Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25920 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25920 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Cercola il 17/2/1972
avverso l’ordinanza del 4/3/2025 del Tribunale di Napoli
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito per la ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 4 marzo 2025 il Tribunale di Napoli, provvedendo sulla richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 13 febbraio 2025 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Noia, con cui le era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 84 d.lgs. n. 141 del 2024 (per avere, in concorso con il coniuge NOME COGNOME, acquistato o comunque detenuto 618,2 chilogrammi di tabacchi lavorati esteri sprovvisti del contrassegno di Stato), ha sostituito tale misura con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Avverso tale ordinanza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria.
Ha ribadito l’erroneità della affermazione della sussistenza di indizi di responsabilità a proprio carico, desunti esclusivamente dalla consapevolezza dell’attività illecita svolta dal marito, qualificabile in termini di connivenza no punibile, non essendo state individuate condotte attive della ricorrente, con la conseguente illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, che aveva desunto la partecipazione alle condotte illecite di NOME COGNOME dalla sola consapevolezza della ricorrente del loro abituale svolgimento e dalla mancanza di una lecita attività lavorativa, peraltro smentita dalle produzioni documentali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il Tribunale di Napoli, nel ribadire la sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico della ricorrente in ordine al concorso della detenzione illecita dei tabacchi lavorati esteri privi del contrassegno di Stato rinvenuti nella camera da letto della abitazione coniugale e nel deposito adiacente alla stessa, ha desunto la partecipazione dell’indagata a tale detenzione illecita dalla consapevolezza della stessa dell’attività illecita svolta dal marito, ritenendo, alla luce della abitualità di tale attività, che ella avesse condiviso il fine illec perseguito dal marito e ne avesse pertanto agevolato l’attività.
Ad avviso del Tribunale la consapevolezza da parte della ricorrente della presenza di tale ingente quantitativo di tabacchi lavorati esteri all’interno della abitazione e delle sue pertinenze avrebbe agevolato il proposito criminoso del
marito, consentendogli di fare affidamento sul silenzio e sulla collaborazione della moglie.
Si sottolinea, inoltre, la circostanza che nessuno dei due indagati svolgesse attività lavorativa, stante l’inidoneità della documentazione contabile prodotta dalla ricorrente a dimostrarne lo svolgimento (essendo stati prodotti scontrini fiscali emessi dalla RAGIONE_SOCIALE di Mandarino Pasquale, ritenuti idonei a provare lo svolgimento dell’attività commerciale ma non anche l’attività lavorativa svolta dalla ricorrente), nonché del ritrovamento della somma di 2.000,00 in contanti tra la biancheria della indagata (che aveva dichiarato un reddito per l’anno 2024 di euro 12.287,00).
Ritiene il Collegio che tali considerazioni siano insufficienti a giustificare l’affermazione della sussistenza di gravi indizi dei concorso della ricorrente nella detenzione dell’ingente quantitativo di tabacchi lavorati esteri rinvenuti nella abitazione coniugale e nelle sue pertinenze, detenzione ritenuta riconducibile al marito della ricorrente medesima.
In casi analoghi, relativi al concorso di persone nel reato da parte di coniugi per attività illecite esercitate da uno di essi nel domicilio coniugale, la giurisprudenza di legittimità è ferma nell’affermare che la mera consapevolezza e tolleranza dell’attività illecita svolta, in assenza della individuazione di qualsiasi condotta attiva, non consente di ravvisare alcuna condotta agevolatrice della condotta illecita, anche solo idonea a rafforzare il proposito criminoso dell’agente o a fargli presumere la possibilità di una collaborazione, occorrendo, comunque, un consapevole apporto positivo, morale o materiale, all’altrui proposito criminoso, suscettibile di manifestarsi anche in forma agevolatrice e valevole a garantire al correo una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione su cui poter contare (Sez. 3, n. 544 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287403 – 01; Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280244 – 02; Sez. 6, n. 52116 del 15/11/2019, COGNOME, Rv. 278064 – 01; Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265167 – 01, che ha escluso che fosse sufficiente per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente l’accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui la droga era custodita, non ravvisandosi a carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 cpv. cod. pen.).
È noto, infatti, come sia possibile concorrere nel reato tanto mediante azione positiva quanto mediante azione negativa (omissione) ma non bisogna confondere la partecipazione mediante omissione, implicante un’obiettiva contribuzione alla produzione del reato, con la libera e consapevole omissione d’impedimento del reato. Occorre, cioè, tenere ben distinta la partecipazione negativa, o semplice
connivenza (il fatto cioè di rimanere inerti di fronte alla commissione di un reato), dalla partecipazione mediante fatti omissivi.
Condividendosi una costante affermazione riscontrabile in letteratura, una sicura linea di demarcazione tra le due fattispecie può essere tracciata, a tal proposito, partendo dal presupposto che – al di fuori dei casi (art. 110 cod. pen.) in cui si partecipi al reato mediante omissione allorquando quest’ultima, alla stessa stregua dell’azione positiva, costituisca uno dei diversi antecedenti causali dal cui concorso derivi la produzione del reato – una condotta di partecipazione rilevante può essere costituita anche da un mero comportamento omissivo, a condizione però che vi sia un quid pluris, occorrendo cioè che, in capo all’omittente, sussista un obbligo di garanzia volto all’impedimento del reato.
Il referente normativo di tale costruzione è stato rintracciato nell’art. 40 cpv. cod. pen.
Perciò, al fine di determinare se un soggetto, che resti inerte di fronte alla commissione di un reato, possa ritenersi responsabile, a titolo di concorso omissivo, del reato stesso, occorre accertare se, in capo a tale soggetto, esista una posizione di garanzia avente come specifico contenuto l’impedimento di reati del tipo di quello verificatosi; in mancanza di tale posizione di garanzia, l’assistere passivamente alla perpetrazione del reato connota la connivenza e non costituisce una condotta di partecipazione punibile.
Quindi, affinché si abbia compartecipazione criminosa mediante atti negativi, nei casi in cui un soggetto assista passivamente alla commissione di un reato o l’agente rimanga inerte rispetto al permanere dell’illecito, non è sufficiente che il soggetto non abbia evitato la commissione o la perdurante consumazione del fatto criminoso, assistendo passivamente ad esso, ma occorre qualcosa in più e, precisamente, occorre che quel soggetto abbia disatteso un obbligo giuridico, derivante dalla legge, da un atto amministrativo, da un contratto o da altra fonte obbligante e ciò in forza del principio generale dell’articolo 40, comma 2, cod. pen.
Questo è, dunque, l’elemento che, ai fini della sussistenza della compartecipazione criminosa, distingue il concorso mediante omissione dalla semplice connivenza, la quale si ha perciò quando un individuo assiste passivamente alla perpetrazione di un reato che avrebbe la possibilità ma non l’obbligo giuridico di impedire (sul punto, in termini, Sez. 1, n. 1509 del 23/10/1978, dep. 1979, COGNOME, Rv. 141100 – 01 secondo un insegnamento non recente della giurisprudenza di legittimità).
La dottrina e la giurisprudenza concordano, infatti, nel ritenere la connivenza di per sé sola non punibile, tanto sul decisivo rilievo che l’ordinamento giuridico non contempla per i cittadini un obbligo generale di impedire i reati, posto che tale obbligo incombe, per legge, soltanto alla polizia giudiziaria.
5. Da ciò discende che il rinvenimento di denaro contante occultato nella biancheria della ricorrente e l’entità dei suoi redditi, unitamente alle modalità di
occultamento dei tabacchi lavorati esteri, non consentono di ravvisare il consapevole apporto positivo, morale o materiale, all’altrui proposito criminoso,
suscettibile di manifestarsi anche in forma agevolatrice, idoneo a consentire di ravvisare un concorso nell’altrui condotta illecita, non essendo stata individuata
alcuna condotta della ricorrente dotata di tale attitudine.
Neppure è stato ravvisato a carico dell’indagata un obbligo giuridico in forza del quale avrebbe avuto l’obbligo di impedire il reato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata risulta, pertanto, giuridicamente errata e manifestamente illogica quanto all’affermazione dell’esistenza di una
compartecipazione criminosa da parte della ricorrente quale conseguenza della sola consapevolezza della presenza dei tabacchi di contrabbando nell’abitazione
familiare e nelle sue pertinenze.
6. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli, che porrà riparo ai vizi riscontrati osservando
i principi di diritto in precedenza enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso il 27/05/2025