Consumo di Gruppo: Quando la Difesa non Regge in Cassazione
L’ipotesi del consumo di gruppo di sostanze stupefacenti è una linea difensiva spesso utilizzata per escludere il reato di spaccio. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di tale difesa, sottolineando come essa debba essere supportata da prove concrete e non possa reggere di fronte a elementi che indicano una chiara transazione commerciale. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso e il Percorso Giudiziario
La vicenda giudiziaria prende le mosse dalla condanna di un individuo da parte del Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato era stato ritenuto colpevole del reato di cessione di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990, e condannato a sei mesi di reclusione e 800 euro di multa.
Contro questa decisione, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la presunta erronea valutazione dei giudici di merito nell’escludere la configurabilità del consumo di gruppo. Secondo il ricorrente, la cessione della sostanza non era finalizzata allo spaccio, ma a un uso condiviso con l’acquirente.
La Decisione della Cassazione: Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e non in grado di scalfire la solida motivazione della sentenza impugnata. Gli Ermellini hanno evidenziato come il ricorso non rappresentasse una critica argomentata, ma si limitasse a riproporre censure già adeguatamente respinte nei precedenti gradi di giudizio.
L’assenza di Prove a Sostegno del Consumo di Gruppo
I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale. La versione dei fatti offerta dall’imputato, che sosteneva un accordo per un consumo condiviso, non ha trovato alcun riscontro probatorio. Anzi, era stata categoricamente smentita dalla testimonianza dell’acquirente. Quest’ultimo non solo non ha confermato la tesi del consumo comune, ma ha anche affermato di aver acquistato droga dall’imputato in diverse altre occasioni, delineando un rapporto non occasionale tra venditore e cliente.
La Dinamica Fattuale dello Scambio
Un elemento decisivo è stata la ricostruzione della scena a cui hanno assistito i militari. Essi hanno osservato una classica dinamica di spaccio: l’imputato che consegnava la sostanza e l’acquirente che, in cambio, gli dava del denaro. Questa sequenza, secondo la Corte, è palesemente incompatibile con l’idea di un acquisto congiunto finalizzato a un consumo comune.
Le Motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base di principi consolidati. In primo luogo, un ricorso per cassazione non può limitarsi a una generica doglianza, ma deve confrontarsi specificamente con le ragioni esposte nella sentenza che si intende impugnare. In questo caso, il ricorso era aspecifico e non criticava puntualmente il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito che la configurabilità del consumo di gruppo richiede la sussistenza di precise condizioni, che nel caso di specie erano del tutto assenti. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che, per poter parlare di uso di gruppo, è necessario dimostrare un mandato all’acquisto dato da tutti i partecipanti e la destinazione della sostanza all’uso esclusivo dei mandanti. Elementi, questi, completamente mancanti e anzi contraddetti dalle prove raccolte.
La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta immune da vizi logici o giuridici, in quanto basata su acquisizioni probatorie definite e significative che escludevano in modo netto l’ipotesi difensiva.
Conclusioni
La decisione in esame offre importanti spunti pratici. Dimostra che la tesi del consumo di gruppo, per essere accolta, non può basarsi su una mera affermazione di parte, ma deve essere supportata da un solido quadro probatorio. La presenza di uno scambio di denaro, unita alla testimonianza dell’acquirente che nega l’accordo per un uso condiviso e ammette precedenti acquisti, costituisce un ostacolo insormontabile per tale difesa. L’ordinanza ribadisce inoltre le conseguenze di un ricorso inammissibile: la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una cospicua somma alla Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver promosso un’impugnazione priva dei requisiti di legge.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è generico, aspecifico e non si confronta adeguatamente con le motivazioni della sentenza impugnata, omettendo di svolgere una critica argomentata e basandosi su censure non consentite in sede di legittimità.
Perché la Corte ha escluso la configurabilità del consumo di gruppo in questo caso?
La Corte ha escluso il consumo di gruppo perché mancavano le condizioni necessarie. La versione dell’imputato non trovava riscontro in quella dell’acquirente, il quale ha anzi confermato di aver acquistato droga in altre occasioni. Inoltre, la scena osservata dai militari era quella di una chiara cessione di droga in cambio di denaro, incompatibile con un consumo comune.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, salvo la presenza di ragioni di esonero.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23014 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23014 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a CARIATI il 06/01/1973
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro con cui è stata confermata la pronuncia del Tribunale di Castrovillari con cui era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 800 di multa, già ridotta per il rito abbreviato, in relazione al reato di cui all’ar 73 d.P.R. 309/1990 già riqualificato ai sensi del comma 5 dell’art. 73 cit.
Con il ricorso viene articolato un unico motivo con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con il quale si sollecita il potere della Corte di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’avevano indotto ad escludere l’uso di gruppo.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto tutti i profili di doglianza si concretano in censure non consentite dalla legge in questa sede di legittimità perché in tutto generiche e aspecifiche, che non si confrontano con la sentenza impugnata che, invece, reca appropriata motivazione, basata su definite e significative acquisizioni probatorie ed immune da vizi logico-giuridici.
In tal modo, l’impugnazione omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 (dep. 2017), COGNOME, Rv. 268822 – 01).
La Corte territoriale ha ben argomentato sull’esclusione della configurabilità dell’ipotesi del consumo di gruppo, in quanto nel caso di specie, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità, mancano le condizioni affinché possa essere riconosciuta, atteso che la versione offerta dall’imputato in sede di interrogatorio è non ha trovato riscontro in quella del COGNOME, l’acquirente della sostanza che nell’aver affermato di avere acquistato la droga dal Giardino, affermava di averlo fatto già in altre occasioni (cfr. Sez. 6, n. 37078/2007, Rv. 237274; Sez. 6, n. 31456/2004, Rv. 229272). La Corte, peraltro, non mancava di evidenziare che la scena a cui avevano assistito i militari era stata quella di Giardino che consegnava la droga e Presta invece,- i soldi, il che poco si conciliava con un comune consumo dello stupefacente da parte di entrambi.
Alla inammissibilità del ricorso a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 3.000, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 10 giugno 2025
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La esidente NOME
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