Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15088 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15088 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Vobarno il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/09/2023 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 25 settembre La Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza emessa in data 13 luglio 2021 dalla Corte d’appello di Milano, divenuta irrevocabile il 26 novembre 2021, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 314 cod.pen. ascrittogli al cap 29), per essersi appropriato, quale consigliere regionale, facendone uso per spese personali e non per finalità collegate con l’attività del gruppo di denaro conferito al gruppo RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME aveva proposto richiesta di revisione, ai sensi
dell’art. 630, comma 1, lett.a) cod. proc. pen. per contrasto tra detta sentenza di condanna e la sentenza del 17 novembre 2022 n. 11341 emessa dalla Corte di Cassazione nei confronti dei coimputati, sentenza che aveva riqualificato il medesimo fatto ai sensi dell’art. 316-bis cod. pen.
2.Con i motivi di ricorso NOME COGNOME denuncia:
2.1. violazione della legge processuale penale poiché l’ordinanza in parola è stata adottata “de plano” in assenza di contraddittorio. Il ricorrente parte dall’assunto che in presenza di una vicenda unitaria ed in relazione al medesimo fatto storico, il denunciato contrasto tra giudicati, non rende di per sé inammissibile l’istanza di revisione posto che per la giurisprudenza della Suprema Corte la situazione di inconciliabilità denunciata con la revisione può avere ad oggetto sentenze pronunciate nell’ambito dello stesso procedimento sempreché il fatto incompatibile rilevi tra la sentenza di condanna con una sentenza successiva: ne discende che la valutazione di ammissibilità in ordine al rapporto di inconciliabilità tra fatti .quelli cioè stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e quelli stabiliti in altra sentenza penale irrevocabile i richiede un’analisi più specifica rispetto alla diversa ipotesi in cui I contrasto maturi in procedimenti distinti, tanto più che, nel caso in esame, il contrasto era dedotto, rispetto ad una sentenza di merito e una pronuncia di legittimità. Osserva che, in presenza di un fatto naturalistico non semplice ma di un fatto giuridico complesso, comunque suscettibile di essere dedotto in sede di impugnazione straordinaria, appare più complessa la rilettura, in chiave di contrasto fra giudicati, ci tutti gli eleme costitutivi della fattispecie incriminatrice ivi compreso l’accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo. Nel caso in esame tale aspetto involge, sotto molteplici aspetti, dati normativi che riguardano sia la ricostruzione delle previsioni della legge regionale di riferimento sia la definizione della nozione di possesso di rilievo penalistico sia, infine, il concorso o meno dei singoli consiglieri regionali co il capogruppo. Tema questo del tutto pretermesso nella sentenza di condanna a carico del ricorrente. Il potere del singolo consigliere, di disporre o meno direttamente delle somme, è esaminato anche nella ordinanza qui impugnata che qualifica alcuni dei dati normativi come appartenenti al fatto storico e riconducendo i restanti nell’alveo del profilo meramente valutativo. Le conclusioni raggiunte dall’ordinanza impugnata, inoltre, entrano in aperto contrasto con la sentenza del 17 novembre 2022 dal momento che mentre in tale decisione l’istruttoria aveva rivelato l’assenza di disponibilità diretta del denaro in capo a singoli consiglieri regionali, la sentenza che aveva condannato il ricorrente aveva ritenuto provata la disponibilità dei fondi da parte dei singoli consiglieri. Osserva, infine, il ricorrente che l’istanza di revisione aveva sottoposto ala Corte di appello, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
anche la tesi della rivalutazione del medesimo fatto derivante da un mutamento giurisprudenziale, aspetto che l’ordinanza impugnata ha del tutto pretermesso concentrando l’attenzione sul punto secondo cui è emendabile l’errore di fatto e non quello valutativo. Ma rispetto a tale profilo era stato affrontato anche l’aspetto della compatibilità di tale lettura interpretativa del caso di revisione con l’artico 7 della CEDU e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo;
2.2. violazione di legge e contraddittorietà intrinseca della motivazione nella parte in cui l’ordinanza afferma che entrambe le sentenze hanno dato atto del medesimo fatto storico omettendo, poi, di confrontarsi cori i singoli passaggi motivazionali della sentenza del 17 novembre 2022 che aveva espressamente evidenziato come fosse stata accertata l’assenza di disponibilità diretta dei fondi regionali in capo ai singoli consiglieri regionali i quali potevano accedere al denaro dei due fondi del gruppo consiliare di appartenenza solo all’esito di un procedimento amministrativo interno. La situazione di fatto presa a base della sentenza tb:e con la quale il ricorrente era stato condannato è completamente diversa dal momento che la sentenza di appello aveva ritenuto che il denaro dei fondi fosse nella concreta disponibilità dei consiglieri, indipendentemente dal fatto che l’erogazione dei fondi fosse subordinata alla richiesta da presentare al capogruppo;
2.3. violazione di legge e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui l’ordinanza riconduce il profilo di disponibilità de denaro e del potere che il singolo consigliere avrebbe avuto rispetto al fondo stanziato per il gruppo, ad una valutazione dei fatto piuttosto clie all’accertamento del fatto. Il tema dunque è quello della identificazione del perimetro ricostruttivo del fatto storico. La sentenza del 22 novembre 2022 aveva chiarito che, con riferimento alla disponibilità giuridica delle somme in capo ai consiglieri, non si era in presenza di mutamento giurisprudenziale precisando che i precedenti richiamati dalla sentenza di appello non erano pertinenti al caso di specie perché attinenti a diversi quadri normativi regionali e a differenti modalità di erogazione dei contributi ai gruppi consiliari. In ogni caso, sarebbe erroneo escludere il mutamento di giurisprudenza dalla ricostruzione del fatto per il quale è intervenuta condanna;
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui l’ordinanza ritiene sussistente un contrasto giurisprudenziale ed omette qualsiasi valutazione in ordine alla interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. e all’articolo 7 CEDU, questione devoluta con l’istanza di revisione. Secondo il ricorrente non si è in presenza di un mutamento giurisprudenziale con riguardo al tema centrale della disponibilità giuridica delle somme in capo ai consiglieri regionali. La sentenza della Suprema Corte numero
11341 del 2023 aveva, infatti, chiarito che i precedenti ai quali si era richiamata la sentenza di appello erano solo all’apparenza difformi ma, in realtà, non pertinenti rispetto al caso esaminato. Cionondimeno non può escludersi il mutamento giurisprudenziale dalla cognizione del giudizio di revisione, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, in contrasto con una interpretazione convenzionalmente e quindi costituzionalmente orientata dell’art. 630 cod.proc.pen. in relazione all’art. 7 CEDU e al principio di legalità in materia penale che impone di garantire l’accessibilità e la prevedibilità della previsione legale che devono essere assicurate sia quando il precetto abbia natura normativa sia allorquando abbia fonte giurisprudenziale e costituisca il risultato della interpretazione ermeneutica. Ne conseguono da un lato la necessaria irretroattività dell’orientamento giurisprudenziale sfavorevole maturato dopo la commissione del reato e dall’altro la retroattività della giurisprudenza favorevole sopravvenuta rispetto a tale violazione. La stessacorteEMAIL individua la riapertura del processo come misura individuale a carico dello Stato membro da adottare per una interpretazione corretta dei principi di legalità e prevedibilità
Conclude nel senso della fondatezza dell’istanza di revisione in merito al fatto, acclarato nella sentenza del 17 novembre 2022 che i ”i singoli consiglieri della Regione Lombardia, in forza del quadro normativo regionale al tempo in vigore, non avevano alcuna disponibilità diretta delle somme di denaro”, pervenendo alla qualificazione del fatto ascritto ai singoli consiglieri ai sensi dell’art. 316-ter cod. pen., con conseguente dichiarazione di prescrizione, e la condanna dell’istante fondata proprio “sulla provata disponibilità dei fondi da parte dei consiglieri” che ne ha comportato la condanna per il reto di peculato (art. 314 cod. pen.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.
L’istanza di revisione è stata proposta, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., per contrasto tra la sentenza di condanna del ricorrente e la sentenza n. 11341 emessa dalla Corte di Cassazione il 17 novembre 2022, nel medesimo processo e nei confronti dei coimputati del ricorrente che non aveva proposto ricorso per cassazione.
Il ricorrente assume di essere stato condannato e coinvolto nel procedimento penale, in qualità di consigliere regionale nella nona legislatura della Regione Lombardia, con l’accusa di peculato (art. 314 cod. pen.) commesso mediante
l’appropriazione dei contributi destinati al funzionamento dei gruppi consiliari utilizzati per esigenze non contemplate dalla legislazione e, pertanto, ritenute estranee alle previste finalità istituzionali.
Secondo il ricorrente l’addebito nel processo di merito per ciascun consigliere risulterebbe essere identico nella formulazione giuridica degli elementi costitutivi e distinto esclusivamente con riguardo alle spese delle quali era contestata l’estraneità alle funzioni istituzionali. I giudici di merito avevano, pertanto, riten che il denaro pubblico fosse nella concreta disponibilità dei singoli consiglieri regionali ciò indipendentemente dal fatto che l’erogazione dei rimborsi fosse stata subordinata ad una richiesta da presentare al capogruppo.
Di contrario avviso era stata, invece, la Corte di Cassazione che aveva escluso la disponibilità diretta del denaro in capo ai singoli consiglieri riconducendola al solo capogruppo che aveva liquidato, indebitamente, le spese dei singoli consiglieri.
2.Secondo la Corte di appello di Brescia la divergenza tra le conclusioni delle due sentenze non è idonea a configurare il contrasto tra giudicati rispetto alle posizioni dei coimputati che, giudicati nell’ambito del medesimo procedimento penale, hanno impugnato, diversamente dal COGNOME, la condanna in cassazione.
Secondo l’ordinanza impugnata, infatti, il principio del contrasto tra giudicati serve ad emendare l’errore sulla ricostruzione del fatto e non sulla valutazione dello stesso per cui gli elementi in base ai quali si chiede la revisione delle ipotesi di cui all’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. devono essere tali da dimostrare che il condannato deve essere prosciolto e non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti ma una loro diversa valutazione.
L’ordinanza impugnata rileva che non sussiste il dedotto contrasto tra giudicati dal momento che sia la sentenza con la quale il ricorrente è stato condannato sia la sentenza della Sesta sezione del 17 novembre 2022 hanno dato atto del medesimo fatto storico, costituito dalla scansione temporale con la quale il singolo consigliere della Regione Lombardia aveva avuto accesso al rimborso delle spese da esso sostenute anche perché relative ad esigenze estranee e non funzionali all’espletamento del mandato consiliare sulla base, comune a tutte le sentenze che si sono occupate della vicenda, che la legislazione regionale all’epoca vigente e la disciplina relativa al trattamento economico e ai rimborsi dei singoli consiglieri regionali della Lombardia, le spese che potevano essere imputate al fondo per il funzionamento del gruppo erano solo quelle connesse alle funzioni istituzionali dei gruppi stessi, secondo un collegamento teleologico tra l’attività del singolo consigliere e le esigenze individuate.
La divergenza tra le sentenze è relativa, invece, prosegue l’ordinanza impugnata, alla valutazione di ciascuna di esse in ordine al potere che il singolo consigliere avrebbe avuto rispetto al fondo stanziato per il gruppo da cui aveva attinto le somme per il rimborso.
Invero mentre la sentenza di merito aveva ritenuto che i singoli consiglieri avessero di fatto disponibilità giuridica del denaro, agendo come ordinatori di spesa nei confronti della struttura amministrativa che operava come tesoreria o cassa, di diversa opinione era stata la Corte di Cassazione, con la sentenza del 17 novembre 2022, secondo cui il meccanismo di anticipo della spesa da parte dei singolo consigliere e della successiva richiesta di denaro faceva venir meno il requisito della disponibilità del denaro del fondo, unicamente attribuibile al presidente del gruppo.
Da qui la soluzione ermeneutica adottata in ordine alle condotte dei singoli consiglieri regionali secondo cui, al di fuori di un’eventuale concorso di persone nel reato di peculato commesso dal rispettivo capogruppo, queste sarebbero consistite nel conseguimento del rimborso di erogazioni pubbliche non dovute sulla base di documentazione inadeguata a giustificare la spesa sostenuta ed approfittando delle maglie larghe dei controlli che avrebbero dovuto essere espletati sulla inerenza delle spese di funzionamento del gruppo.
La Corte di appello di Brescia ha osservato, peraltro, che la stessa Corte di Cassazione ha dato una diversa qualificazione giuridica della concorde ricostruzione dei fatti sicché non può ritenersi, nel caso in esame, sussistente un contrasto tra giudicati.
3.11 primo motivo in rito del ricorso è manifestamente infondato.
La giurisprudenza ha chiarito, in termini generali, le caratteristiche e le funzioni del giudizio di revisione nel quale si distinguono la fase rescindente – che ha ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, da valutarsi apprezzando l’astratta capacità dernolitoria del giudicato da parte del novum dedotto – e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento (Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, Di Pressa, Rv. 266810).
3.1.E’ stato controverso in giurisprudenza l’ambito di individuazione della manifesta infondatezza nel caso di inconciliabilità tra giudicati, ai fini del declaratoria della inammissibilità “de plano”.
Una più risalente decisione in materia (Sez. 1, n. 50460 del 25/05/2017, Sciumè, Rv. 271821) aveva ritenuto che, nel caso di contrasto fra giudicati, solo
allorquando si sia in presenza di una semplice constatazione di infondatezza del tutto piana e rilevabile “ictu oculi”, senza necessità di un particolare esame, si può procedere “de plano”: fuori da questa ipotesi, invece, “… la trattazione della domanda di revisione va obbligatoriamente realizzata in contraddittorio, ferma restando la pacifica possibilità di dichiarare l’inammissibilità della domanda anche in sede terminativa del giudizio instaurato ai sensi dell’art. 636 cod. proc. pen.
Con maggiore precisione si era ritenuto che, in fase preliminare, in tale ipotesi, il controllo giurisdizionale deve avere ad oggetto: a) la verifica dell irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista; b) la mera pertinenza di tale decisione, in tesi, portatrice della inconciliabilità rispet ai fatti oggetto del giudizio di condanna e non involgere l’esame dei contenuti di tale decisione in rapporto alla «tenuta» della sentenza oggetto della domanda di revisione, verifica, questa che entra nel merito della domanda di revisione, espropriando l’istante della garanzia del contraddittorio, che nel caso in esame è funzionale alla più ampia prospettazione dialettica delle tesi poste a sostegno della domanda, aspetto che di certo rientra nella copertura costituzionale del diritto di difesa.
Tale orientamento appare sotteso ai motivi di ricorso proposti dal ricorrente, relativi alle modalità della decisione, assunta “de plano”, posto che, secondo tale orientamento, il giudizio di inconciliabilità risultava più complesso proprio nei casi di trattazione di un unico processo, con esito in diverse sentenze, e di fattispecie che involgessero la valutazione dell’elemento psicologico del reato che, per logica comune, è oggetto di prova attraverso indici esteriori, basati sui fatti.
Stabilire l’entità dell’interferenza, porre il tema della complessiva tenuta della decisione di condanna anche a fronte di una parziale smentita, delimitare l’aspetto differenziale tra un ‘fatto’ e una ‘valutazione’ sono tutti temi, secondo la tesi de ricorrente, che in realtà attengono al merito del giudizio di revisione, e che rendono illegittima la declaratoria di inammissibilità operata “de plano”.
3.2. Decisioni più recenti hanno smentito tale impostazione, evidenziandone l’eccessivo schematismo giuridico, evidenziando che tale ricostruzione finisce col negare l’imprescindibile fase della delibazione sulla “non manifesta infondatezza” che è pur sempre un giudizio di merito, sia pure “ictu oculi”, che non può che essere compiuto con un raffronto tra le due sentenze (Sez. 2, n. 29373 del 18/09/2020, Nocerino, Rv. 280002).
Si è osservato che “E’ innegabile che, in sede di revisione, il giudizio sull’ammissibilità o meno dell’istanza di revoca della sentenza, nel caso in cui venga proposta sotto il profilo del contrasto tra giudicati, non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione fra le due sentenze che si assumono in contrasto, non potendosi il giudice limitare a verificare i due profili
costituiti dalla verifica dell’irrevocabilità della sentenza che si vuole abb introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione, in tesi portatrice dell’inconciliabilità rispetto ai fatti oggetto del giudizio di condann perché, se così fosse, non ci sarebbe spazio alcuno per la valutazione della manifesta infondatezza nonostante la legge non distingua fra le varie ipotesi e non disciplini partitamente l’ipotesi del contrasto tra giudicati”.
3.4. Il Collegio ritiene condivisibile tale interpretazione e, tirando le fila da argomentazioni fin qui svolte, ritiene che l’indicatore univoco del perimetro di valutazione del contrasto tra giudicati non possa che essere individuato, nell’ipotesi della revisione della inconciliabilità tra giudicati di cui all’art comma 1, lett. a) cod. proc. pen., nella prospettazione della oggettiva incompatibilità tra i fatti storici accertati, apprezzati ineludíbilmente nella l connotazione storico-naturalistica, sui quali hanno trovato fondamento le due sentenze poste a raffronto, in linea con la nozione di contrasto tra giudicati che tipizza, rapportandolo alla sentenza, il “fatto nuovo” che legittima il ricors all’impugnazione straordinaria.
L’ambito di individuazione della manifesta infondatezza, ai fini della declaratoria “de plano”, che non può essere limitato alla verifica della irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista, non può, tuttavia, spingersi all’esame dei contenuti della decisione antagonista, con riguardo alla valutazione giuridica dei fatti, aspetto questo che, può agevolmente essere rilevato “icut oculi”, come avvenuto nel caso in esame.
Non può, dunque, parlarsi di contrasto di giudicati se i fatti posti a base delle due decisioni sono stati descritti, dal punto di vista del loro verificarsi oggettiv in maniera identica, e di essi sia stata data una differente valutazione giuridica frutto della distinta interpretazione giuridica dai due diversi giudici.
4.Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso sub 2.2, 2.3. e 2.4.
La Corte di appello di Brescia, sulla base della composita descrizione contenuta nell’istanza di revisione, e in buona parte veicolata con il ricorso anche con i motivi di cui ai punti 2.2, 2.3 e 2.4, ha fatto coerente applicazione delle descritte regole anche ai fini della verifica del contrasto tra giudicati dal momento che, con motivazione completa e priva di vizi di manifesta illogicità, ha escluso che il contrasto tra giudicati fosse riconducibile alla diversa ricostruzione del fat storico, esito riconducibile, in merito alla responsabilità dei singoli consiglieri, co come ritenuta nella sentenza del 17 novembre 2022, alla ricostruzione della disponibilità giuridica del denaro del fondo in capo al capogruppo ed alle modalità di accesso dei singoli consiglieri sulla base della legislazione regionale di riferimento.
Rientra, infatti, nella valutazione giuridica del fatto storico, nozione d apprezzare ineludibilmente nella sua dimensione storico-naturalistica, la individuazione, attraverso l’analisi della legislazione di riferimento, degli indi normativi della fattispecie alla stregua dei quali il fatto storico (nel caso in esame, l’uso da parte del singolo dei fondi attributi al gruppo consiliare), è stato oggetto di valutazione in diritto, al pari al pari della definizione delle nozioni di possesso appropriazione di rilievo penalistico, nonchè dell’eventuale concorso dei singoli consiglieri regionali con il capogruppo nel reato di peculato, a questi riconducibile.
Secondo la giurisprudenza consolidata in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), co proc. pen., non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano (Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259449; Sez. 6, n. 34927 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273749), con la conseguenza che la revisione per contrasto di giudicati è ammessa quando la sentenza della quale si chiede la revisione abbia accertato “fatti” inconciliabili con quelli ritenuti da altra sentenza, mentre non sono compresi nella categoria degli eventi che giustificano la revisione le diverse valutazioni “in diritto” concernenti gl stessi fatti, posto che in tale caso si rimetterebbe in discussione una decisione coperta dal giudicato. Esulano, quindi, dalla nozione di fatto sia la valutazione in ordine al suo inquadramento giuridico, sia tutte le valutazioni in diritto relative agl elementi di fattispecie.
5. In più passaggi dei motivi di ricorso (2.1. e 2.4.) il ricorrente sostiene l erroneità dell’ordinanza impugnata che non ha esaminato il tema dell’ammissibilità del giudizio di revisione trascurando che, sebbene la stessa sentenza 11341 del 2022 abbia escluso un mutamento giurisprudenziale, residua innegabilmente che lo stesso fatto è stato, alfine, diversamente giudicato e ritenuto per una sentenza inesistente e per l’altra esistente. Anche il mutamento favorevole della giurisprudenza nella ricostruzione dei fatti dovrebbe comportare la rilettura dell’istituto della revisione, in particolare dell’art. 630, comma 1, lett. a) cod. pr pen., in linea con l’art. 7 CEDU e con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, in modo da ricomprendere nella revisione anche l’ipotesi di mutamento giurisprudenziale favorevole.
Premesso che la stessa sentenza 11341 del 2022 ha escluso il mutamento giurisprudenziale, evidenziando la diversità delle fonti normative regionali di riferimento nella disciplina dell’attribuzione dei fondi ai gruppi regionali regolamentazione del loro uso, rileva il Collegio che la prospettazione difensiva è affatto condivisibile poiché comporterebbe l’estensione dell’istituto della revisione
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di cui all’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. al di fuori del perimetro delineato nel codice di rito secondo la condivisibile giurisprudenza che, finora, ha escluso il fondamento giuridico di tale prospettazione (Sez. 5, n. 19586 del 31/03/2010, COGNOME, Rv. 247513 e la più recente Sez. 6, n. 19429 del 03/05/2022, COGNOME, Rv. 283265).
Si tratterebbe, infatti, di una indebita estensione della stessa natura giuridica dell’istituto della revisione che da rimedio impugnatorio straordinario, si trasformerebbe in un improprio strumento di controllo (e di eventuale rescissione) della “correttezza”, formale e sostanziale, di giudizi ormai irrevocabilmente conclusi là dove “il contrasto, che legittima – e giustifica razionalmente – l’istitu della revisione (per come esso è attualmente disciplinato) non attiene alla difforme valutazione di una determinata vicenda processuale in due diverse sedi della giurisdizione penale”. Esso, come rilevato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 129 del 2008, ha la sua ragione d’essere esclusivamente nella inconciliabile alternativa ricostruttiva che un determinato “accadimento della vita” – essenziale ai fini della determinazione sulla responsabilità di una persona, in riferimento ad una certa regiudicanda – può aver ricevuto all’esito di due giudizi penali irrevocabili e non può essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni.
6.Dal complesso delle argomentazioni svolte consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 6 marzo 2024
Il AVV_NOTAIO relatore
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Il Presidente