Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3035 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3035 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 04/06/2001
avverso l’ordinanza del 16/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli il 4 giugno 2024 nei confronti di NOME COGNOME
Avverso la richiamata ordinanza, il DURO ha proposto ricorso per cassazione, con il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidandosi ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce inosservanza degli artt. 125 e 297, comma 3, cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta non retrodatazione da parte del Tribunale del Riesame dei termini massimi di custodia cautelare avendo riguardo all’ordinanza custodiale emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, nell’ambito di un differente procedimento, in data 26 luglio 2022 (procedimento che era stato definito con sentenza di condanna a 9 anni di reclusione, rideterminata in appello a seguito di concordato ex art. 599–bis cod. proc. pen. in anni sette di reclusione).
Rappresenta in particolare l’indagato che: a) il più recente titolo cautelare afferisce alla prospettazione accusatoria di cui al capo B) dell’imputazione provvisoria relativa al delitto di cui all’art. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e ottavo, cod. pen., commesso in concorso con altri soggetti, quale partecipe del gruppo camorristico con a capo la famiglia COGNOME e, in particolare, nella veste di addetto alla custodia della droga e del denaro, esercitando questa funzione anche mentre era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari con condotte accertate nel tempo e tuttora perduranti; b) il primo titolo cautelare in ordine di tempo si correlava a diversi episodi estorsivi risalenti al periodo che va dai mesi di febbraio a luglio dell’anno 2022, aggravati ex art. 416-bis, primo comma, cod. pen., per aver operato al fine di agevolare il clan COGNOME, del quale quello degli COGNOME costituiva articolazione.
Ciò premesso, la difesa del DURO evidenzia che, come documentato all’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame, l’iscrizione della notizia di reato per la vicenda cautelare successiva risale al mese di dicembre dell’anno 2020, mentre quella afferente la seconda vicenda cautelare al mese di luglio dell’anno 2022 e che nell’informativa riepilogativa della Squadra Mobile fondante l’adozione del titolo cautelare successivo erano confluite anche le attività svolte in ordine agli episodi estorsivi commessi sino al luglio del 2022.
Donde le estorsioni non sarebbero altro che delitti fine commessi nell’ambito del reato di partecipazione all’associazione mafiosa, rispetto al quale l’autorità
inquirente, quando aveva emesso la prima misura, disponeva già di elementi idonei a richiedere, anche per lo stesso, un provvedimento cautelare.
Nel descritto contesto lamenta che l’ordinanza impugnata è priva di un percorso giuridico-argomentativo atto ad escludere l’ipotesi, nella specie, di una “contestazione a catena”, in quanto essa sarebbe supportata da una laconica motivazione nella quale si fa riferimento alla natura di reato permanente a contestazione aperta del delitto associativo nel procedimento che aveva dato luogo all’emissione della seconda ordinanza cautelare, rispetto al quale, al momento dell’emissione della prima ordinanza, non risulterebbero elementi idonei a far ritenere cessata la permanenza anche per in ragione della commissione dei fatti posti a fondamento di essa.
La motivazione del Tribunale del Riesame, di qui, non si sarebbe confrontata con i rilievi difensivi con i quali aveva posto in risalto che la nuova contestazione era il contenitore di quella precedente, talché l’adozione frazionata delle ordinanze cautelari aveva reso in concreto possibile una dilatazione dei termini complessivi di custodia cautelare eludendo i termini di durata massima della misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Occorre premettere che il reato associativo è contestato, nel capo di imputazione provvisorio, quale commesso «con condotta perdurante» e, quindi, con riguardo ad un’epoca successiva all’esecuzione della prima ordinanza di custodia cautelare riguardante la vicenda delle estorsioni che hanno dato luogo, allo stato, ad una condanna in appello a sette anni di reclusione a carico del medesimo DURO.
1.2. In ordine alla tematica della “contestazione a catena” riguardante anche reati associativi, aventi natura permanente, e alla prosecuzione della condotta criminosa contestata dopo l’esecuzione della prima ordinanza – rispetto alla cui data di esecuzione si pretenda di far decorrere il termine di custodia della ordinanza “concatenata” – le Sezioni Unite (Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, Librato, Rv. 235910-01) hanno chiarito da tempo che la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste
nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza, precisando che soltanto rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. che prende in considerazione solo i “fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza”.
Questa posizione è stata ribadita anche successivamente dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 48109 del 19/07/2018, Giorgi, n.m. sul punto), le quali hanno sottolineato che «una diversa interpretazione avrebbe il poco comprensibile effetto di “coprire” con la retrodatazione la prosecuzione dell’attività criminale rispetto alla quale non potrebbero più essere utilizzate misure cautelari», pur con la precisazione che, a fronte di una contestazione aperta, «ben può il giudice o comunque l’indagato offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato (e di cessazione della permanenza)».
1.3. Di qui, nella successiva giurisprudenza di legittimità, si è evidenziato, in una situazione processuale analoga a quella in esame, che, in tema di c.d. “contestazioni a catena”, la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale deve essere effettuata la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con formula “aperta”, che indichi la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, COGNOME, Rv. 279222-01).
1.4. Alla luce del complesso dei richiamati principi, occorre considerare che, nel caso in esame, sebbene le concrete vicende cui si fa riferimento per giustificare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza rispetto al delitto associativo riguardino un periodo anteriore all’emanazione della prima ordinanza cautelare a carico del DURO, non è stato neppure dedotto nel ricorso un qualche elemento dal quale potesse desumersi il recesso dell’indagato dall’associazione
ovvero altre condotte idonee a far ritenere cessata la permanenza al momento dell’adozione del primo titolo cautelare. Solo tali circostanze, invero, a fronte di una contestazione “aperta” del reato associativo, avrebbero consentito una retrodatazione dei termini della custodia cautelare alla data della prima ordinanza.
Il ricorso deve dunque essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 2024
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Il Consigliere COGNOME
Il Presidente