Connivenza non punibile e spaccio: la linea sottile tra sapere e partecipare
Sapere che qualcuno sta commettendo un reato non significa esserne complici. Nel diritto penale, questa distinzione è fondamentale e ruota attorno al concetto di connivenza non punibile, un’area grigia in cui la consapevolezza non si traduce in responsabilità penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce proprio su questo confine, chiarendo quando la mera presenza sul luogo del delitto si trasforma in un concorso punibile, specialmente in materia di stupefacenti.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda una donna che si trovava in un’abitazione insieme al suo convivente al momento di un controllo di polizia. Durante l’intervento, le forze dell’ordine rinvenivano una quantità significativa di sostanze stupefacenti, un bilancino di precisione e materiale per il confezionamento delle dosi. Inoltre, veniva trovata una cospicua somma di denaro, circa 10.000 euro, di cui la donna rivendicava una parte (3.200 euro) come propria, giustificandola come un regalo della nonna e provento di lavoro non dichiarato.
La difesa della donna ha sostenuto che la sua fosse una mera connivenza non punibile. A suo dire, lei soggiornava solo occasionalmente nell’appartamento, era da poco rientrata dal lavoro al momento del blitz e non aveva un ruolo attivo nell’attività di spaccio del compagno, che era in corso da prima che si conoscessero. La sua sarebbe stata, quindi, una semplice consapevolezza passiva dell’illecito altrui, non un contributo causale al reato.
La Differenza tra Concorso e Connivenza non Punibile
La giurisprudenza è pacifica nel distinguere queste due figure. Si ha concorso nel reato quando una persona fornisce un contributo causale, positivo, materiale o morale, alla realizzazione del fatto illecito. Questo contributo non deve essere per forza decisivo, ma può manifestarsi anche in forme che agevolano l’autore del reato, garantendogli una certa sicurezza o una collaborazione, anche implicita, su cui poter contare.
Al contrario, la connivenza non punibile si configura quando il soggetto si limita a un comportamento meramente passivo. È la condizione di chi assiste alla commissione di un reato senza intervenire, ma anche senza fornire alcun tipo di apporto che possa facilitare o incoraggiare l’azione criminale. La linea di demarcazione è sottile ma cruciale: l’azione, anche minima, fa la differenza.
L’Analisi dei Giudici di Merito
Il Tribunale del Riesame, prima, e la Cassazione, poi, hanno respinto la tesi difensiva. Secondo i giudici, diversi elementi concreti indicavano un ruolo attivo della donna, ben oltre la passività della connivenza:
1. Il tentativo di fuga: Al momento dell’arrivo della polizia, la donna aveva cercato di eludere i controlli rifugiandosi in bagno.
2. L’evidenza delle prove: Sul tavolo della cucina, in piena vista, c’erano 150 grammi di sostanza stupefacente, un bilancino e materiale per il confezionamento, rendendo palese l’attività in corso.
3. Le dimensioni dell’abitazione: Trattandosi di un monolocale, era impossibile per la donna ignorare ciò che accadeva.
4. Il possesso del denaro: La donna aveva la disponibilità di una somma di 3.200 euro, la cui provenienza non è stata ritenuta credibile, poiché incongrua rispetto alle risultanze del suo conto corrente e non supportata da prove convincenti.
Questi elementi, letti nel loro insieme, sono stati considerati convergenti nel dimostrare non una mera conoscenza, ma una partecipazione consapevole e attiva all’illecito.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la motivazione del Tribunale del Riesame era logica e non contraddittoria. La difesa, secondo gli Ermellini, si era limitata a proporre una lettura alternativa dei fatti, un’operazione che non è consentita in sede di legittimità. La Cassazione non può riesaminare il merito delle prove, ma solo verificare che la decisione impugnata sia giuridicamente corretta e motivata in modo coerente. In questo caso, il Tribunale aveva applicato correttamente il principio di diritto che distingue il concorso dalla connivenza, basando la propria decisione su una valutazione logica degli indizi raccolti.
Le Conclusioni
La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per essere considerati complici in un reato non è necessario compiere l’azione principale, ma è sufficiente fornire un contributo apprezzabile che agevoli o rafforzi il proposito criminoso altrui. La passività è una difesa valida solo quando è assoluta. Qualsiasi azione che tradisca un ruolo attivo, come nascondere prove, tentare di eludere un controllo o gestire i proventi dell’attività illecita, trasforma la semplice conoscenza in un concorso di reato penalmente rilevante. La decisione, pertanto, serve da monito su come anche comportamenti apparentemente secondari possano integrare una piena responsabilità penale.
Qual è la differenza tra concorso in un reato e connivenza non punibile?
Il concorso richiede un contributo attivo, positivo, sia materiale che morale, alla realizzazione del reato, anche se in forma di semplice agevolazione. La connivenza, invece, è un atteggiamento puramente passivo di chi è a conoscenza del reato ma non fornisce alcun tipo di aiuto alla sua commissione e, per questo, non è punibile.
Perché la condotta della ricorrente è stata considerata concorso e non connivenza?
Perché diversi elementi indicavano un suo ruolo attivo: ha tentato di eludere il controllo della polizia, nell’abitazione (un monolocale) erano presenti in piena vista droga e materiale per il confezionamento, e lei stessa aveva la disponibilità di una cospicua somma di denaro di provenienza ritenuta ingiustificata. L’insieme di questi fatti è stato interpretato come un contributo consapevole all’illecito.
Per quale motivo la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte ha ritenuto che la motivazione della decisione precedente fosse logica e coerente. La difesa si è limitata a proporre una diversa interpretazione dei fatti, cosa che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione, la quale può solo valutare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare le prove.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30420 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30420 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente avverso l’ordinanza del 05/11/2024 del Tribunale di Firenze;
RITENUTO IN FATTO
2. La ricorrente eccepisce la nullità dell’ordinanza perchØ la sua condotta non era configurabile come un concorso ma come una connivenza non punibile. La presenza in casa della droga o del denaro in camera da letto denotavano eventualmente una consapevolezza dell’illecito realizzato dal coindagato ma non provavano, neppure nella fase cautelare, un concorso giuridicamente rilevante. Mancava una condotta positiva, eventualmente a lei ascrivibile, denotante il concorso: la fonte confidenziale della polizia giudiziaria aveva fatto riferimento solo al coindagato, non vi erano soggetti escussi a sommarie informazioni che avevano individuato la sua condotta attiva, il coindagato aveva ammesso di espletare l’attività illecita da oltre un anno, e cioŁ da un periodo antecedente alla loro conoscenza, al momento dell’intervento della polizia giudiziaria era da poco rientrata dal lavoro e comunque soggiornava solo occasionalmente in quell’abitazione, aveva giustificato la provenienza di parte del denaro, fatto riscontrato dalla madre sentita a sommarie informazioni testimoniali.
Sent. n. sez. 277/2025
CC – 12/02/2025
R.G.N. 40210/2024
3. Il ricorso Ł manifestamente infondato.
E’ pacifico in giurisprudenza che la differenza tra GLYPHconcorso nel delitto di illecita detenzione e GLYPHconnivenza non punibile risiede nel fatto che nell’uno si richiede un consapevole apporto positivo, morale o materiale, all’altrui proposito criminoso, suscettibile di manifestarsi anche in forma agevolatrice e valevole a garantire al correo una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione su cui poter contare, mentre nell’altra Ł mantenuto, da parte dell’agente, un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un contributo causale alla realizzazione del fatto (tra le piø recenti, Sez. 3, n. 544 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287403 – 01).
Il Tribunale del riesame ha fatto buon governo di tale principio di diritto, perchØ ha ben evidenziato che la ricorrente conviveva con il coindagato da tre mesi; che, al momento dell’ingresso degli operatori in casa, aveva tentato di eludere i controlli, rifugiandosi in bagno; che le dichiarazioni del coindagato, che aveva tentato di scagionarla, erano smentite dal rinvenimento sul tavolo della cucina del monolocale di un panetto e mezzo di sostanza di colore marrone del peso di 150 grammi, di una bustina contenente sostanza di colore bianco e di cinque cartine, oltre a un bilancino, ciò che rendeva evidente l’attività in corso di confezionamento; che il restante stupefacente era custodito in una scatola vicino al divano, fatto che non poteva ignorare a causa delle dimensioni molto ridotte dell’abitazione. Tutti elementi convergenti nel senso del concorso.
Il Tribunale ha poi ulteriormente evidenziato che in casa era stata rinvenuta la somma in contanti di euro 10.000, di cui la ricorrente aveva rivendicato, come propria, la somma di euro 3.200, custodita in una borsa riposta nell’armadio, e che aveva giustificato come frutto di un atto di liberalità della nonna e come provento di un’attività lavorativa in nero. Il Tribunale ha, però, osservato che la disponibilità di tale somma era del tutto incongrua e non era possibile giustificarla nØ con le risultanze del conto corrente, per cui si sarebbe dovuto ritenere che i soldi prelevati non erano stati spesi, nØ con le dichiarazioni liberatorie della madre.
La motivazione non Ł manifestamente illogica o contraddittoria, mentre il ricorso si limita a proporre una lettura alternativa dei fatti, come tale inammissibile.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso, 12/02/2025