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Connivenza non punibile e spaccio: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un procuratore contro l’annullamento di una misura cautelare. Si ribadisce che per configurare la partecipazione a un’associazione criminale è necessario un contributo attivo e non la semplice consapevolezza dei reati commessi dai familiari, delineando così i confini della connivenza non punibile.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Connivenza non punibile: quando la conoscenza del reato non è partecipazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 33597/2024) affronta un tema tanto delicato quanto complesso: la distinzione tra la partecipazione attiva a un’associazione per delinquere e la connivenza non punibile. Il caso riguarda una madre accusata di far parte del sodalizio criminale dedito allo spaccio di stupefacenti gestito dai propri figli. La Corte ha stabilito che la mera consapevolezza e la passiva condivisione delle attività illecite dei familiari non sono sufficienti per configurare un contributo penalmente rilevante, annullando di fatto la misura cautelare disposta nei suoi confronti.

I Fatti di Causa

Il procedimento nasce da un’indagine su un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che vedeva come principali protagonisti tre fratelli. Le indagini preliminari portavano all’applicazione di una misura di custodia cautelare anche nei confronti della loro madre, accusata di partecipazione al sodalizio criminale. Secondo l’accusa, la donna avrebbe fornito una base logistica, custodito i proventi illeciti e partecipato a discussioni strategiche sull’attività di spaccio.

Contro questa ordinanza, la difesa proponeva ricorso al Tribunale del Riesame, il quale annullava la misura cautelare, ritenendo assenti i gravi indizi di colpevolezza. Il Tribunale del Riesame sosteneva che gli elementi raccolti (intercettazioni, video-riprese) dimostravano soltanto una conoscenza passiva da parte della donna delle attività dei figli, ma non un suo contributo concreto ed effettivo. La Procura della Repubblica, non condividendo tale valutazione, proponeva ricorso per cassazione.

La Tesi dell’Accusa e la nozione di connivenza non punibile

Secondo il Pubblico Ministero ricorrente, il Tribunale del Riesame aveva erroneamente declassato una serie di condotte attive a mera connivenza non punibile. L’accusa evidenziava come l’indagata fosse costantemente presente nell’abitazione, base operativa del gruppo, gestisse gli introiti, mettesse in guardia i figli da possibili controlli delle forze dell’ordine e discutesse persino della qualità dello stupefacente. Tali comportamenti, a dire della Procura, integravano un contributo partecipativo essenziale per la vita e l’operatività del sodalizio.

Il punto cruciale della controversia risiede proprio nella linea di demarcazione tra la partecipazione penalmente rilevante e la semplice, seppur moralmente riprovevole, connivenza. Quest’ultima si configura quando un soggetto è a conoscenza di un’attività criminale ma non fornisce alcun apporto materiale o morale alla sua esecuzione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Gli Ermellini hanno innanzitutto ribadito i limiti del proprio sindacato: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, volto a ottenere una diversa valutazione dei fatti. Il compito della Suprema Corte è verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del Riesame fosse immune da vizi. I giudici del riesame avevano analizzato tutti gli elementi indiziari, concludendo, in modo non manifestamente illogico, che questi dimostravano solo la ‘consapevolezza della ricorrente dei traffici illeciti posti in essere dai familiari e la mera condivisione dei loro intenti illeciti’, ma non un ‘concreto contributo associativo o morale’. La presenza in casa durante le attività illecite è stata giudicata ‘neutra’, mentre altri episodi, come rispondere al citofono, sono stati ritenuti ‘occasionali e non significativi’. In definitiva, non è emerso un ruolo attivo e stabile dell’indagata all’interno dell’organizzazione criminale.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio cardine del diritto penale: per essere considerati partecipi di un’associazione a delinquere non è sufficiente essere a conoscenza delle attività criminali altrui, anche se si tratta di stretti familiari e si condivida il medesimo ambiente domestico. È indispensabile un contributo concreto, volontario e consapevole, che può essere materiale (come fornire mezzi o nascondere la droga) o morale (come rafforzare l’intento criminoso degli altri associati). In assenza di tale apporto, l’atteggiamento passivo ricade nell’alveo della connivenza non punibile, preservando il principio della personalità della responsabilità penale.

Quando la conoscenza di un’attività illecita familiare diventa partecipazione al reato?
La mera conoscenza, anche se accompagnata da approvazione passiva, non è sufficiente. Diventa partecipazione penalmente rilevante solo quando si traduce in un contributo concreto, materiale o morale, all’attività del gruppo criminale, che sia volontario e consapevole.

Cosa significa esattamente ‘connivenza non punibile’?
Significa che una persona, pur sapendo che altri stanno commettendo un reato, non interviene e non fornisce alcun aiuto, né materiale né psicologico, alla sua realizzazione. Questo atteggiamento passivo, sebbene possa essere moralmente discutibile, non è considerato un reato dalla legge.

Quali sono i limiti del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari?
La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti e le prove per fornire una nuova interpretazione. Il suo compito è limitato a controllare che la decisione del giudice precedente (in questo caso, il Tribunale del Riesame) sia basata su una motivazione logica e non contraddittoria e che sia stata applicata correttamente la legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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