Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23910 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23910 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante ad litem COGNOME avverso l’ordinanza del 29/01/2025 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1 bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, il Tribunale di Milano ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di riesame proposta nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto di sequestro preventivo della somma di € 668.004,78, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 21 ottobre 2024 e mai materialmente eseguito. Avverso il provvedimento genetico è stata presentata istanza di riesame, contestando sia il fumus commissi delicti che il periculum in mora, respinta per carenza di interesse concreto ed attuale all’impugnazione, in assenza di esecuzione.
Nel presentare ricorso per Cassazione, la difesa della RAGIONE_SOCIALE deduce
violazione di legge in relazione agli artt. 628, comma 4, e 322 cod. proc. pen., nonché dell’art. 53 D. Lgs. 231/2001, per erronea dichiarazione di inammissibilità del riesame per carenza di interesse.
Affermando la carenza di interesse ad impugnare il decreto di sequestro preventivo in assenza di materiale esecuzione dello stesso, il Tribunale si è posto in conflitto con il più recente orientamento del Supremo Collegio (Sez. 5, n. 43389 del 16/10/2023, COGNOME, Rv. 285234 – 01) che, all’opposto, ha ravvisato la possibilità di sussistenza dell’interesse all’impugnazione.
Nel caso concreto, l’interesse alla rimozione della situazione giuridica determinata dal decreto di sequestro, che espone la società all’iniziativa esecutiva della parte pubblica e produce immediati effetti pregiudizievoli nella sua sfera giuridica, sia sul piano reputazionale che gestionale, deriva in particolar modo dall’annullamento dei provvedimenti di sequestro nei confronti di tutte le altre società del gruppo e delle persone fisiche coinvolte nell’indagine, atteso l’impatto dei provvedimenti cautelari sulla capacità dell’impresa di proseguire la propria attività, specialmente nel contesto del gruppo societario, attese le interrelazioni tra partecipanti del gruppo con reciproci meccanismi di sostegno, credito e garanzia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per mancanza di una valida procura.
Allegato al ricorso vi è, infatti, un atto intitolato “Dichiarazione costituzione nel procedimento penale ex art. 39 d. Igs. 231/2001, con procura per l’impugnazione” che non risulta idoneo a garantire la partecipazione attiva della società RAGIONE_SOCIALE al procedimento, in cui è indagato il suo legale rappresentante, NOME COGNOME.
L’art. 39 D.Lgs. n. 231/2001 prevede che “l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”.
A tale proposito, si è precisato che (Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, COGNOME, Rv. 264312) “la disposizione vieta esplicitamente al rappresentante legale, che sia indagato o imputato del reato presupposto, di rappresentare l’ente, proibizione che si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta
dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante. Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è, dunque, assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; d’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ent partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale”.
Per questa ragione l’esistenza del “conflitto” è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice: il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulti essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità.
Corollario dei principi ora esposti è stato ritenuto, in giurisprudenza, che il sistema della responsabilità amministrativa degli enti sia volto proprio a sollecitare le persone giuridiche all’adozione di modelli organizzativi al fine di prevenire i reati rispetto ai quali possa sorgere la loro responsabilità amministrativa, strutturando la propria organizzazione in modo da adeguare l’intervento nel caso in cui dalla propria attività possa conseguire un’indagine penale (Sez. 3, n. 35387 del 13/05/2022, Capano, Rv. 283551 – 01). Si è perciò ritenuto che un modello organizzativo adeguato debba considerare l’ipotesi – ovviamente da scongiurare in forza della predisposizione delle altre regole cautelari autoprodotte nel modello stesso – in cui il legale rappresentante possa essere indagato per un reato presupposto all’illecito amministrativo ascritto a carico dell’ente, e si trovi quindi in una situazione di conflitto con gli interessi dell’ente, in maniera tale che l’ent possa provvedere tempestivamente a tutelare i propri diritti di difesa provvedendo alla nomina di un difensore da parte di un soggetto specificamente delegato a tale incombente per i casi di eventuale conflitto con le indagini penali a carico del rappresentante legale. In difetto, dovrebbe essere quanto meno esplicitato il meccanismo con cui si è proceduto alla individuazione di un soggetto che la richiesta indipendenza soggettiva rispetto al legale rappresentante sia in grado di garantire, non sussistendo altrimenti alcuno strumento, nelle mani dell’autorità giudiziaria procedente, per effettuare tale essenziale verifica.
Dagli atti, l’attuazione di un tale meccanismo di ‘separazione’ non è stato adeguatamente posto in essere.
La società ricorrente è bensì rappresentata da un difensore nominato da NOME COGNOME a sua volta nominata quale procuratrice speciale ad litem ai fini specifici del conferimento della procura per l’impugnazione dallo stesso legale
rappresentante indagato, NOME COGNOME.
Ma quella posta in essere è una translatio potestatis, dallo COGNOME alla COGNOME, che non è assolutamente in grado di assolvere quella funzione di scissione degli interessi dell’ente collettivo da quelli dell’indagato, secondo i crite sopra indicati, perché non vi è alcun elemento o, per lo meno, non è stato dimostrato, per desumere che la nomina non sia stata effettuata per perpetuare, e non per evitare, il controllo della società da parte di chi (lo COGNOME ne continu ad essere il legale rappresentante. In altre parole, la COGNOME è una ‘emanazione’ dello COGNOME, non di un controinteressato (soci di minoranza, o soggetti eventualmente indicati in via preventiva ed astratta da un modello organizzativo, nemmeno allegato) o di un soggetto in grado di garantire, in qualche misura ed in base ad un argomento razionale, la indipendenza dall’amministratore che l’ha nominata.
Occorre in proposito aggiungere che, secondo la prospettazione accusatoria, sussistono gravi indizi di colpevolezza a carico di numerosi soggetti variamente incolpati di reati di natura fiscale, reati di riciclaggio, autoriciclaggio o reimpie con operazioni di frode all’IVA comunitaria (c.d. frodi carosello), reati commessi nell’ambito di cinque articolazioni associative costituenti un sodalizio unitario ma in diverse aree territoriali, con entrature in contesti di criminalità organizzata tan da comportare la contestazione della specifica “aggravante mafiosa” (art. 416 bis. 1, cod. pen.) nella sua duplice declinazione.
Si assiste, di conseguenza, ad una compenetrazione tra soggetto a cui compete la rappresentanza ed amministrazione della società e la persona giuridica stessa, sistematicamente, se non stabilmente, asservita con la sua compagine e patrimonio alla commissione delle attività criminose, di talché le decisioni del primo, esprimendo realmente la politica aziendale, renderebbero del tutto recessiva, soprattutto nell’ambito della fase cautelare, la verifica dell’esistenza di modelli organizzativi (Sez. 2, n. 44372 del 13/10/2022, Marino, Rv. 284123 – 01).
Nelle constate condizioni, che non sono in grado di dimostrare l’effettiva indipendenza della nominata, e quindi la tutela dell’ente societario, va richiamato l’orientamento di questa Corte, secondo cui è inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), c proc. pen., la richiesta di riesame del decreto di sequestro presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante che sia imputato o indagato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (Sez. 3, n. 5447 del 21/09/2016, COGNOME, Rv. 269754).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7 maggio 2025
Il Consigliere relatore
La Presidente