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Consapevolezza provenienza illecita: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, confermando la condanna per ricettazione e commercio di prodotti contraffatti. La decisione si fonda sul principio che la consapevolezza della provenienza illecita dei beni può essere desunta da elementi indiretti, come l’incapacità dell’imputato di fornire una spiegazione plausibile sull’origine della merce. Questo comportamento è considerato un forte indicatore della piena conoscenza del carattere delittuoso dei beni.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Consapevolezza Provenienza Illecita: Come si Prova il Dolo nella Ricettazione?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4205/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati contro il patrimonio: la consapevolezza della provenienza illecita di un bene può essere provata anche attraverso elementi indiretti e logici. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione su come viene valutato l’elemento soggettivo nel reato di ricettazione e in quello di commercio di prodotti contraffatti.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, la quale aveva confermato una condanna per i reati di cui agli articoli 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) e 648 (ricettazione) del codice penale. L’imputata, trovata in possesso di merce contraffatta e di illecita provenienza, sosteneva in sua difesa la mancanza dell’elemento psicologico del reato, ovvero di non essere consapevole del carattere illegale dei beni.

I Motivi del Ricorso e la Prova della Consapevolezza della Provenienza Illecita

La difesa ha incentrato il ricorso su tre motivi principali, tutti volti a contestare la sussistenza del dolo:
1. Violazione di legge per il reato di cui all’art. 474 c.p.: Si contestava la motivazione della Corte d’Appello riguardo alla consapevolezza della contraffazione della merce.
2. Violazione di legge per il reato di ricettazione (art. 648 c.p.): Si negava che l’imputata fosse a conoscenza dell’origine delittuosa dei beni.
3. Mancata riqualificazione del fatto: Si chiedeva di derubricare il reato nella fattispecie meno grave dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.).

Secondo la ricorrente, la Corte di merito non avrebbe adeguatamente provato la sua piena e cosciente volontà di commettere i reati. Tuttavia, la Cassazione ha respinto tale linea difensiva, definendo i motivi di ricorso una ‘pedissequa reiterazione’ di argomenti già esaminati e motivatamente respinti in appello.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e in linea con il suo consolidato orientamento giurisprudenziale.

In primo luogo, i giudici hanno sottolineato che un ricorso non può limitarsi a riproporre le stesse censure già presentate nel grado precedente senza un’argomentata critica alla sentenza impugnata. Tale approccio rende i motivi non specifici e, di conseguenza, solo apparenti.

Nel merito, la Corte ha confermato la correttezza del ragionamento della Corte d’Appello. La consapevolezza della provenienza illecita e della contraffazione è stata logicamente desunta da un elemento cruciale: l’imputata non è stata in grado di indicare né di provare di aver acquistato la merce presso esercizi commerciali legittimi. Secondo la Cassazione, l’assenza di spiegazioni plausibili sull’origine dei beni è un elemento che, secondo la comune esperienza, rivela una volontà di occultamento e, quindi, un acquisto in malafede.

La Corte ha inoltre ribadito che per configurare il reato di ricettazione non è necessaria la conoscenza precisa delle circostanze del reato presupposto (es. chi, come e quando ha commesso il furto), ma è sufficiente la certezza della provenienza illecita, che può essere dedotta da qualsiasi elemento, anche indiretto. Viene richiamato anche il principio secondo cui l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato dal dolo eventuale, ovvero quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità che la merce provenga da un delitto e ne accetta il rischio.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un importante principio: chi viene trovato in possesso di beni di dubbia origine ha l’onere di fornire una spiegazione credibile sulla loro provenienza. L’incapacità di farlo, o fornire giustificazioni palesemente inattendibili, può essere interpretata dal giudice come un forte indizio della consapevolezza del carattere illecito dei beni stessi.

Di conseguenza, la sentenza sottolinea che la prova del dolo nei reati di ricettazione e commercio di prodotti contraffatti non richiede necessariamente una confessione o prove dirette, ma può basarsi su un rigoroso percorso logico-deduttivo che parte dal comportamento stesso dell’imputato. La decisione serve da monito: non è possibile invocare una semplice negligenza quando tutti gli elementi fattuali indicano una piena consapevolezza della natura illegale dell’operazione commerciale.

Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi proposti sono una semplice ripetizione (‘pedissequa reiterazione’) di argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza una specifica e argomentata critica alla decisione impugnata. In questi casi, i motivi sono considerati non specifici e solo apparenti.

Come può essere provata la consapevolezza della provenienza illecita di un bene nel reato di ricettazione?
Secondo la Corte, la consapevolezza può essere provata attraverso elementi indiretti. Un elemento decisivo è il comportamento dell’imputato, come la mancata o non attendibile indicazione della provenienza del bene ricevuto. Tale omissione è considerata rivelatrice della volontà di occultare un acquisto avvenuto in malafede.

L’incapacità di dimostrare dove si è acquistata la merce è sufficiente per una condanna per ricettazione?
Sì, secondo l’ordinanza. La Corte ha ritenuto che l’incapacità dell’imputata di indicare o provare di aver acquistato la merce presso esercizi commerciali legittimi fosse un elemento sufficiente per dedurre la sua piena consapevolezza del carattere contraffatto e illecito dei beni, integrando così l’elemento soggettivo dei reati contestati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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