Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26234 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26234 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ANDRIA il 15/04/1960
avverso la sentenza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Trani del 20 ottobre 2023, lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 75, comma 5 d. P.R., n. n. 309/1990.
Il ricorrente deduce vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R., n. 309/1990, per la non riconducibilità all’imputato della sostanza stupefacente rinvenuta dagli operanti nel tombino di scarico, nonché manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento, con riferimento ai fatti di causa, di una mera connivenza non punibile, unitamente al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. e delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, n. 4 e 62 bis cod. pen. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità. Gli stessi, in particolare, lungi confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limitano a reiterare profili di censura già adeguatamente e correttamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
2.1. Il primo motivo di ricorso non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura dell fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali invece correttamente valorizzate dai giudici di merito (si veda, in particolare, pagg.1-2 del provvedimento impugnato), altresì lamentando, in maniera del tutto generica e aspecifica, una presunta carenza o illogicità della motivazione non emergente dal provvedimento impugnato.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di un’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez
6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Con riguardo, specificamente, al profilo attinente alla prospettata connivenza, i giudici del gravame del merito hanno adeguatamente motivato in ordine alla configurabilità di una condotta concorsuale da parte dell’imputato, a tal fine valorizzando, oltre alla sua presenza all’interno dell’immobile al momento della perquisizione, la significativa circostanza della richiesta, rivolta al fratello, di sfarsi della sostanza stupefacente, quale elemento sintomatico di un vero e proprio contributo attivo alla condotta di detenzione ancora in atto. Ad avviso della Corte, non residuano, del resto, margini di dubbio in ordine alla riferibilità all’imputato della sostanza stupefacente rinvenuta, atteso che la medesima è stata rinvenuta dagli operanti all’interno dell’impianto fognario risultato, sulla base degli accertamenti espletati, asservito in via esclusiva all’appartamento in cui si trovavano i due fratelli al momento della perquisizione.
La sentenza impugnata si colloca, pertanto, nel solco della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. la recente Sez. 4 n. 13597 del 25/03/2025, Settimio, mm.) secondo cui la connivenza non punibile, riguardo alla disciplina degli stupefacenti, può essere integrata solo da un comportamento meramente passivo, mentre costituisce concorso nel delitto il contributo manifestato anche solo in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento e il controllo della droga, assicurando al concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale egli può contare.
Questa Suprema Corte ha più volte espresso il principio secondo il quale la distinzione tra l’ipotesi della connivenza non punibile ed il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 cod. pen. è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare (cfr. Sez. 3, n,. 34985 del 16/7/2015, COGNOME ed altro, Rv. 264454, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’affermazione di responsabilità a titolo di concorso del titolare dell’abitazione che aveva offerto ospitalità al detentore dello stupefacente, consentendogli l’uso di una cantina per custodire la droga e che, al momento della perquisizione, aveva tentato di occultare le chiavi dell’autovettura all’interno della quale erano custodite le chiavi della predetta cantina; conf. Sez. 3, n. 41055 del 22/9/2015, COGNOME ed altro, Rv. 265167, relativa ad un caso in cui la Corte ha escluso che fosse sufficiente per configurare il concorso nella detenzione
di sostanza stupefacente l’accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui la droga era custodita, non ravvisando a carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 cod. pen Sez. 4, n. 21441 del 10/04/2006, Rv. 234569; Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, Rv. 247127).
Naturalmente spetta al giudice del merito indicare il rapporto di causalità efficiente tra l’attività incentivante che integra il concorso morale e quella posta in essere dall’autore materiale del reato, in quanto la semplice presenza inattiva non può costituire concorso morale, mentre, però, può essere sufficiente una volontà di adesione all’altrui attività criminosa, la quale venga a manifestarsi in forme agevolative della detenzione di sostanze stupefacenti, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nel correo di poter contare su una propria attiva collaborazione (cfr. Sez. 6, n. 9986 del 20/5/1998, Costantino e altro, Rv. 211587 in cui la Corte ha ritenuto sussistente il dolo del concorso nel reato da parte del coniuge, per la collocazione dello stupefacente in piena vista nella stanza da letto, per il prelievo della droga da parte del coniuge e la consegna agli agenti operanti con occultamento sulla persona della maggior quantità possibile della sostanza per sottrarla al sequestro).
Si tratta di principi correttamente applicati dai giudici del merito, nel caso in esame, per le ragioni sopra esposte.
2.2. Manifestamente infondata, poi, è la doglianza relativa alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen., in quanto la Corte territoriale, rispondendo alla specifica richiesta sul punto, ha argomentatamene e logicamente motivato il diniego di tale beneficio, valorizzando la connotazione abituale della condotta delittuosa posta in essere dall’imputato, desumibile dalla pluralità di precedenti penali specifici a carico dell’imputato (in conformità con l’insegnamento delle Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Va, peraltro, ricordato che, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri d cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (così Sez. 7, Ordinanza n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01; conf. Sez 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647 – 01).
2.3. Quanto alla , ensura concernente il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., occorre ribadire che tale beneficio non discende automaticamente dalla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. È invece necessario accertare la
speciale tenuità tanto dell’entità del lucro perseguito o conseguito dall’agente, quanto della gravità dell’evento lesivo o pericoloso derivato dalla condotta criminosa (Sez. 3, n. 13659 del 16/02/2024, Aamara, Rv. 286097-01). In tale prospettiva, la Corte di appello ha fornito risposta adeguata, con la quale il ricorrente omette di confrontarsi, escludendo la compatibilità della predetta attenuante con la detenzione di oltre sessanta dosi di sostanza stupefacente, per lo più a base di cocaina.
2.4. Con riferimento, infine, alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha dato atto con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune dal denunciato vizio di legittimità- della mancanza di elementi positivamente valutabili, non rilevando a tal fine le circostanze invocate dall’imputato, quali, tra le altre, la mancata res stenza al momento dell’arresto ovvero la scelta del rito premiale.
Il provvedimento impugnato appare pertanto collocarsi nell’alveo del costante cfictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevab dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisiv comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, va ribadito che è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr. ex multis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014 COGNOME ed altri, Rv. 260610 – 01; conf. Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01;).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
N.
13406/2025 GLYPH
R.G.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle a
mende.
Così deciso in Roma il 08/07/2025
La Pfsicnte