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Consumo di gruppo: quando è spaccio per la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La difesa sosteneva si trattasse di ‘consumo di gruppo’, ma i giudici hanno ritenuto che la cessione continuativa, pianificata e a scopo di lucro a una pluralità di acquirenti, anche minorenni, configuri inequivocabilmente il reato di spaccio.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Consumo di Gruppo o Spaccio? La Cassazione Chiarisce i Limiti

La distinzione tra consumo di gruppo di sostanze stupefacenti e vera e propria attività di spaccio è una linea sottile ma cruciale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, n. 6100/2024) ha ribadito con fermezza i criteri per distinguere le due fattispecie, confermando una condanna per spaccio nei confronti di un giovane che aveva cercato di inquadrare la sua condotta come un mero acquisto condiviso.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, ovvero la cessione di sostanze stupefacenti considerata di lieve entità. La condanna, emessa in primo grado, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Trento.
L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua attività non costituisse spaccio, bensì rientrasse nella fattispecie del consumo di gruppo. Secondo la sua tesi, egli si sarebbe limitato ad acquistare la droga per conto di un gruppo di persone, per poi consumarla insieme a loro.

La Tesi Difensiva e il Presunto Consumo di Gruppo

La difesa ha tentato di smontare l’accusa di spaccio basandosi sulla figura del consumo di gruppo. Questa ipotesi si verifica quando un acquirente agisce come mandatario di un gruppo di consumatori, acquistando la sostanza per tutti e con il denaro di tutti, al fine esclusivo del consumo personale collettivo. In tali circostanze, può mancare l’elemento tipico dello spaccio: la cessione a terzi con una finalità di profitto.
Tuttavia, affinché questa tesi possa reggere, è necessario che le modalità dei fatti dimostrino in modo inequivocabile la natura collettiva e non lucrativa dell’operazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e le motivazioni

La Suprema Corte ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso ‘manifestamente infondato’ e quindi inammissibile. I giudici hanno sottolineato come le prove raccolte, in particolare le comunicazioni intercorse tra l’imputato e gli acquirenti, delineassero un quadro del tutto incompatibile con il consumo di gruppo.

Le motivazioni della Corte si fondano su elementi fattuali concreti:

1. Reiterazione e Pianificazione: L’attività non era un episodio isolato, ma una serie di cessioni ‘reiterate nel tempo’, frutto di un’attività ‘continuativa e pianificata’. Questo dimostra un’organizzazione che va oltre il semplice acquisto collettivo occasionale.
2. Pluralità di Acquirenti: La droga veniva ceduta a una ‘pluralità di giovani acquirenti’, alcuni dei quali minorenni all’epoca dei fatti. Questo elemento amplia la portata della condotta e la allontana dall’idea di un gruppo ristretto e predefinito di amici.
3. Finalità di Lucro: Il contesto accertato era quello di uno ‘spaccio’ vero e proprio, tale da non consentire di ipotizzare una ‘finalità di lucro marginale’. La vendita organizzata implica necessariamente un guadagno, escludendo la gratuità tipica del consumo condiviso.

Sulla base di queste considerazioni, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito, che avevano escluso non solo la tesi del consumo di gruppo, ma anche la concessione delle circostanze attenuanti per il danno di lieve entità (art. 62, nn. 4 e 6 c.p.), poiché la pianificazione e il profitto erano ostativi alla loro applicazione.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito: non basta affermare di agire per un gruppo per evitare una condanna per spaccio. I giudici valuteranno attentamente le modalità concrete della condotta. La continuità dell’attività, il numero di acquirenti coinvolti, la pianificazione e, soprattutto, la presenza di un guadagno, anche se modesto, sono indicatori decisivi che trasformano un presunto consumo di gruppo in un’attività illecita di spaccio, con tutte le conseguenze penali che ne derivano. La decisione conferma quindi un orientamento rigoroso, volto a reprimere le forme organizzate di diffusione delle sostanze stupefacenti, anche quando mascherate da pratiche di condivisione.

Cosa distingue lo spaccio dal consumo di gruppo secondo questa ordinanza?
Secondo l’ordinanza, lo spaccio è caratterizzato da un’attività di cessione continuativa, pianificata e reiterata nel tempo, rivolta a una pluralità di acquirenti e mossa da una finalità di lucro non marginale. Il consumo di gruppo, invece, presuppone un acquisto congiunto per uso personale esclusivo e senza profitto.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché manifestamente infondato. Le prove, come le comunicazioni con gli acquirenti, dimostravano chiaramente una condotta di spaccio sistematica, rendendo la tesi del consumo di gruppo palesemente incompatibile con la realtà dei fatti emersi nel processo.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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