Consapevolezza Provenienza Illecita: Come si Prova il Dolo nella Ricettazione?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4205/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati contro il patrimonio: la consapevolezza della provenienza illecita di un bene può essere provata anche attraverso elementi indiretti e logici. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione su come viene valutato l’elemento soggettivo nel reato di ricettazione e in quello di commercio di prodotti contraffatti.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, la quale aveva confermato una condanna per i reati di cui agli articoli 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) e 648 (ricettazione) del codice penale. L’imputata, trovata in possesso di merce contraffatta e di illecita provenienza, sosteneva in sua difesa la mancanza dell’elemento psicologico del reato, ovvero di non essere consapevole del carattere illegale dei beni.
I Motivi del Ricorso e la Prova della Consapevolezza della Provenienza Illecita
La difesa ha incentrato il ricorso su tre motivi principali, tutti volti a contestare la sussistenza del dolo:
1. Violazione di legge per il reato di cui all’art. 474 c.p.: Si contestava la motivazione della Corte d’Appello riguardo alla consapevolezza della contraffazione della merce.
2. Violazione di legge per il reato di ricettazione (art. 648 c.p.): Si negava che l’imputata fosse a conoscenza dell’origine delittuosa dei beni.
3. Mancata riqualificazione del fatto: Si chiedeva di derubricare il reato nella fattispecie meno grave dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.).
Secondo la ricorrente, la Corte di merito non avrebbe adeguatamente provato la sua piena e cosciente volontà di commettere i reati. Tuttavia, la Cassazione ha respinto tale linea difensiva, definendo i motivi di ricorso una ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già esaminati e motivatamente respinti in appello.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e in linea con il suo consolidato orientamento giurisprudenziale.
In primo luogo, i giudici hanno sottolineato che un ricorso non può limitarsi a riproporre le stesse censure già presentate nel grado precedente senza un’argomentata critica alla sentenza impugnata. Tale approccio rende i motivi non specifici e, di conseguenza, solo apparenti.
Nel merito, la Corte ha confermato la correttezza del ragionamento della Corte d’Appello. La consapevolezza della provenienza illecita e della contraffazione è stata logicamente desunta da un elemento cruciale: l’imputata non è stata in grado di indicare né di provare di aver acquistato la merce presso esercizi commerciali legittimi. Secondo la Cassazione, l’assenza di spiegazioni plausibili sull’origine dei beni è un elemento che, secondo la comune esperienza, rivela una volontà di occultamento e, quindi, un acquisto in malafede.
La Corte ha inoltre ribadito che per configurare il reato di ricettazione non è necessaria la conoscenza precisa delle circostanze del reato presupposto (es. chi, come e quando ha commesso il furto), ma è sufficiente la certezza della provenienza illecita, che può essere dedotta da qualsiasi elemento, anche indiretto. Viene richiamato anche il principio secondo cui l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato dal dolo eventuale, ovvero quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità che la merce provenga da un delitto e ne accetta il rischio.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un importante principio: chi viene trovato in possesso di beni di dubbia origine ha l’onere di fornire una spiegazione credibile sulla loro provenienza. L’incapacità di farlo, o fornire giustificazioni palesemente inattendibili, può essere interpretata dal giudice come un forte indizio della consapevolezza del carattere illecito dei beni stessi.
Di conseguenza, la sentenza sottolinea che la prova del dolo nei reati di ricettazione e commercio di prodotti contraffatti non richiede necessariamente una confessione o prove dirette, ma può basarsi su un rigoroso percorso logico-deduttivo che parte dal comportamento stesso dell’imputato. La decisione serve da monito: non è possibile invocare una semplice negligenza quando tutti gli elementi fattuali indicano una piena consapevolezza della natura illegale dell’operazione commerciale.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi proposti sono una semplice ripetizione (‘pedissequa reiterazione’) di argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza una specifica e argomentata critica alla decisione impugnata. In questi casi, i motivi sono considerati non specifici e solo apparenti.
Come può essere provata la consapevolezza della provenienza illecita di un bene nel reato di ricettazione?
Secondo la Corte, la consapevolezza può essere provata attraverso elementi indiretti. Un elemento decisivo è il comportamento dell’imputato, come la mancata o non attendibile indicazione della provenienza del bene ricevuto. Tale omissione è considerata rivelatrice della volontà di occultare un acquisto avvenuto in malafede.
L’incapacità di dimostrare dove si è acquistata la merce è sufficiente per una condanna per ricettazione?
Sì, secondo l’ordinanza. La Corte ha ritenuto che l’incapacità dell’imputata di indicare o provare di aver acquistato la merce presso esercizi commerciali legittimi fosse un elemento sufficiente per dedurre la sua piena consapevolezza del carattere contraffatto e illecito dei beni, integrando così l’elemento soggettivo dei reati contestati.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4205 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4205 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a POMIGLIANO D’ARCO il 02/01/1981
avverso la sentenza del 03/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME ritenuto che il motivo di ricorso che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di cui all’ art. 474 cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
osservato che con motivazione congrua e priva di illogicità la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la ricorrente fosse pienamente consapevole del carattere contraffatto della merce in quanto non era in grado di indicare né di provare di aver acquistato la merce presso esercizi che legittimamente la vendevano;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione e la violazione di legge in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 648 cod. pen. è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
osservato che in relazione al secondo motivo di ricorso la Corte territoriale risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della
volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione del bene si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Sez.U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, COGNOME, Rv. 247718) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto;
ritenuto che il terzo motivo di ricorso che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 712 cod. pen è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, il giudice adito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 4 ove la Corte d’appello ha chiarito che i sospetti sulla legittimità della res sono così gravi ed univoci da ingenerare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la più comune esperienza, che non possa trattarsi di cose legittimamente detenute da chi le offre) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione della responsabilità e della sussistenza del reato;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
I
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024
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Il Consigliere NOME
Il Presidente