., ong. 5 dell’ordinanza in verifica in cui il Tribunale ha segnalato che le misure precedentemente adottate non erano presenti nemmeno nel CD allegato alla memoria difensiva).
In tal modo, secondo i giudici romani, il Tribunale “… non è stato messo in grado di apprezzare – neppure in via di estrema approssimazione – se le condotte oggetto delle precedenti ordinanze cautelari emesse nei confronti del ricorrente siano effettivamente le medesime a lui contestate in questa sede o comunque se siano a queste anteriori ed avvinte alle stesse da un vincolo di connessione qualificata” (cfr., ivi).
Per altro verso, si legge nell’ordinanza qui impugnata, neppure è stato dedotto che “… il presente procedimento sia frutto di gemmazione rispetto a c uello pendente dinnanzi al Tribunale di Roma cui fa riferimento il difensore (di i non è neppure indicato il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato), m.2ntre la circostanza deve essere all’evidenza esclusa rispetto ai procedimenti pendenti dinnanzi a diversi uffici giudiziari, rispetto ai quali neppure è stato indicato !e sia o meno intervenuto il rinvio a giudizio” (cfr., ivi, ancora, pag. 5).
Ebbene, a fronte di siffatti rilievi, il ricorso si limita a reiterare le medesim considerazioni già sviluppate con la memoria depositata in sede di riesame .enza nemmeno tentare di contrastare le osservazioni del Tribunale in ordine al d fetto – prima ancora che di prova – di allegazione dei presupposti fattuali di applicE bilità dell’invocata normativa sulla “retrodatazione”; anche con riguardo al presup»osto fondante la impugnabilità dell’ordinanza di fronte al Tribunale del Rie;ame
(l’essere stata adottata quando i termini della precedente erano già decorsi), il ricorso (cfr., pag. 117) – nel ribadire il principio – non contiene alcun riferi-len alla perenzione dei termini di efficacia del provvedimento precedentenente adottato.
Non è inopportuno, a questo punto, richiamare, con riguard: alla documentazione “incorporata” nel ricorso, il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui non è ammissibile la produzione per la prima volta in SE de di legittimità di “documenti nuovi”, ovvero non facenti già parte del fascicolo, diversi da quelli di natura tale da non costituire “nuova prova” e da non esigere E lcuna attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte, perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazion€ Sez. 2, Sentenza n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv, 277609 – 01; Sez. 4, n. 3396 del 06/12/2005, dep. 2006, Rv. 233241; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Rv. 254302; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Rv. 266390; Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016, Rv. 267801).
In ogni caso, nemmeno in questa sede sono state prodotte le ordinanze precedenti e, a ben guardare, nemmeno il ricorso riporta in maniera specLica le imputazioni onde, per l’appunto, apprezzare il rapporto tra i provvecl menti precedenti e quello di cui qui si discute.
Il secondo motivo del ricorso è a sua volta assolutamente generic ).
2.1 La difesa, infatti, a fronte di un’ampia e dettagliata ricostruzione della vicenda operata dai giudici del Tribunale (cfr., pagg. 5-32 dell’orci nanza impugnata), si limita a lamentare che il Tribunale, nonostante la misura fosse stata adottata esclusivamente per i capi 15) e 37), avrebbe operato una completa rassegna dell’attività investigativa “senza tenere in alcuna considerazione le indicazioni probatorie della difesa del COGNOME …” (cfr., pag. 119 del ricorso ; ed è stato più volte ribadito, nella giurisprudenza di questa Corte, che è ínamm s.sibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del tribunale del rie.,;ame i cui motivi rinviino genericamente alle censure articolate nel precedente -.icto di gravame senza indicarne il contenuto, in quanto anche nella materia cautelare è necessario che il ricorso rispetti i necessari requisiti di specificità stabiliti dall 581, lett. c), cod. proc. pen., al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di lecittimit (cfr., Sez. 6, n. 11008 del 11/02/2020, COGNOME, Rv. 278716 01; Sez. 3, n. 13744 del 24/02/2016, COGNOME, Rv. 266782 – 01).
2.2 Altrettanto generica è la doglianza relativa alla valutazione delle esigenze cautelari ed alla scelta della misura.
Il Tribunale, infatti, ha ricordato che per i reati contestati op:-.n .a la presunzione di sussistenza delle stesse e di adeguatezza della sola misura custodiale di cui al comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen. “… non emergendo dagli atti elementi idonei a superarla”; con riguardo alla personalità del ricorrente ha considerato (cfr., pag. 31 dell’ordinanza) da un lato “… il suo inserimento in un ampio e radicato contesto criminoso in cui convergono gli interessi di una pliralità di consorterie di stampo mafioso, cui il COGNOME aveva di fatto stabirnente asservito al sua attività di imprenditore allo scopo di ricavare maggiori prcf.tti … finendo per avere assunto grande notorietà nell’ambiente criminale (la ‘gallina dalle uova d’oro” secondo la espressione utilizzata da COGNOME); ha considerato i precedenti penali del medesimo COGNOME, già condannato con sentenza definitiva del 12.9.2023 per reati della stessa specie (associazione per delinquere, emi ;sione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante ..lso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), e nei cui confronti pende altro procedimento per fatti di autoriciclaggio ed altri delitti fiscali tutti aggravati ex a 416-bis.1 cod. pen. (cfr., ivi, pag. 32).
I giudici del riesame hanno poi ritenuto che non fosse comprovata l’avvenuta esclusione dell’aggravante “mafiosa” da parte del Tribunale d Vibo Valentia, su cui la difesa aveva insistito, essendo stato prodotto soltanto il dispositivo e le dichiarazioni di alcuni testimoni, aggiungendo che, in ogni caso, si tratterebbe comunque di vicende diverse rispetto a quelle qui esaminate ed in cui emerge “… la contiguità del COGNOME ad una pluralità di associazioni di stampo mafioso, ivi incluso il clan COGNOME che proprio il ricorrente aveva menzionatc nella sua conversazione con il Canale ed il COGNOME del 17.11.2023 richiamando con orgoglio i rapporti di parentela intercorrenti con i suoi esponenti” (cfr., ander a, ivi, pag. 33).
L’ordinanza ha anche vagliato la presunzione relativa alla luce della distanza temporale dai fatti (cfr., pagg. 33-34) rilevando che lo stesso Cc ppola era stato detenuto per un periodo anche significativo non avendo mai dimo Arato di voler effettivamente modificare le sue condotte e propensioni di v ta; il ricorrente, ha osservato ancora il Tribunale, è stato anche deferito per ac cesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione dei detenuti proseguendo inoltre a delinquere mentre già pendevano nei suoi confronti altri procedimenti penali per fatti e condotte analoghe.
Sotto il profilo della attualità del rischio di reiterazione nel reato, i c iudi romani hanno evidenziato come, dalle indagini, fosse emersa la p tonta disponibilità ed adesione del Coppola ad ogni nuova proposta di “coilaboraHone” che gli veniva prospettata con altri sodalizi e ambienti criminali; hanno sp gatc)
che, in questo contesto, il ricorrente stava per acquisire la qualifica di operatore registrato anche per il deposito di RAGIONE_SOCIALE ed era in procinto di intraprendere una fruttuosa collaborazione con COGNOME per il deposito F.11i Vinello di Venezia.
In definitiva, il Tribunale ha spiegato che “proprio la intraprendenza e la biografia criminale del Coppola impediscono di valorizzare in suo favore il fat . .o che dal 19.3.2024 egli sia stato sottoposto a misure cautelari coercitive (il divieto di dimora nelle regioni Lazio e Campania e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria–) trattandosi di decisioni assunte in un frangente temporale n cui ancora non erano note le risultanze delle attività di indagine condotte nel presente procedimento penale” (cfr., pag. 34 dell’ordinanza).
Di conseguenza e proprio per questo “… si pone con evidenza proprio la necessità di precludere radicalmente ogni contatto con l’esterno … onde recidere la pluralità di rapporti criminosi dallo stesso intrattenuti, e neppure la misuri degl arresti domiciliari appare idonea a contenere il pericolo di recidiva, tenuto conto che il ricorrente ha già dimostrato di potere operare pure per il tramite di collaboratori e società intestate a prestanome …” (cfr., ivi, pag. 33 , non mancando, da ultimo, di argomentare in merito alla condizione di dedotta (in)compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute (cfr., ancoi -a, ivi, pagg. 34-35).
A fronte di questa articolata e puntuale motivazione, il ricorso si I mita a sottolineare che, al momento dell’adozione dell’ordinanza, il COGNOME era sottoposto a misure di natura non detentiva e ad evocare la necessità di una più rigorosa valutazione del profilo della attualità delle esigenze cautelari, come richiesta alla luce della disciplina introdotta con ia legge 47 del 2015 sottolir eando, sotto altro profilo, ma senza specificarne la rilevanza, la natura so,;: – Jettiva dell’aggravante “mafiosa” della “agevolazione” di sodalizi riconduc bili al paradigma delineato dall’art. 416-bis cod. pen..
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. per ., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo ragioni che consentano di escludere profili di colpEvolez:za nell’attivare l’impugnazione.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamenti: delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21.11.2024