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Conoscenza lingua italiana: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata per tentata frode commerciale. La decisione si fonda sul fatto che la sua presunta non conoscenza della lingua italiana, usata come motivo per richiedere la traduzione degli atti, era smentita da elementi concreti, come un verbale di perquisizione, che il ricorso non ha specificamente contestato.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Conoscenza Lingua Italiana: Quando il Ricorso è Inammissibile?

Il diritto dell’imputato a comprendere le accuse a suo carico è un pilastro del giusto processo. Ma cosa succede se emergono prove che dimostrano la sua conoscenza della lingua italiana? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, dichiarando inammissibile un ricorso basato proprio sulla mancata traduzione degli atti processuali. Analizziamo insieme la vicenda per capire i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso

Una cittadina straniera veniva condannata per il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio. Durante il processo, la difesa aveva lamentato la mancata traduzione in lingua cinese di atti fondamentali, come l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione a giudizio. Secondo la difesa, questa omissione aveva impedito all’imputata di comprendere appieno le accuse e le ragioni del suo coinvolgimento nel procedimento penale.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto questa argomentazione, sostenendo che dagli atti emergeva una sufficiente conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputata, tale da rendere superflua la traduzione. Contro questa decisione, l’imputata proponeva ricorso per Cassazione.

La Questione Giuridica e la Conoscenza della Lingua Italiana

Il cuore della questione ruota attorno all’articolo 143 del codice di procedura penale, che garantisce all’imputato che non conosce la lingua italiana il diritto di essere assistito da un interprete e di ottenere la traduzione degli atti fondamentali.

Tuttavia, questo diritto non è assoluto. I giudici possono valutare caso per caso se l’imputato sia effettivamente in grado di comprendere la lingua del processo. In questa vicenda, sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano basato la loro valutazione su un elemento di prova specifico: il verbale di perquisizione e sequestro, dal quale si evinceva chiaramente la capacità dell’imputata di comunicare in italiano.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni. In primo luogo, ha osservato che il motivo del ricorso era generico e si limitava a riproporre le stesse censure già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Nel giudizio di legittimità, non è sufficiente ripetere le proprie lamentele, ma è necessario formulare una critica specifica e puntuale contro le argomentazioni della sentenza impugnata.

Il punto cruciale della decisione risiede nel fatto che il ricorso non ha minimamente analizzato o contestato l’elemento probatorio centrale: il verbale di perquisizione e sequestro. I giudici di merito, con una “doppia decisione conforme”, avevano fondato la loro convinzione sulla conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputata proprio su quel documento. Non avendo l’appellante contestato nel dettaglio le conclusioni tratte da tale verbale, il suo ricorso è risultato privo della specificità richiesta, impedendo alla Corte di Cassazione di valutare la fondatezza della censura.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di ricorsi per Cassazione: la genericità non paga. Chi intende contestare una decisione di merito deve farlo in modo specifico, attaccando il ragionamento del giudice e, soprattutto, gli elementi di prova su cui tale ragionamento si basa. Affermare semplicemente di non conoscere la lingua non è sufficiente se esistono prove concrete del contrario.

La decisione sottolinea che l’onere di dimostrare la fondatezza del proprio ricorso spetta al ricorrente, il quale deve fornire alla Suprema Corte tutti gli elementi necessari per comprendere le ragioni della censura avanzata. In assenza di una critica mirata e specifica, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È sufficiente dichiarare di non conoscere l’italiano per ottenere la traduzione degli atti processuali?
No, non è sufficiente. Se dagli atti emergono elementi concreti che dimostrano una conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, come in questo caso da un verbale di perquisizione e sequestro, i giudici possono ritenere non necessaria la traduzione.

Cosa rende un ricorso in Cassazione inammissibile in un caso come questo?
Il ricorso è considerato inammissibile se si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza una critica specifica e puntuale delle motivazioni della sentenza impugnata. In questo caso, la ricorrente non ha contestato l’elemento di prova (il verbale) su cui si fondava la decisione della Corte d’Appello.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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