Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 42818 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 42818 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
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avverso la sentenza del 18/10/2023 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; GLYPH IL FUN7ION, udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME Ll,,t · letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procur tore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato. D171,,1210 ;i
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 ottobre 2023, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 20 dicembre 2022, con la quale il Tribunale di Cassino, concesse le circostanze attenuanti generiche, ha condannato l’imputato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, nonché alle pene accessorie – oltre che al risarcimento del danno cagionato alla parte civile costituitasi, GLYPH D.M. liquidato in C 5.000,00, ed alla rifusione, a favore dell’Erario, delle spese di costituzione e difesa da questa sostenute – per i seguenti reati:
1) artt. 572, primo e secondo comma, cod. pen., perché, nel periodo compreso tra il gennaio 2021 ed il 27 gennaio 2022, maltrattava la compagna convivente, offendendola ripetutamente, minacciandola e percuotendola fisicamente, con l’aggravante di avere commesso il fatto alla presenza di persone minori;
art. 582, secondo comma, cod. pen., in relazione agli artt. 576, primo comma, n. 5, 577, primo comma, n. 1, e 81 cod. pen., per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in relazione al capo di imputazione che precede, cagionato alla donna lesioni personali, con l’aggravante di aver commesso il fatto contro la convivente ed in occasione della commissione del delitto ex art. 572 cod. pen., di cui al capo 1);
artt. 609-bis e 609-ter cod. pen., poiché, con violenza, la costringeva, in data 25 luglio 2021, a subire un rapporto sessuale orale.
Con la medesima sentenza di primo grado, il Tribunale di Cassino ha, inoltre, dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen., limitatamente alle condotte tenute nel periodo del primo “lock downi” del 2020, per difetto di querela.
Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nonché degli artt. 24 e 111 Cost., per avere i giudici di merito erroneamente rigettato l’eccezione, pur tempestivamente formulata dalla difesa, afferente alla richiesta di regressione del procedimento, finalizzata ad assicurare all’imputato le garanzie previste dall’udienza preliminare, a seguito della nuova contestazione del reato di cui all’art. 609-bis cod. pen., mossa per la prima volta in dibattimento.
Da un lato, la Corte di appello di Roma avrebbe fallacemente omesso di fornire una logica motivazione circa la mancata regressione del procedimento, limitandosi, all’opposto, ad affermare che l’udienza preliminare – in realtà mai celebrata, per l’esercizio dell’azione penale mediante decreto di giudizio immediato – nel caso in esame sarebbe stata superata dalla celebrazione del giudizio immediato; dall’altro, avrebbe ritenuto che, nella specie, non vi fosse elisione del diritto a richiedere un rito alternativo, avendo la Corte costituzionale reso progressivamente possibile l’accesso ai riti premiali in relazione ad un reato concorrente oggetto di nuova contestazione, anche laddove non risultante dagli atti di indagini già acquisiti. Se non che – sostiene il ricorrente odierno – le norm vigenti all’epoca dell’accertamento sulla responsabilità penale – prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia e, dunque, del novellato art. 519 cod. proc. pen. – gli avrebbero consentito la denegata scelta difensiva esclusivamente a seguito
della regressione del procedimento nella fase dell’udienza preliminare, essendosi celebrato, il giudizio immediato, giustificato dall’evidenza della prova, per i sol reati di maltrattamenti e lesioni. Di qui la censurata lesione del diritto dell’imputat ad addivenire ad un eventuale rito speciale, in occasione delle nuove contestazioni mosse in dibattimento.
2.2. Con una seconda censura, ci si duole, invece, della violazione degli artt. 609-bis cod. pen. e 12 cod. proc. pen., con riferimento alla ritenuta improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. fosse, nel caso di specie, perseguibile d’ufficio per l’asserita applicazione dell’istituto de continuazione con il reato di maltrattamenti, tuttavia omettendo di considerare che, al capo 3) dell’imputazione, la continuazione sarebbe stata originariamente contestata, non già con il reato di cui all’art. 572 cod. pen., bensì in relazione più episodi di violenza sessuale. Di talché, in difetto di querela, il reato in ogget non sarebbe procedibile.
2.3. Con un terzo motivo di impugnazione, la difesa lamenta la mancata assunzione di prova decisiva, in violazione dell’art. 507 cod. proc. pen., sul rilievo che la documentazione relativa alla terapia farmacologica seguita dalla madre della persona offesa, richiesta alla casa di cura, avrebbe consentito di smentire la versione dei fatti resa dalla parte civile, adusa al consumo di stupefacenti e di psicofarmaci, sovente acquistati, questi ultimi, proprio mediante le prescrizioni mediche intestate alla madre.
2.4. Con una quarta censura, il ricorrente rileva la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, dal confronto tra quanto affermato dalla persona offesa in dibattimento e quanto da costei rappresentato nel giudizio civile per l’affidamento esclusivo dei minori in suo favore, emergerebbero evidenti discrasie, avendo la donna riferito fatti e avvenimenti circostanziati in data 24 luglio 2021 – giorno precedente alla contestata violenza sessuale – differenti rispetto a quelli imputati all’odierno ricorrente, asseritamente accaduti nella stessa data. In particolare, nel giudizio civile non si sarebbe fatta menzione alcuna né della violenza sessuale subita il giorno successivo, né del relativo intervento delle amiche presso la sua abitazione. La persona offesa avrebbe fatto riferimento ad indefiniti rapporti anali non consenzienti avvenuti tra il 2019 ed il 2020, mentre, durante l’escussione dibattimentale del 31 maggio 2022, avrebbe raccontato per la prima volta di aver subito, in data 25 luglio 2021, una violenza sessuale, precisando di essere stata abusata almeno due volte; entrando altresì in contraddizione laddove, dinnanzi al
giudice penale, avrebbe rappresentato che il motivo del litigio del 24 luglio fosse consistito nel fatto che l’imputato era andato a riprendersi i bambini dalla suocera, mentre lei avrebbe voluto rimanere da sola con il compagno, mentre, nella causa civile, avrebbe riferito di essere stata aggredita dall’imputato per il rinvenimento di alcuni graffi sulle gambe della figlia.
Proprio per la differenza di quanto affermato in sede penale e in sede civile dalla persona offesa, non potrebbe escludersi – a detta dell’imputato – che il contributo dichiarativo della donna non fosse viziato da intenti non palesati direttamente, connessi alla costituzione di parte civile della stessa; di talché la sentenza dovrebbe ritenersi nulla per travisamento dei fatti ed illogicità dei motivi.
2.5. Con un ultimo motivo di ricorso, si denunciano, infine, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. ed i connessi vizi della motivazione in relazione al giudizio di attendibilità dei testi a carico e discarico.
I giudici di merito, da un lato, avrebbero ritenuto riduttive ed inattendibili s le dichiarazioni del padre dell’imputato, che avrebbe precisato di aver saputo dalla donna dell’aggressione subita ad opera del figlio e non di avervi assistito personalmente, che quelle rese da altri parenti, in ordine allo stato d’animo sereno con cui la persona offesa sarebbe apparsa nel giorno della contestata violenza sessuale; dall’altro lato, avrebbero contraddittoriamente considerato credibili le testimoni della difesa, amiche della persona offesa, nonostante che nessuna di esse avesse prodotto in giudizio i messaggi whatsapp che avrebbero potuto dimostrare la veridicità di quanto da loro affermato, altresì omettendo di confrontarsi con la circostanza che proprio la teste COGNOME , in sede di s.i.t., avrebbe dimenticato di riferire dei fatti di violenza sessuale avvenuti in data 25 luglio 2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di doglianza, con il quale si denuncia la violazione degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nonché degli artt. 24 e 111 Cost., relativamente al diniego della regressione del procedimento, a seguito della nuova contestazione del reato di cui all’art. 609-bis cod. pen., mossa per la prima volta in dibattimento, è inammissibile giacché generico e, comunque, manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha chiarito in maniera condivisibile che non vi è alcuna incompatibilità tra l’attività integrativa di indagine, ex art. 430 cod. proc. pen., ed il giudizio immediato, considerato che, se gli elementi raccolti sono sufficienti per richiedere il giudizio immediato, il Pubblico ministero può certamente determinarsi in tal senso, ma non vi è un divieto a completare l’attività di indagine, ai sensi
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dell’art. 430 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 5550 del 25/11/2015, Rv. 266058). Il requisito della evidenza della prova di cui all’art. 453, comma 1, cod. proc. pen., cioè, non deve essere inteso nel senso della definibilità del processo allo stato degli atti e, pertanto, non impedisce in dibattimento l’acquisizione di ulteriori prove o lo sviluppo di ulteriori approfondimenti. Con la conseguenza che ben può il Pubblico Ministero svolgere attività integrativa di indagine anche a seguito dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, potendo altresì procedere a contestazione suppletiva sulla base dei nuovi elementi emersi senza attendere gli esiti dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 6, n. 3266 del 05/07/2018, dep. 2019, Rv. 275043). Principio che si attaglia al caso in esame, in considerazione del fatto che, nella specie, i nuovi elementi sono emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, senza la possibilità di accesso a riti alternativi da parte dell’imputato per il princip tempus regit actum.
In ogni caso, non risulta comunque ultroneo precisare che, in linea generale, non è in dubbio che, se nei confronti dell’I A.M. I si fosse proceduto nelle forme ordinarie – e cioè con citazione diretta a giudizio – a seguito della contestazione nel corso del dibattimento del menzionato nuovo reato, il giudice avrebbe dovuto retrocedere gli atti al Pubblico Ministero, garantendo all’imputato l’accesso all’udienza preliminare dalla quale sarebbe stato altrimenti ingiustamente escluso, trovando applicazione
Non può trovare applicazione nel caso di specie l’art. 521-bis cod. proc. pen., essendosi proceduto, nei confronti dell’imputato, nelle forme del rito immediato. Da un lato, infatti, la nuova contestazione non ha mutato la natura del giudizio; dall’altro, trattasi di un procedimento speciale che, in ogni caso, non comporta la celebrazione dell’udienza preliminare anche qualora, in virtù del titolo di reato contestato, la stessa sarebbe prevista qualora si procedesse con rito ordinario. Ne consegue che, avendo il rito speciale il carattere intrinseco della mancanza dell’udienza preliminare, nel giudizio immediato deve considerarsi inapplicabile la disposizione di cui all’art. 521-bis cod. proc. pen., di talché correttamente esso, nel caso di specie, è proseguito nonostante l’intervenuta contestazione, per la prima volta in dibattimento, del reato di violenza sessuale.
Peraltro, la prospettazione del ricorrente, nel contestare la motivazione della sentenza gravata in ordine al censurato diniego, non deduce mai l’insussistenza dei presupposti necessari per l’accesso al rito immediato e, segnatamente, dell’evidenza della prova, in relazione al reato di violenza sessuale; di talché essa deve ritenersi, in ogni caso, formulata in modo aspecifico.
1.2. La seconda censura – riferita alla ritenuta improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, in relazione all’art. 609-bis cod. pen. manifestamente infondata.
Sul punto, deve essere riaffermato il principio secondo cui in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d’ufficio determinata dall’ipotesi d connessione prevista dall’art. 609-septies, quarto comma, n. 4), cod. pen., si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile d’ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’art. 371 cod. proc pen. (ex plurimis, Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016, Rv. 268313; Sez. 3, n. 10217 del 10/02/2015, Rv. 262654; Sez. 3, n. 2876 del 21/12/2006, dep. 2007, Rv. 236098; Sez. 3, n. 32971 dell’08/07/2005, Rv. 232185; Sez. 4, n. 13869 del 03/10/2000, dep. 2001, Rv. 219168).
Nel caso di specie, i fatti di violenza sessuale e quelli di maltrattamenti appaiono ictu ocu/i intimamente legati tra loro sul piano investigativo. Le condotte di maltrattamenti contestate all’ A.M. , infatti, si sono estrinsecate in un arco temporale compreso tra il gennaio 2021 ed il gennaio 2022, periodo nel quale si è consumato anche il reato di violenza sessuale, contestato come commesso in data 25 luglio 2021. Senza alcun dubbio, dunque, la violenza sessuale è stata parte degli atti in cui si sono sostanziati i maltrattamenti in famiglia, tenuto altresì co che per i reiterati episodi di violenza sessuale contestati come commessi durante il primo lockdown del 2020 – e, dunque, in un arco temporale non coincidente con quello interessato dalle condotte ex artt. 572, primo e secondo comma, cod. pen. – il ricorrente è stato assolto proprio per difetto di querela. Né, del resto, ciò risu confutato in alcun modo dall’odierno imputato, il quale non asserisce mai, nemmeno in via di mera prospettazione, che la violenza sessuale ascritta debba ritenersi sganciata dai maltrattamenti addebitati.
1.3. Il terzo motivo di ricorso, afferente alla mancata assunzione di prova decisiva, in violazione dell’art. 507 cod. proc. pen., è anch’esso inammissibile.
Invero, come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza, la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione ex art. 606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen, può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice merito di avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’ar 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (ex multis, Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023, dep. 2024, Rv. 285722; Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Rv. 269270). E, nella specie, l’acquisizione
della documentazione relativa alla terapia farmacologica seguita dalla madre della persona offesa, nel giudizio di primo grado, era stato chiesta a norma dell’art. 507 cod. proc. peri.
A ciò si aggiunga che il vizio di mancata assunzione di prova decisiva consiste in una sorta di error in procedendo, ravvisabile solamente quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni formulate in motivazione a sostegno ed illustrazione della decisione, risulti tale che, se esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia: perché si configuri, deve cioè necessariamente sussistere la certezza della decisività della prova, ai fini del giudizio e dell’idoneità dei fatti che ne sono oggetto, ad inficiare le ragioni poste a base del convincimento manifestato dal giudice (ex plurimis, Sez. 3, n. 9911 del 23/11/2020, dep. 2021, n.m.; Sez. 6, n. 14196 del 25/03/2010, Rv. 246667; Sez. 2, n. 16354 del 28/04/2006, Rv. 234752; Sez. 2, n. 2380 del 27/02/1995, Rv. 200980). Nel caso in esame, la mancata acquisizione della prova documentale sollecitata dalla difesa è stata correttamente ritenuta dal giudice di merito irrilevante ai fini del decidere, potendosi evincere la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria sulla base della effettuata valutazione delle risultanze probatorie, univoche nel senso dell’asserita credibilità della persona offesa. A fronte di ciò, la ricostruzione difensiva secondo cui costei non sarebbe attendibile, poiché dedita al consumo di stupefacenti e di psicofarmaci – questi ultimi acquistati mediante le prescrizioni mediche intestate alla madre – risulta meramente congetturale.
1.4. Il quarto motivo di gravame, relativo alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. ed alla manifesta illogicità della motivazione, ex art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., è inammissibile, giacché teso a sovrapporre un’arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, come tale preclusa al sindacato di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, del resto, l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice d merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (ex plurimis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
In tema di valutazione della prova testimoniale, inoltre, l’attendibilità dell persona offesa dal reato – le cui dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (ex plurimis, Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 11/01/2022, Rv. 282558; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 2651040) – è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (ex multis, Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello di Roma ha argomentato in modo completo e ragionevole il proprio convincimento in ordine alla attendibilità della persona offesa, escludendo in modo del tutto logico e coerente che questa potesse essere pregiudicata dall’esistenza di minime contraddizioni rilevate dal ricorrente fra il racconto, reso dalla donna durante il dibattimento, e la ricostruzione dei fatti proposta nel ricorso civile per l’affidamento esclusivo dei minori in suo favore; contraddizioni solo marginali, evidentemente tali da non incrinare il fulcro delle dichiarazioni della persona offesa, fondato, all’opposto, su un compendio probatorio saldo, completo ed esauriente.
1.5. Anche il quinto motivo di impugnazione, riguardante la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. ed i connessi vizi della motivazione in relazione al giudizio di attendibilità dei testi a carico e discarico, deve, infine, dichiararsi inammissibile giacché formulato in modo non specifico ed essenzialmente destinato a propiziare un approccio valutativo, inerente al merito, a fronte di un’analitica motivazione, nella quale il giudizio di attendibilità dei testi a carico risulta essere sta correttamente compiuto. Ed invero, le ragioni di doglianza prospettate non sono volte a sviluppare un adeguato confronto critico-argomentativo rispetto all’ordito motivazionale dell’impugnata pronuncia, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dalla Corte di appello, che ha linearmente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa e puntualmente richiamato le univoche emergenze probatorie già coerentemente valutate anche dal giudice di primo grado.
La Corte di appello ha effettuato un’attenta ponderazione del materiale dichiarativo acquisito al processo, così pervenendo a tracciare un percorso motivazionale che, lineare ed esente da censure, riposa, in definitiva, su un quadro probatorio compiutamente rappresentato come univoco e completo. I giudici di merito, infatti, da un lato, hanno correttamente chiarito la necessità di ridimensionare la portata delle dichiarazioni rese dal padre dell’imputato e
in ogni caso confermative dell’aggressione e convergenti con dall’amico NOME
L. GLYPH
quanto narrato dalla persona offesa; dall’altro hanno dato adeguatamente conto della coerenza e riscontrabilità delle testimonianze a carico, rese, nello specifico,
sia dalle amiche della donna – che hanno ricordato di aver osservato, direttamente, in più occasioni, i segni delle percosse – che dal luogotenente NOME
, altresì corroborate dal referto medico, descrittivo delle lesioni cagionate alla persona offesa nel corso dell’episodio conclusivo del 27 gennaio 2022.
Né, del resto, può attribuirsi alcun rilievo a quanto dichiarato dai parenti dell’imputato in ordine alla presunta serenità manifestata dalla donna nel giorno
del 25 luglio 2021, non potendosi considerare tale dato di per sé confliggente – per la sua genericità – con la subita violenza sessuale.
2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato
che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/09/2024.