Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 7004 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 7004 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME nato a SAN GIUSEPPE VESUVIANO il 01/08/1989
nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato a OTTAVIANO il 08/03/1976 – imputato. non ricorrente; inoltre: RAGIONE_SOCIALE – resp. civ., non ricorrente.
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza e trasmissione al giudice civile competente.
uditi i Difensori : è presente l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Santa Maria Capua Vetere, in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME dello stesso Foro, in difesa della parte civile COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso; sono presenti per l’imputato NOME COGNOME gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME entrambi del Foro di Nocera Inferiore, che chiedono la reiezione del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Napoli / il 27 maggio 2024 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dal Pubblico Ministero, con la quale il Tribunale di Torre Annunziata il 24 giugno 2022, all’esito del dibattimento, ha assolto NOME COGNOME dal reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina sulla circolazione stradale, per insussistenza del fatto.
Per una migliore intelligenza del ricorso, appare opportuno premettere quanto segue.
2.1.NOME COGNOME è stato accusato di avere cagionato la morte di NOME COGNOME per colpa consistita nella violazione degli artt. 145 e 154 del d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285: in particolare, per avere, alla guida di un’auto Fiat Multipla, effettuato il 26 settembre 2012 un’immissione proveniente da una traversa privata in una strada pubblica con diritto di precedenza, in un tratto rettilineo, dirigendosi verso sinistra, cagionando un impatto con la moto Honda guidata da NOME COGNOME deceduto a causa delle gravissime lesioni.
2.2. I giudici di merito hanno ritenuto la esclusiva responsabilità della vittima, che non indossava il casco e che guidava, di sera, alle 23.00 circa, una moto da cross priva di idonei sistemi di illuminazione, ma solo con due piccole luci di posizione, senza clacson, senza targa, con gomme dentate non omologate per l’asfalto, a velocità (80 km/h) superiore a quella consentita (50 km/h), viaggiando a ridosso della linea di mezzeria, così giungendo, senza tentare una frenata e, anzi, ancora in accelerazione addosso all’auto, che aveva quasi terminato la manovra di immissione e di svolta a sinistra che aveva correttamente intrapreso, non risultando in concreto visibile la moto, impattando con la ruota anteriore sulla lamiera tra i due sportelli lato sinistro. Le gravissime lesioni patite dal motociclista per effetto dell’urto lo hanno condotto a morte.
Ricorre per la cassazione della sentenza la parte civile NOME COGNOME tramite Difensore, affidandosi ad un unico, complessivo, motivo con il quale lamenta violazione di legge, con particolare riferimento al canone del’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, e vizio di motivazione, che sarebbe manifestamente illogica e frutto di travisamento della prova.
Il ricorrente, ripercorso l’antefatto e le vicende processuali, assume avere i decidenti trascurato e frainteso il contenuto della consulenza del P.M., redatta dal dott. NOME COGNOME il quale, sul presupposto fattuale, ammesso dallo stesso imputato, che la Fiat Multipla sia stata trovata nella stessa posizione in cui è avvenuto l’impatto e cioè con il muso quasi vicino – a circa 20/30 centimetri –
al marciapiede del lato opposto rispetto a quello da cui proveniva (come constatato anche dal Brig. dei C.C. Giordano) e con le ruote leggermente sterzate a sinistra, ne ha segnalato la improprietà, come se, ad es., il conducente intendesse effettuare una manovra di retromarcia o di parcheggio.
L’impugnazione, poi, pone in luce che la moto era dotata di due piccole luci anteriori funzion£, come sottolinea il teste NOME COGNOME e come si vede anche dalle fotografie, luci omologate per l’uso cui erano destinate (moto-cross).
Rammenta anche avere il consulente della parte civile riferito in udienza che, essendo stata trovata la motocicletta con la ruota che girava ancora, doveva essere innestata una marcia non superiore alla terza, che non consente di superare la velocità di 50 km/h, ed inoltre che la moto, siccome priva di silenziatore sulla marmitta, è molto rumorosa, sicchè era impossibile quantomeno – non sentirla arrivare.
Sottolinea che nei confronti del teste oculare NOME COGNOME il cui contributo dichiarativo è stato valorizzato dal Tribunale, pur senza motivare circa la sua ritenuta attendibilità, pende attualmente processo per falsa testimonianza innanzi all’A.G. di Torre Annunziata, avviato su denuncia della madre della vittima, sig.ra NOME COGNOME mentre – si pone in luce – la Corte di appello non ha preso in considerazione tale testimonianza.
Il contributo tecnico ricostruttivo nel caso di specie più affidabile risult essere quello del c.t. del P.M., erroneamente disatteso, anche tenendo conto che, come precisato dalla pronunzia di Sez. 3, n. 16458 del 18/02/2020, COGNOME NOME, non mass., che si richiama, la consulenza del P.M. sarebbe, in sostanza, più affidabile di quella delle parti private, poiché, pur non essendo svolta da un perito, ciononostante proviene da un ausiliario di un Magistrato che non è portatore di interessi di parte.
Inoltre, la lettura del verbale dei Carabinieri di Torre Annunziata del 26 settembre 2012 conforta, ad avviso del ricorrente, la ricostruzione secondo cui vi sarebbe un concorso di colpa dell’imputato, che, accingendosi ad immettersi sulla strada principale, in un tratto diritto e con illuminazione sufficiente, attes l’ora ed il luogo, svoltando a sinistra, non potrebbe non avere visto e, comunque, non potrebbe non avere sentito la moto, che era dotata di luci ed il cui motore emetteva un rombo fortissimo.
Dal contenuto del referto del Pronto soccorso relativo all’imputato si desumerebbe come il teste COGNOME abbia mentito allorchè ha affermato di avere accompagnato il cognato al Pronto soccorso perché sanguinante, in quanto di ferite a carico di NOME non vi è traccia nel riferito documento sanitario.
L’imputato, ad avviso della ricorrente parte civile, avrebbe mentito in più punti, come emerge anche dal confronto con le parole del teste NOME COGNOME
Significativo, peraltro, che l’imputato abbia ammesso di avere, forse, preso la curva “troppo larga”, in qualche modo «in coscienza, rendendosi conto che comunque una colpa l’aveva, o forse affermato ciò pensando che in questo modo poteva giustificare la sua condotta» (così alla p. 17 del ricorso).
Si richiama, infine, precedente di legittimità stimato pertinente secondo cui il conducente del veicolo tenuto a cedere la precedenza nell’impegnare un incrocio deve usare prudenza e diligenza per eseguire in sicurezza la manovra di attraversamento, non potendo fare affidamento sul fatto che i veicoli favoriti siano a loro volta gravati dall’obbligo di rallentare in prossimità dell’incrocio, perchév la eccessiva velocità di questi ultimi, se non costituisce un fatto sopravvenuto, può rappresentare solo una causa concorrente nell’incidente eventualmente occorso, di per sé, però, non sufficiente ad escludere la responsabilità del conducente tenuto a dare la precedenza; ritenendo sussistere un comportamento colposo dell’imputato concausativo della morte di NOME COGNOME si chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
Il Difensore dell’imputato /il 15 novembre 2025, ha chiesto la discussione.
5.E’ pervenuta il 14 dicembre memoria della parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
Il ricorso è essenzialmente costruito in fatto e, per contestare la ricostruzione svolta e le valutazioni operate dai giudici di merito nella doppia conforme, estrapola passaggi di istruttoria, nemmeno riferiti nella interezza, da cui emergerebbe, in tesi, uno scenario parzialmente diverso.
2.1. Ebbene, sulla dinamica della manovra di svolta a sinistra e di immissione della Fiat Multipla il Tribunale (più diffusamente: alle pp. 6-7) e la Corte di appello (alle pp. 4 e 6) hanno risposto adeguatamente, replicando alle censure della Difesa della parte civile, ed escludendo espressamente che la Fiat Multipla stesse facendo una manovra anomala di retromarcia o di parcheggio, come sembra ipotizzare il consulente del P.M. Al riguardo, i giudici di merito hanno osservato quanto segue: 1j al di là del marciapiede, sul lato opposto a quello di provenienza, non vi è una strada da imboccare; OD appare inverosimile che NOME abbia spostato la macchina, che era già parcheggiata in una traversa privata, essendo andato in vista al suocero, al fine di parcarla sul marciapiede opposto della strada pubblica; come logicamente spiegato dal c.t. della
Difesa ing. NOME COGNOME la posizione della Fiat Multipla e delle ru quasi dritte e vicine al marciapiede, era una conseguenza della violen dell’impatto, che aveva causato uno sbalzo in avanti. Si tratta di valutaz congrue e logiche.
Ed anche~la presenza delle luci anteriori della moto, pacificament ritenute non idonee per la guida sulla strada (sentenza di appello pp. sentenza del Tribunale, p. 9), è, non illogicamente né incongruamente, spiega – alla p. 6 della decisione impugnata – nel senso che, essendo molto fioc potevano confondersi con altre luci presenti ai lati della strada.
Risulta, poi, irrilevante che un testimone sia imputato, in un altro proc di cui si ignora e la contestazione e l’eventuale esito, per falsa testimonianz
2.2. Il ricorrente censura in modo particolare la sentenza nella parte in non ha integralmente fatto proprio il contenuto della consulenza del P.M. postula che il consulente del P.M. sia, per così dire, “ontologicamente” attendibile degli altri consulenti di parte, sottintendendo che i consule qualsivoglia parte siano, assiomaticamente, meno attendibili del perito nominat dal giudice (pp. 13-14 del ricorso).
L’atto di impugnazione sul punto fa riferimento alla pronunzia di Sez. 3, 16458 del 18/02/2020, COGNOME NOME, cit., nella cui motivazione, richiamata per stralcio, si rinviene il seguente passaggio (“considerato in dir p. 4):
« lamenta la difesa che alla consulenza del PM i giudici abbiano tributato maggiore attendibilità rispetto all’elaborato del proprio consulente, ma non chiarisce quali diversi accertamenti fossero stati svolti da quest’ultimo per arrivare a definire l’intervento edilizio in esame come opera di “restauro e risanamento conservativo” di cui alla lett. c) del citato art. 3 , tale da escludere la demolizione della struttura rurale preesistente: il ricorso non affronta in alcun modo il punto cui la Corte di Appello ha correttamente conferito rilievo dirimente, ovverosia la modifica della sagoma originaria, limitandosi a riportare le difformi conclusioni del proprio di parte, che non risultano tuttavia supportate dal necessario fondamento. La sola generica conclusione del consulente della difesa non è certamente sufficiente a superare le avverse conclusioni di altra indagine, occorrendo invece che, alle argomentazioni specifiche del perito o del consulente tecnico del pubblico ministero che la Corte salentina ha privilegiato in ragione dell’avvenuto esame dello stato dei luoghi, vengano contrapposte specifiche controargomentazioni tecniche o scientifiche.
Di nessuna censura è perciò passibile la sentenza impugnata per essersi allineata alle conclusioni tratte dal consulente PM, che non solo non risultano
contrastate con rilievi precisi e circostanziati svolti dalla perizia prodotta dall difesa, che era onere del ricorrente indicare specificamente, ma che comunque, pur costituendo anch’esse il prodotto di un’indagine di parte, devono ritenersi assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa.
Come condivisibilmente affermato da un precedente arresto di questa Corte non può prescindersi dal ruolo precipuo rivestito dall’organo dell’accusa e dal. suo diritto/dovere di ricercare anche le prove a favore dell’indagato, come stabilito dall’art. 358 c.p.p.: “k è vero che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico ministero, in assenza di contraddittorio e soprattutto in assenza di terzietà, è tuttavia altrettanto vero che il pubblico ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della verità – concretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità – dovendosi necessariamente ritenere che il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni” (Sez. 2, n. 42937 del 24/9/2014, non massimata).
E’ del resto dallo stesso ruolo di ausiliario dell’organo che lo ha nominato che discende la qualifica di pubblico ufficiale del consulente nominato dal PM nel corso delle indagini preliminari, il cui elaborato, pur non potendo essere equiparato alla perizia disposta dal giudice del dibattimento, è pur sempre il frutto di un’attività di natura giurisdizionale che perciò non corrisponde appieno a quella del consulente tecnico della parte privata. Gli esiti degli accertamenti e delle valutazioni del consulente nominato ai sensi dell’art. 359 cod. proc. pen. rivestono perciò, proprio in ragione della funzione ricoperta dal Pubblico Ministero che, sia pur nell’ambito della dialettica processuale, non è portatore ,di interessi di parte, una valenza probatoria non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio.
Discende da tali rilievi che, a fronte di apprezzamenti tecnico scientifici forniti dal consulente del PM non intrinsecamente illogici o contraddittori e in sé non inattendibili, e comunque nella specie non specificamente confutati dal consulente della difesa, il giudice non fosse tenuto, come del resto si desume dal combinato disposto degli artt. 224 e 508 cod. proc. pen., a disporre alcun accertamento peritale, del tutto inutile per l’accertamento dei fatti e per la speditezza del processo».
Il precedente richiamato nella pronunzia in questione è quello di Sez. 2, n. 42937 del 24/09/2014, COGNOME Antonio, non mass. (sub n. 7 del “considerato in diritto”, pp. 4-6), che così testualmente argomenta:
«Inammissibile è il primo motivo di doglianza per assoluta genericità.
Con riferimento al primo profilo dedotto, rileva il Collegio come non risponde al requisito della specificità il motivo di ricorso con il quale si denunci un difet di motivazione sulla base del mero richiamo alle non accolte conclusioni di una consulenza tecnica di parte senza indicare in modo circostanziato quali fossero i passaggi di detta consulenza che si ponevano in contrasto con le risultanze di altra consulenza tecnica (nella specie, quella del pubblico ministero) ovvero della perizia, giacché il principio di autosufficienza del ricorso richiede che per le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di ta atti investiti dal gravame e sia indicata la rilevanza della questione.
In generale, le consulenze tecniche provenienti dalla difesa non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese. È anche vero che, quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella perizia ovvero Atlella consulenza tecnica del pubblico ministero ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, può ricorrere il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Tuttavia, qualora ricorra siffatta ipotesi, costituisce onere del ricorrente indicare specificamente i passaggi della consulenza di parte che in maniera circostanziata si ponevano in contrasto con le risultanze della consulenza tecnica del pubblico ministero ovvero della perizia d’ufficio, perché la sola generica conclusione difforme del consulente della difesa non è sufficiente a superare le avverse conclusioni di altra indagine, occorrendo invece che, alle argomentazioni scientifiche del perito o del consulente tecnico del pubblico ministero che la Corte ha privilegiato a ragione dell’avvenuto esame, da parte di quest’ultimo, della persona offesa (esame che, invece, è mancato da parte del consulente tecnico della difesa), vengano contrapposte specifiche controargomentazioni scientifiche. Il nuovo testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotto dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, infatti, nel fare riferimento ad “atti del processo” che devono essere “specificamente indicati” dal ricorrente, detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581 cod. proc. pen., lett. c) – secondo cui i motivi d’impugnazione devono contenere l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta – con l’effetto di porre a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli stessi (integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, allegazione in copia, precisa indicazione della collocazione dell’atto nel fascicolo processuale, ecc.) (Cass., Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il mero richiamo nel ricorso alle diverse conclusioni cui è giunto il consulente di parte, perciò, non costituisce specifico motivo di gravame, giacché il principio di autosufficienza del ricorso richiede che per le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano riportati i punti di questi atti investiti del gravame e indichi la rilevanza della questione (più precisamente, nel ricorso andava indicato quali specifiche confutazioni il consulente di parte volgeva nei confronti delle argomentazioni del perito per giungere a delle conclusioni incompatibili con quelle del perito).
Ciò premesso, va evidenziato come il tema dell’attribuzione di “priorità” delle conclusioni assunte dal consulente tecnico del pubblico ministero rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa involga, più in generale, la discussione sulla natura stessa dell’organo dell’accusa e del suo diritto/dovere di ricercare anche le prove a favore dell’indagato, come stabilito dall’art. 358 cod. proc. pen.
Se è vero che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico ministero, in assenza di “contraddittorio” e soprattutto in assenza di “terzietà”, è tuttavia altrettanto vero che il pubblico ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della verità concretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità – dovendosi necessariamente ritenere che il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni. Condivisibile è quindi l’orientamento di taluni giudici di merito secondo i quali “l’esame, cui il consulente nominato ex art. 233 cod. proc. pen. può essere sottoposto ai sensi dell’art. 501 cod. proc. pen., ha proprio il fine di consentire l’acquisizione probatoria degli esiti delle sue indagini e delle sue valutazioni. Dunque, la perizia può anche non essere disposta allorché gli esiti dell’esame del consulente di parte appaiano soddisfacenti; in tal caso, l’espletamento dell’accertamento peritale costituirebbe soltanto un dispendio di tempi e di risorse, inutile per l’accertamento dei fatti e per la speditezza del processo. Il giudice del dibattimento è tenuto, a norma dell’art. 508 cod. proc. pen., a disporre perizia non già in ogni caso in cui vi sia stata consulenza tecnica di parte, ma solo allorché, escusso il consulente di parte ed acquisito d’ufficio il suo elaborato, i dati e le valutazioni tecnico scientifiche fornite non appaiano attendibili, o in sè, in quanto intrinsecamente illogiche e contraddittorie, o a seguito delle domande delle parti in sede di esame e controesame” (in questi termini, Trib. Lecce, 3 gennaio 1992, Conversano ed altro).
Appare consequenziale quindi ritenere che l’operato dei consulenti tecnici del pubblico ministero (pubblici ufficiali), chiamati ad “affiancare” quest’ultimo come
soggetti condizionati solo dalla ricerca della verità “in scienza e coscienza”, in una posizione che, pertanto, non corrisponde appieno a quella del consulente tecnico della parte privata, possa e debba essere rivalutato solo a fronte di gravi carenze logiche o contraddizioni, di rapporti (in positivo o in negativo) peculiari con le parti processuali, o in quanto espressivo di non sufficiente competenza.
Fermo quanto precede, l’assenza di taluna di dette ipotesi che potremmo definire come “sospette” sotto il profilo della competenza ovvero dell’indipendenza di giudizio, la presenza di una ulteriore giustificazione circa la rilevata priorità di scelta delle valutazioni del pubblico ministero e la mancanza di concrete e circostanziate censure da parte del ricorrente sulle conclusioni assunte dal consulente tecnico del pubblico ministero giustificano ed impongono l’anticipata valutazione di inammissibilità del profilo di doglianza sollevato».
2.2.1. Osserva il Collegio quanto segue.
In primo luogo, in entrambi i precedenti richiamati (Sez. 3, n. 16458 del 18/02/2020, COGNOME; Sez. 2, n. 42937 del 24/09/2014, COGNOME) la Corte di cassazione ha disatteso i rilievi dei ricorrenti ritenendo aspecifiche le censure mosse all’elaborato del consulente del P.M. sulla base del mero richiamo alle non accolte conclusioni di una consulenza tecnica di Parte privata senza indicare in modo circostanziato quali fossero i passaggi di detta consulenza che si ponevano in contrasto con le risultanze di quella effettuata su incarico della Parte pubblica.
Dopo tale affermazione, già di per sé tranchant rispetto alle questioni poste e risolutiva, entrambe le sentenze di legittimità citate hanno svolto ulteriori considerazioni – non strettamente indispensabili rispetto al tema, già risolto sostanzialmente ad adiuvandum, sostenendo esistere una «”priorità” delle conclusioni assunte dal consulente tecnico del pubblico ministero rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa», “priorità” derivante dalla collocazione ordinamentale del Pubblico Ministero, Magistrato e quindi tenuto, per “statuto professionale”, all’imparzialità e ad indagare ” a 360 gradi”, come dimostra la previsione dell’art. 358 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 42937 del 24/09/2014, COGNOME, cit., p. 5) ed inoltre «non portatore di interessi di parte , una valenza probatoria non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio» (così Sez. 3, n. 16458 del 18/02/2020, COGNOME, cit., p. 4).
Si tratta, dunque, evidentemente non già di principi di diritto fissati dalla S.C. nell’esercizio della funzione nomofilattica (art. 173, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.) ma di argomenti svolti incidentalmente nella parte motivazionale delle sentenze per completare un ragionamento, peraltro già di per sé compiuto, ai fini della decisione della questione nell’occasione sottoposta alla S.C.
2.2. Nel merito, i due precedenti richiamati contengono considerazioni dissonanti rispetto al costante – e condivisibile – orientamento della S.C.
Si è, infatti, a più riprese osservato come il giudice ben possa e debba, ove maturi convincimento in tal senso: discostarsi dalle conclusioni raggiunte ‘dal perito (ex plurimis, Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, COGNOME e altri, Rv. 271924; Sez. 2, n. 43923 dell’11/10/2013, Mosca, Rv. 257313; Sez. 1, n. 2268 del 18/12/1991, dep. 1992, Rv. 191116; Sez. 4, n. 7591 del 20/04/1989, COGNOME, Rv. 181382); scegliere quella che ritiene maggiormente condivisibile tra le tesi sostenute dal perito e dai consulenti di parte (tra le numerose, Sez. 5, n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283807; Sez. 3, n. 13997 del 25/10/2017, dep. 2028, COGNOME, Rv. 273159; Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, COGNOME, Rv. 241907); ovvero, in assenza di una perizi0.0i ufficio, aderire ad una tra le tesi prospettate dai consulenti delle Parti (ex multis, Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, COGNOME, Rv. 263435; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, COGNOME, Rv. 253512); naturalmente, in ogni caso, fornendo idonea motivazione.
2.2.3. Le riferite affermazioni trascurano, inoltre, l’attuale e consolidato “stato dell’arte”, in cui non può affermarsi una ontologica prevalenza delle opinioni del perito su quelle di tutti i consulenti, con una primazia, tra di essi, d quelle del c.t. nominato dal P.M. in ragione della previsione dell’art. 358 cod. proc. pen. (ove, peraltro, la emersione a livello di diritto positivo dei requisiti indipendenza e di imparzialità del Magistrato sarebbe da individuare negli artt. 107-108 Cost. e nelle norme di ordinamento giudiziario, piuttosto che nel richiamato art. 358 cod. proc. pen., che ne disciplina una conseguenza, ossia: essendo il P.M. indipendente ed imparziale, ergo deve svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato). Ben altri, e più complessi, infatti, sono gli approdi cui è giunta da tempo la giurisprudenza di legittimità in tema di introduzione e di impiego nei processi del c.d. “sapere esperto”.
In tema di acquisizione al processo di informazioni scientifiche attendibili si è puntualizzato quanto segue (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, n. 7 dei “motivi della decisione”, pp. 12-13):
«Questa Suprema Corte (Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, COGNOME, Rv. 248943) ha già avuto modo di porre in luce i pericoli che incombono in questo campo: la mancanza di cultura scientifica dei giudici, gli interessi che talvolta stanno dietro le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali oppure occulte tra i membri di una comunità scientifica; la provvisorietà e mutabilità delle opinioni scientifiche; addirittura, in qualche caso, la manipolazione dei dati; la presenza di pseudoscienza in realtà priva dei necessari connotati di rigore; gli interessi dei committenti delle ricerche. Tal é situazione rende chiaro che il giudice non può certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere
scientifico, ma deve svolgere un penetrante ruolo critico, divenendo (come è stato suggestivamente affermato) custode del metodo scientifico.
Si è pure posto in luce che il primo e più indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilità delle informazioni scientifiche che vengono utilizzate nel processo è costituto dall’apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all’indipendenza di giudizio dell’esperto. Tuttavia, ciò può non bastare. Infatti non si tratta tanto di comprendere quale sia il pur qualificato punto di vista del singolo studioso, quanto piuttosto di definire, ben più ampiamente, quale sia lo stato complessivo delle conoscenze accreditate.
Pertanto, per valutare l’attendibilità di una tesi occorre esaminare gli studi che la sorreggono; l’ampiezza, la rigorosità, l’oggettività delle ricerche; il grado di consenso che l’elaborazione teorica raccoglie nella comunità scientifica. Inoltre, è di preminente rilievo l’identità, l’autorità indiscussa, l’indipendenza de soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove. Insomma, dopo aver valutato l’affidabilità metodologica e l’integrità delle intenzioni, occorre infine tirare le fila e valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato.
Naturalmente, il giudice di merito non dispone delle conoscenze e delle competenze per esperire un’indagine siffatta: le informazioni relative alle differenti teorie, alle diverse scuole di pensiero, dovranno essere veicolate nel processo dagli esperti. Costoro, come si è accennato, non dovranno essere chiamati ad esprimere (solo) il loro personale seppur qualificato giudizio, quanto piuttosto a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l’indagine. Di tale indagine il giudice è infine chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e fornendo razionale spiegazione, in modo completo e comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto. Si tratta di indagine afferente alla sfera del fatto e dunque rimessa alla valutazione del giudice di merito; mentre il controllò di legittimità attiene solo alla razionalità ed alla rigorosità dell’apprezzamento compiuto.
Alla stregua di quanto precede risulta chiarito e nobilmente enfatizzato il ruolo di peritus peritorum tradizionalmente conferito al giudice. Nessuna rivendicazione di potere e di supremazia. Piuttosto, l’indicazione di un metodo. Il giudice, con l’aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che può orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a
ragione ed umanamente plausibile: il più alto ed impegnativo compito conferitogli dalla professione di tecnico del giudizio. Il perito non è più (non avrebbe mai dovuto esserlo!) l’arbitro che decide il processo, ma l’esperto che f)1 espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito n –ciii il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enunciati della scienza o della tecnologia. Tutto ciò ha a che fare con i temi della legalità, della determinatezza e della colpevolezza. Si vuol dire che l’ontologica “terzietà” del sapere scientifico accreditato è lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettività e concretezza al precetto ed al giudizio di rimprovero personale».
E già il dictum (espressamente richiamato, come si è visto, dal precedente di legittimità appena citato) di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, COGNOME ed altri, aveva preso posizione, ancora con maggiore approfondimento argomentativo, sul tema della centralità del sapere scientifico, sulle modalità di introduzione dello stesso nel processo, sul significato da attribuire al tradizionale brocardo iudex peritus peritorum e sul ruolo del giudice, vero e proprio “custode e garante della scientificità della conoscenza fattuale espressa dal processo” (cfr. punti nn. 14-17 dei “motivi della decisione”, pp. 36-50): nell’occasione la Corte di legittimità, tra l’altro, aveva posto in luce che, in tema di utilizzazione del sapere scientifico nel processo penale, «occorre in primo luogo considerare che il problema della prova scientifica prende corpo quando l’inferenza probatoria che è alla base dell’accertamento del fatto non può essere articolata sulla base di conoscenze ordinarie, del sapere diffuso» e che la valutazione delle emergenze istruttorie «attiene al fatto, è al servizio dell’attendibilità dell’argomentazione probatoria ed è dunque rimessa al giudice di merito che dispone, soprattutto attraverso la perizia, degli strumenti per accedere al mondo della scienza. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema è chiamato ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime»» (così sub n. 14, pp. 36-37, di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, COGNOME ed altri). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si tratta di condivisibili affermazioni, in plurime occasioni ribadite dalla giurisprudenza di legittimità, tra cui Sez. 4, n. 36149 del 07/07/2021, COGNOME ed altro, non mass. (sub n. 2.2. del “considerato in diritto”, pp. 12-17), e Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271668, che ha puntualizzato quanto segue (sub nn. 2-3 del “considerato in diritto”, pp. 4 e ss.):
« l’art. 220 cod. proc. pen, prevede l’espletamento della perizia ogniqualvolta sia necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze di natura tecnica. La specificità delle competenze va rapportata alle conoscenze ordinarie dell’uomo medio. La perizia va dunque disposta allorché occorrano competenze che esulano dal patrimonio
conoscitivo dell’uomo medio, in un dato momento storico e in un dato contesto sociale (Cass., Sez. 1, n. 11706 dell’11-11-1993, Rv. 196075). Lo svolgimento di indagini comprende la ricerca e l’estrapolazione di dati da una determinata realtà fenomenica nonché la loro analisi e rielaborazione critica. L’acquisizione di dati implica la rilevazione, selezione e organizzazione di dati già esistenti, in modo funzionale rispetto alle richieste del giudice. L’acquisizione di valutazioni comprende l’individuazione ed enunciazione di nozioni e di regole tecniche, di leggi scientifiche, di massime di esperienza e di inferenze fondate su dati già acquisiti mediante altri mezzi di prova o direttamente ottenuti attraverso le operazioni peritali. È vero pertanto che l’ammissione della perizia è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice (Cass., Sez. 6, n. 34089 del 7-7-2003; Sez. 5, n. 22770 del 15-4-2004). Tuttavia non si può prescindere dal rilievo che la perizia rappresenta un indispensabile strumento probatorio, allorché si accerti il ricorrere del presupposto inerente alla specificità delle competenze occorrenti per l’acquisizione e la valutazione di dati, perfino laddove il giudice possieda le specifiche conoscenze dell’esperto, perché l’eventuale impiego, ad opera del giudicante, della sua scienza privata costituirebbe una violazione del principio del contraddittorio e del diritto delle parti sia di vedere applicato un metodo scientifico sia di interloquire sulla validità dello stesso (Cass., Sez. 5, n. 9047 del 15-6-1999, Rv. 214295). L’ontologica terzietà del sapere scientifico accreditato è lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettività e concretezza al precetto e al giudizio di rimprovero personale. È ben vero infatti che al giudice è attribuito il ruolo di peritus peritorum. Ma ciò non lo autorizza affatto ad intraprendere u; – ) percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum abilita invece il giudice a individuare, con l’aiuto dell’esperto, il sapere accreditato che può orientare la decisione e a farne un uso oculato, pervenendo a una spiegazione razionale dell’evento. Il perito non è l’arbitro che decide il processo ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito fenomenologico al quale attiene il giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito, nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabll degli enunciati a cui è possibile addivenire, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili in un dato momento storico. Toccherà poi al giudice tirare le fila e valutare se si sia addivenuti a una spiegazione dell’eziologia dell’evento e delle dinamiche in esso sfociate sufficientemente affidabile e in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni, che possano supportare adeguatamente l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Il sapere scientifico costituisce infatti un Corte di Cassazione – copia non ufficiale
indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, il quale dovrà però valutare l’autorità scientifica dell’esperto nonché comprendere se gli enunciati che vengono proposti trovino comune accettazione nell’ambito della comunità scientifica (Cass., Sez. 4, n. 43796 del 17-9-2010, Rv. 248943). Il giudice deve dunque esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l’ampiezza, la rigorosità e l’oggettività della ricerca; l’attitudin esplicativa dell’elaborazione teorica nonchè il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunità scientifica (Cass., Sez. 4, n. 18678 del 14-3-2012, Rv. 252621), fermo rimanendo che, ai fini della ricostruzione del nesso causale, è utilizzabile anche una legge scientifica che non sia unanimemente riconosciuta, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità delle conoscenze scientifiche (Sez. U., 25-1-2005, Rv. 230317; Cass., Sez. 4, n. 36280 del 21-6-2012, Rv. 253565). Di tale indagine il giudice è chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate e fornendo una razionale giustificazione, in modo completo e, il più possibile, comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto. Si tratta di accertamenti e valutazioni di fatto, insindacabili in cassazione, ove sorretti da congrua motivazione, poiché il giudizio di legittimità non può che incentrarsi esclusivamente sulla razionalità, completezza e rigore metodologico del predetto apprezzamento. Il giudice di legittimità, infatti, non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate (Cass., Sez. 4, n. 1826 del 19-10-2017), di talchè esso non può, ad esempio, essere chiamato a decidere se una legge scientifica, di cui si postuli l’utilizzabilità nell’inferenza probatoria, sia o meno fondata ( Cass., Sez. 4, n. 43786 del 17-9-2010, cit.) La Corte di cassazione ha invece il compito di valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico scientifico, che riguarda la preliminare e indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione de fatto (Cass., Sez. 4, n. 42128 del 30-9-2008)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.4. Ebbene, facendo applicazione dei richiamati principi, nella nuova più completa e matura – accezione del tradizionale brocardo iudex peritus peritorum, connotata, come si è visto (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, cit., p. 13), da «Nessuna rivendicazione di potere e di supremazia. Piuttosto, l’indicazione di un metodo. Il giudice, con l’aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che può orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile: il più alto ed impegnativo compito conferitogli dalla professione di
tecnico del giudizio. Il perito non è più (non avrebbe mai dovuto esserlo!) l’arbitro che decide il processo, ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito cui il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enuncia della scienza o della tecnologia», non vi è spazio per automatismi decisori. E nemmeno vi può essere spazio per affidamenti, che rischiano di essere fideistici, sulla maggiore persuasività di un elaborato peritale per il solo fatto della legittimazione derivata dallo statuto professionale del soggetto conferente l’incarico. Invece, i saperi esperti introdotti nel processo da periti e consulenti dovranno tutti essere oggetto di prudente e motivato apprezzamento del giudice, che, nel “tirare le fila” del ragionamento, dovrà farsi carico delle aporie emerse ed esplicitare le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate per pervenire alla spiegazione maggiormente razionale dell’evento.
Per tali ragioni, non può affermarsi con l’assolutezza che connota il motivo di ricorso sullo specifico punto che il contenuto della consulenza della Parte pubblica sia ex se maggiormente attendibile di quello di una Parte privata.
2.3. Infine, la circostanza del fracasso del tubo di scappamento della moto, fracasso che, ad avviso del ricorrente, avrebbe reso palese l’arrivo di un mezzo a motore, è elemento di fatto che risulta introdotte per la prima volta nel giudizio di legittimità, non facendosene alcun cenno né nelle sentenze di merito né nell’atto di appello a suo tempo presentato: con ogni necessaria conseguenza in tema di ammissibilità del relativo motivo di impugnazione.
Essendo, in definitiva, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si ritiene congrua e conforme a diritto, che è indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/01/2024.