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Consumo di gruppo: quando non esclude lo spaccio

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La difesa basata sul consumo di gruppo è stata respinta perché generica e non provata, confermando la condanna per detenzione ai fini di spaccio di un notevole quantitativo di cocaina.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Consumo di Gruppo vs Spaccio: La Cassazione Chiarisce i Limiti

La distinzione tra detenzione di stupefacenti per uso personale e quella finalizzata allo spaccio è una delle questioni più delicate del diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del consumo di gruppo, ribadendo i rigidi presupposti necessari per escludere la configurabilità del reato di spaccio. Nell’analizzare il caso, la Corte ha sottolineato come la semplice affermazione di aver acquistato droga per un uso collettivo non sia sufficiente a evitare una condanna, se non supportata da elementi concreti.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Roma, per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. L’imputato era stato trovato in possesso di 43,03 grammi di cocaina, una quantità ritenuta corrispondente a circa 178 dosi. La pena inflitta, tenuto conto del rito abbreviato e delle attenuanti generiche, era stata di due anni e otto mesi di reclusione, oltre a 12.000 euro di multa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica: Si chiedeva di derubricare il fatto da reato penale a illecito amministrativo (art. 75 D.P.R. 309/1990), sostenendo che la droga fosse stata acquistata per un consumo di gruppo e non per essere ceduta a terzi.
2. Mancato riconoscimento del fatto di lieve entità: In subordine, si lamentava il mancato riconoscimento della fattispecie attenuata dello spaccio di lieve entità, prevista dal comma 5 dell’art. 73 D.P.R. 309/1990.
3. Mancata applicazione di un’ulteriore attenuante: Infine, si contestava il mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dal comma 7 del medesimo articolo.

L’Analisi della Corte sul Consumo di Gruppo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando i motivi presentati come generici e aspecifici. I giudici hanno osservato che le censure non si confrontavano adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che era stata ritenuta logica, coerente e basata su prove concrete.

In particolare, riguardo al primo motivo, la Suprema Corte ha evidenziato come la tesi del consumo di gruppo fosse stata correttamente respinta dalla Corte territoriale. L’imputato si era limitato a dichiarare di aver acquistato lo stupefacente per cederlo a terzi in cambio di un corrispettivo, senza però specificare l’identità di questi soggetti. Secondo la giurisprudenza consolidata, per configurare il consumo di gruppo è necessario dimostrare che l’acquisto sia avvenuto su mandato di un gruppo predeterminato di assuntori, che l’acquirente sia uno di questi e che la droga sia destinata all’uso comune e non alla cessione indistinta. In assenza di tali prove, la detenzione di un quantitativo così ingente non può che essere qualificata come finalizzata allo spaccio.

La Decisione della Corte

La Cassazione ha concluso che il ricorso era inammissibile in tutti i suoi punti. L’impugnazione, secondo i giudici, si limitava a presentare censure generiche senza assolvere alla funzione di una critica argomentata contro la decisione di merito. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni

La motivazione principale della decisione risiede nella genericità del ricorso. La Corte ha applicato il principio secondo cui un ricorso per cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, ma deve individuare vizi logici o giuridici specifici nella sentenza impugnata. Nel caso di specie, la difesa non ha fornito elementi capaci di scalfire la coerenza del ragionamento dei giudici di merito, i quali avevano escluso l’ipotesi del consumo di gruppo sulla base di una valutazione precisa delle prove e delle dichiarazioni dell’imputato stesso. La mancanza di specificità su chi fossero i presunti membri del gruppo ha reso la tesi difensiva del tutto infondata e non meritevole di accoglimento.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale in materia di stupefacenti: per invocare la scriminante del consumo di gruppo, non basta una mera dichiarazione, ma è necessario fornire prove concrete che delineino i contorni di un acquisto collettivo e preordinato. In assenza di ciò, la detenzione di quantitativi non compatibili con un uso strettamente personale viene correttamente inquadrata nel reato di spaccio, con tutte le conseguenze penali che ne derivano. La decisione sottolinea l’importanza di presentare ricorsi specifici e ben argomentati, pena la loro inammissibilità e la condanna a ulteriori spese.

Quali sono i requisiti per configurare il consumo di gruppo e non lo spaccio?
Perché si configuri il consumo di gruppo, è necessario dimostrare che l’acquisto dello stupefacente avvenga da parte di un mandatario per conto di un gruppo predeterminato di assuntori, che l’acquirente sia uno di loro e che la sostanza sia destinata a un uso comune e contestuale, non a una cessione a terzi non identificati in cambio di denaro.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e aspecifico. Le argomentazioni non contestavano in modo puntuale e critico la motivazione della sentenza di appello, ma si limitavano a riproporre tesi già respinte, senza evidenziare specifici vizi logici o giuridici.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, in questo caso fissata in 3.000 euro, a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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