Consumazione Rapina: Basta un Istante di Possesso
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale: la consumazione rapina. Spesso si tende a pensare che, se il ladro viene fermato subito e la refurtiva recuperata, il reato possa essere considerato solo ‘tentato’. La Suprema Corte, con questa pronuncia, ribadisce un principio consolidato e di grande importanza pratica, chiarendo che per il perfezionamento del delitto è sufficiente un brevissimo lasso di tempo di possesso esclusivo del bene sottratto.
I Fatti del Caso: La Rapina e il Ricorso in Cassazione
Il caso nasce dal ricorso di un uomo, condannato dalla Corte d’Appello di Roma per il reato di rapina. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le motivazioni della sentenza d’appello fossero inadeguate e illogiche. A suo dire, non sussistevano tutti gli elementi costitutivi del reato, probabilmente puntando sul fatto che l’impossessamento della cosa sottratta non si era consolidato in una vera e propria fuga.
La Decisione della Corte sulla Consumazione della Rapina
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile perché manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, il ricorrente non ha evidenziato reali violazioni di legge o difetti di motivazione nella sentenza impugnata. Piuttosto, ha tentato di sollecitare una nuova valutazione dei fatti, un’operazione che non rientra nei poteri della Corte di Cassazione, la quale è giudice di legittimità e non di merito. La Corte ha ritenuto che la decisione d’appello fosse ben motivata, lineare e ancorata alle risultanze processuali.
Le Motivazioni: Quando si Perfeziona il Reato di Rapina?
Il cuore della decisione risiede nella corretta applicazione, da parte della Corte d’Appello, di un principio di diritto ormai consolidato. La Cassazione chiarisce che il reato di rapina si consuma nel momento esatto in cui la cosa sottratta entra nel dominio esclusivo del soggetto agente.
Questo significa che non sono necessari né un possesso prolungato né l’effettivo allontanamento dal luogo del delitto. Anche se l’impossessamento dura solo per un breve istante e avviene nello stesso luogo della sottrazione, il reato è da considerarsi consumato. Di conseguenza, è del tutto irrilevante che l’agente sia costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo, a causa dell’intervento della vittima, di terzi o delle Forze dell’Ordine. Il momento chiave è quello in cui la vittima perde il controllo sul bene e l’aggressore lo acquisisce, seppur fugacemente.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di notevole importanza. La distinzione tra rapina tentata e consumata non dipende dal successo della fuga o dal consolidamento del profitto. La linea di demarcazione è l’istante in cui si verifica l’impossessamento, ovvero la rottura del controllo della vittima sul bene e l’acquisizione dello stesso da parte del reo. Per la legge, anche un possesso di pochi secondi è sufficiente per considerare la rapina consumata, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di pena. L’esito infelice del colpo, con l’immediato recupero della refurtiva, non è sufficiente a declassare il reato a un semplice tentativo.
Quando si considera consumato il reato di rapina?
Il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per un tempo molto breve e nello stesso luogo in cui è avvenuta la sottrazione.
Se la refurtiva viene abbandonata subito dopo il fatto, il reato è solo tentato?
No. Secondo la Corte, il reato è pienamente consumato anche se il colpevole è costretto ad abbandonare la cosa sottratta subito dopo il breve impossessamento, a causa dell’intervento della vittima o delle Forze dell’Ordine.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato. Le critiche non evidenziavano reali violazioni di legge, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione, e reiteravano censure già ritenute infondate nel precedente grado di giudizio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34862 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34862 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME e i motivi aggiunti;
considerato che l’unico motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui II reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il brev impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della Forza pubblica (Sez. 2 Sentenza n. 14305 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269848 – 01);
considerato che la corte di appello ha adeguatamente motivato circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato;
a fronte di una motivazione adeguata, le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024.