Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37173 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37173 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 21/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 21/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
NOMENOMENOMEXX
avverso la sentenza del 04/12/2024 della Corte di appello di Trento visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/12/2024, la Corte di appello di Trento, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Rovereto del 23/02/2022, che, in esito a rito abbreviato, aveva condannato NOME in ordine ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 612, comma 2, 339 cod. pen. (capo a), in danno della madre NOME, 73 comma 5 e 80 comma 1 lettera a) d.P.R. 309/1990 (capo b) e 609bis› commi 1 e 2, 609ter commi 1 nn. 2) e 5) cod. pen. (capo c) in danno di NOME, alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione per i capi b) e c) e mesi due di reclusione per il capo a), rideterminava la pena in anni due e mesi dieci di reclusione e seicento euro di multa per il capo a).
Avverso tale sentenza ricorre, tramite il proprio difensore di fiducia, l’imputato.
2.1. Con il primo motivo, lamenta vizio di motivazione in ordine al capo a), in riferimento alla ritenuta responsabilità della minaccia aggravata dall’uso di arma, nonostante la persona offesa avesse chiaramente indicato che la minaccia non era stata effettuata col coltello, che era semplicemente brandito ma non per compulsare la vittima.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione in riferimento al capo 2) per la ritenuta colpevolezza dell’imputato, trattandosi di consumo di gruppo e non di cessione, peraltro a titolo gratuito.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta vizio di motivazione in riferimento al capo c), pur in mancanza sia dell’elemento oggettivo che soggettivo del reato.
Ed invero, se la persona offesa fosse stata così obnubilata da non poter esprimere un valido consenso, non avrebbe neppure potuto ricostruire i fatti accaduti quella notte.
Le deposizioni degli altri soggetti presenti, poi, avvalorano la tesi difensiva, avendo i due ragazzi detto, il giorno successivo alla presunta violenza, che si erano fidanzati e avendo la persona offesa trascorso giorni con il presunto stupratore prima di denunciare il
fatto.
Nessun rilievo poi ha la foto, su cui si dilunga la Corte di appello, non essendo neppure chiaro quando fosse stata scattata.
In data 15 ottobre 2025, l’AVV_NOTAIO, per l’imputato, depositava memoria in cui replicava alle conclusioni del Procuratore generale e insisteva nell’accoglimento del ricorso.
Quanto al primo capo della sentenza oggetto di impugnazione, si evidenzia proprio come la doglianza evidenziata da questa difesa attenga la capacità dell’arma di poter lasciare «ragionevolmente» prevedere un suo impiego tenuto conto di tutte le circostanze in cui la minaccia si sarebbe verificata.
Quanto al consumo «di gruppo», il ricorrente ritiene richiamata a sproposito la giurisprudenza citata dal P.G., in quanto le stesse dichiarazioni della p.o. chiariscono in modo non equivoco la volontà preordinata della stessa di partecipare ad una festa organizzata con l’amico NOME e con lo scopo di fare uso ‘congiunto’ di stupefacenti e alcoolici, all’interno di una compagnia già definita e nota ab initio per un periodo di 4 giorni consecutivi in cui la droga Ł stata acquistata dai compartecipi congiuntamente.
Quanto al terzo motivo, non si sollecita affatto un nuovo sindacato di merito, ma si evidenzia la manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza sotto molteplici profili, come puntualmente sottolineato in ricorso.
Non appare dato trascurabile che la stessa RAGIONE_SOCIALE abbia richiesto l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto sia in primo che in secondo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Il primo motivo Ł manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, dopo aver valutato come inattendibile la deposizione della madre dell’imputato, evidenzia come il brandire un coltello ha sicuramente avuto una efficacia rafforzativa delle gravi minacce profferite («ti ammazzo», «ti brucio», «ti faccio fuori»).
Tale motivazione non appare affatto illogica o contraddittoria, ma fa anzi buon governo dell’insegnamento di legittimità secondo cui «Ł integrato il reato di minaccia aggravato dall’uso dell’arma (nella specie coltello a serramanico la cui lama Ł rimasta ripiegata nel manico) allorchØ la minaccia verbale sia accompagnata dall’ostentata presenza di un’arma della quale il soggetto abbia immediata disponibilità, così da rendere credibile che essa possa essere adoperata in qualsiasi momento ed in stretta continuità con la condotta minatoria» (Sez. 5, n. 6496 del 14/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251949 – 01).
La doglianza Ł pertanto manifestamente infondata.
Il secondo motivo Ł inammissibile.
Come correttamente evidenziato dalla sentenza gravata (pag. 16), ricorre l’ipotesi di «consumo di gruppo» di sostanze stupefacenti, che implica l’irrilevanza penale del fatto, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, a condizione che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all’acquisto (Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, P.c. in proc. Galluccio, Rv. 255258 – 01; Sez. 4, n. 24102 del 23/03/2018, Verdoscia, Rv. 272961 – 01).
Tali requisiti debbono sussistere cumulativamente, sicchØ la mancata presenza, in
concreto, di anche uno solo di essi, determina l’applicabilità della disciplina sanzionatoria approntata dal d.P.R. 309 del 1990.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha evidenziato che nØ il XXXX, nØ la NUMERO_CARTA, hanno riferito alcunchØ in riferimento al previo accordo con la XXXXXXXXXper l’acquisto in comune di stupefacente.
Altrettanto correttamente la sentenza (sempre a pag. 16) esclude la rilevanza della cessione a titolo gratuito, la quale non elide la tipicità del fatto ma può semmai giustificare (come occorso in concreto) il riconoscimento della ipotesi di cui al comma 5 dell’articolo 73 d.P.R. 309/1990 (Sez. 3, n. 16677 del 02/03/2021, Ballarini, Rv. 281649 – 04).
La doglianza, che non si confronta criticamente con la motivazione della sentenza, Ł quindi generica e inammissibile.
Il terzo motivo Ł inammissibile in quanto propone una personale rilettura del tessuto probatorio, evidentemente preclusa in sede di legittimità e propone, in ogni caso, censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, consistendo nella differente comparazione delle risultanze istruttorie effettuate dal giudice del merito.
Il giudice di legittimità non può infatti rivalutare le fonti di prova, in quanto tale attività Ł rimessa esclusivamente alla competenza dei giudici di merito.
Il sindacato di legittimità va infatti sollecitato sul «prodotto dell’ingegno» e non sul puro e semplice «materiale probatorio» (e men che meno su singoli «frammenti» di esso) e, pertanto, una volta indicati gli elementi probatori, il giudice di legittimità deve chiarire la ragione e sulla base di quali elementi sia stata elaborata una determinata ipotesi costruttiva e per quale ragione ne siano state scartate altre (Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv. 276566 – 01; Sez. 5, n. 35816 del 18/06/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774 – 01), ciò che, come visto, la corte territoriale ha operato senza fare cattivo governo delle regole della logica nella valutazione delle prove.
La Corte territoriale ha fatto buon governo, in punto di diritto, di quella giurisprudenza di legittimità secondo cui la libertà sessuale dell’individuo Ł un diritto inviolabile dell’uomo tutelato dall’articolo 2 della Costituzione (v. Corte Cost., sentenza n. 561 del 1987: «essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente Ł senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire»), per cui la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali Ł assoluta e incondizionata e non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l’altra persona possa essersi prefissa. L’assolutezza del diritto tutelato non tollera, nella chiara volontà del legislatore, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall’art. 609-bis c.p. per qualificare la penale rilevanza della condotta (Sez. 3, n. 13278 del 12/03/2021, COGNOME, n.m.).
Tale libertà, che in senso «positivo» si esplica nel diritto di svolgere tutte le pratiche sessuali che si desiderano, con il solo limite del rispetto dell’analogo diritto altrui, in senso «negativo» va inteso come diritto a che nessuno possa essere sottoposto ad atti sessuali senza previo consenso.
Il consenso al compimento di atti sessuali, sia pure non espressamente menzionato dalla norma incriminatrice in parola, costituisce senz’altro elemento «negativo» della fattispecie, nel senso che un consenso validamente espresso esclude la tipicità del fatto.
Questa Corte ha anche precisato (Sez. 4, Sentenza n. 21296 del 19/05/2022,
Melendez, n.m.) che la mancanza di consenso della persona offesa rappresenta l’«in sØ» del reato di violenza sessuale; a questo fine deve aversi riguardo a tutte le situazioni che influiscano negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima (violenza, minaccia, stordimento della vittima attraverso l’utilizzo di sostanze alcoliche o stupefacenti), essendo la libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale il bene protetto dalla norma.
La struttura dei reati contro la libertà sessuale Ł del resto costruita, sia pure implicitamente, attorno all’assenza di consenso (laddove la normativa internazionale lo Ł esplicitamente, v. art. 36 della convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia con l. n. 77/2013, cui ha aderito altresì l’Unione europea in data 1° giugno 2023).
Ed infatti, l’articolo 609bis cod. pen. prevede due distinte ipotesi di «violenza sessuale»: la prima, commessa mediante «costrizione», in cui viene sanzionata la condotta di chi «con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali», e la seconda, commessa mediante «induzione», che sanziona la condotta di chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali «abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto» ovvero «traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona».
Tale disposizione va necessariamente integrata con il successivo articolo 609quater , il quale prevede una autonoma fattispecie di reato in cui viene sanzionata la condotta di chi «compie atti sessuali» con persona che, al momento del fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore Ł affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.
Dal sistema, così come delineato, emerge con chiarezza che il legislatore ha articolato un sistema di tutela «multilivello», in cui:
a) fino all’età di quattordici anni la persona offesa, con presunzione iuris et de iure , non Ł in grado di esprimere un valido consenso al compimento di atti sessuali (fermo restando che, nel caso ricorrano le ipotesi di violenza sessuale mediante costrizione o induzione si applicherà la pena prevista per il delitto di cui all’articolo 609bis cod. pen.); non a caso, mentre l’articolo 609bis parla di costrizione o induzione «a compiere o subire atti sessuali», evidenziando la centralità della persona offesa, l’articolo 609quater si focalizza sulla condotta dell’agente che «compie atti sessuali», sottolineando come la tematica del consenso sia del tutto estranea dalla fattispecie;
b) tra i quattordici e i diciotto anni, la presunzione di cui sopra opera in presenza di particolari situazioni di «affidamento» o di «fiducia», di cui l’agente abbia approfittato per compiere atti sessuali col minore, situazione che, per certi versi, può essere assimilata alla violenza per induzione, con la fondamentale differenza che, in questo caso, il dissenso Ł assolutamente presunto e non occorre alcuna prova di «approfittamento», essendo sufficiente la semplice esistenza, oggettiva, della condizione di affidamento o convivenza.
c) oltre i diciotto anni, il «consenso» diviene elemento costitutivo (implicito) della fattispecie.
Esso deve essere anche «libero» (posto che nella violenza per induzione il consenso esiste, ma non Ł libero), e «validamente» prestato (ossia in modo esplicito e senza
ambiguità) in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicchØ Ł irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, De Souza, Rv. 282834-01), nØ la sua presenza può essere dedotta da circostanze estranee al perimetro del fatto, come dall’essersi la persona offesa fatta riaccompagnare a casa dall’agente (Sez. 3, n. 5512 del 16/10/2019, dep. 2020, citata) o addirittura dai «costumi sessuali» della stessa (Sez. 3, n. 46464 del 09/06/2017, COGNOME, Rv. 271124 – 01).
Il consenso, come invocato anche dalla citata Corte di Strasburgo, non può desumersi implicitamente dall’assenza di reazione da parte della vittima. Non infrequente infatti, nella casistica giudiziaria, Ł imbattersi in vittime di violenza sessuale (spesso di gruppo) che, durante i rapporti, rimangono inerti, quasi prive di coscienza e volontà proprie, meccanismo che mima quello che, in natura, Ł la strategia della «preda» di fingersi morta per ingannare il predatore.
In questi casi, questa Corte (Sez. 3, n. 967 del 26/11/2014, dep. 2015, P.P.C., Rv. 261637 – 01) ha stabilito che «l’abbassamento delle difese da parte della vittima, che, temendo per la propria vita o incolumità fisica, finisce per accedere senza apparenti reazioni di contrasto alle violenze a suo danno, non vale in alcun modo ad elidere la violenza o ad alimentare dubbi circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo ai ‘rei’».
Inoltre, il consenso deve investire non solo l’ an dell’atto sessuale ma anche il «tipo» di atto sessuale da compiere (nel caso di specie, il ricorrente deduce una consensualità ad un rapporto sessuale orale, senza tuttavia nulla addurre su come tale consenso, formatosi all’interno di un bagno, si sarebbe manifestato), e deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità (Sez. 3, Sentenza n. 15334 del 20/11/2012, Delehaye, n.m.; Sez. 3, n. 27252 del 05/06/2007, COGNOME, Rv. 237204 – 01), potendosi la revoca del consenso intervenuta « in itinere » desumere da fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà (Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2018, Rv. 275393 – 01).
¨ inoltre necessario che il consenso riguardi la specifica persona che quell’atto compie (Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 – 01), elemento di particolare rilevanza soprattutto quando si discetti di violenza sessuale «di gruppo».
Sussiste quindi il delitto in parola laddove l’atto sessuale sia compiuto nei confronti di persona che si trovi in condizioni di minorata difesa a seguito di assunzione (anche volontaria) di sostanze in grado di offuscare la capacità di giudizio e quindi di espressione di libero consenso.
¨ stato in proposito affermato (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, D., Rv. 282834 – 02) che «l’assunzione, da parte della persona offesa, di sostanze alcoliche o stupefacenti in quantità tali da comportare l’assoluta incapacità di esprimere il proprio consenso, rende configurabile, nei suoi confronti, il delitto di violenza sessuale per costrizione, di cui all’art. 609bis , comma primo, cod. pen. e non quello di violenza sessuale per induzione di cui all’art. 609bis , comma secondo, cod. pen.».
Le circostanze in base la quale la persona offesa, ritenuta sul punto attendibile, ha riferito di essere stata, in quei momenti, talmente ottusa dal consumo di alcol e stupefacenti, da non essere stata in grado di difendersi efficacemente dalle avances sessuali, costituiscono elementi di fatto insuscettibili di rivalutazione in questa sede, cosi come intangibile, in quanto non manifestamente illogico, Ł il procedimento logico con cui Ł stato ritenuto sussistente l’elemento di riscontro costituito dalla fotografia che ritrae la persona offesa in atteggiamento sonnolente.
Il motivo, che non si cura minimamente di dedurre «se» e «come» sarebbe stato
raccolto il consenso della persona offesa, limitandosi ad eccepire l’assenza di prova del «reale stato di incoscienza» della persona offesa al momento del fatto e la possibilità che l’imputato «non fosse in grado di percepire lo stato di incoscienza» della XXXXXXXXX, Ł pertanto generico e inammissibile.
Sotto altro profilo, l’affermazione secondo cui sarebbe irragionevole che l’assunzione delle medesime quantità di stupefacenti ed alcool avrebbe cagionato effetti tanto diversi nei due soggetti (pagg. 8 e 12 del ricorso) Ł totalmente fattuale e rivalutativa e non può costituire oggetto di scrutinio in questa sede.
Il Collegio evidenzia come nella rubrica del terzo motivo di ricorso venga indicata anche la circostanza della «minore età» della persona offesa; tale elemento non viene tuttavia coltivato in narrativa, per cui la doglianza, anche ove effettivamente dedotta, appare totalmente generica e inammissibile.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 21/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.