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Conflitto interessi amministratore: dolo e danno

Un amministratore di società, in palese conflitto di interessi, si auto-liquidava somme di denaro aziendale. La Corte di Cassazione ha annullato la condanna penale per intervenuta prescrizione. Tuttavia, ha annullato con rinvio la sentenza agli effetti civili, rilevando un difetto di motivazione della Corte d’Appello riguardo all’elemento soggettivo del reato, ossia la volontà intenzionale di danneggiare la società. Il caso sarà riesaminato da un giudice civile per la valutazione del risarcimento.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Conflitto di Interessi Amministratore: Prescrizione Penale e Rinvio al Giudice Civile

La gestione societaria impone doveri di fedeltà e correttezza. Ma cosa succede quando un amministratore si trova a decidere su pagamenti a proprio favore? La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 28095/2024, affronta un caso emblematico di conflitto di interessi dell’amministratore, delineando i confini tra responsabilità penale, ormai prescritta, e quella civile, ancora tutta da accertare. La pronuncia offre spunti fondamentali sull’importanza del dolo intenzionale e sulla necessità di una motivazione giudiziaria completa.

I Fatti del Caso: Bonifici e Conflitto di Interessi

Il caso riguarda un amministratore e socio al 50% di tre società a responsabilità limitata. Secondo l’accusa, egli avrebbe disposto dieci bonifici bancari dai conti correnti delle società a proprio favore, per un importo totale di oltre 45.000 euro. Tali pagamenti erano giustificati da fatture emesse dal suo stesso studio tecnico per presunte prestazioni professionali.

La condotta è stata considerata illecita in quanto posta in essere in una chiara situazione di conflitto di interessi: l’amministratore era al contempo colui che ordinava il pagamento per conto della società e il beneficiario finale dello stesso. La difesa dell’imputato sosteneva, invece, di aver agito nell’esercizio di un proprio diritto, sulla base di un accordo con l’altro socio per il ristoro delle spese di amministrazione e domiciliazione sostenute, dato che le società erano prive di una propria struttura operativa. In subordine, la difesa contestava la mancanza del dolo intenzionale, ovvero della volontà specifica di arrecare un danno al patrimonio sociale.

La Decisione della Cassazione: Tra Prescrizione e Vizio di Motivazione

La Corte di Cassazione ha adottato una decisione su due binari distinti:

1. Agli effetti penali: La Corte ha dichiarato il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) estinto per intervenuta prescrizione. Il tempo massimo previsto dalla legge per perseguire il reato era infatti trascorso.
2. Agli effetti civili: La Corte ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato il caso al giudice civile competente. Questa decisione si fonda sull’accoglimento del secondo motivo di ricorso, relativo al vizio di motivazione sull’elemento soggettivo del reato.

Il Dolo Intenzionale nel Conflitto di Interessi dell’Amministratore

Il punto cruciale della decisione riguarda la mancata risposta della Corte d’Appello alle specifiche argomentazioni difensive sul dolo. La difesa aveva sostenuto che l’amministratore non avesse agito con l’intenzione primaria di danneggiare la società, ma piuttosto nella convinzione, seppur errata, di avere diritto a quelle somme. La Corte di Cassazione ha evidenziato che il reato di infedeltà patrimoniale richiede un dolo intenzionale, cioè la coscienza e volontà di agire in conflitto di interessi per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, con l’intenzione di arrecare un danno alla società.
La Corte d’Appello si era limitata a constatare l’evidente conflitto di interessi, senza però analizzare in modo approfondito se l’imputato fosse animato da quella specifica volontà lesiva richiesta dalla norma. Questa omissione costituisce un vizio di mancanza di motivazione, che ha portato all’annullamento della sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili sul risarcimento del danno.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, con cui si invocava la scriminante dell’esercizio di un diritto. I giudici hanno chiarito che tale giustificazione può essere invocata solo in presenza di crediti che possiedono i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, requisiti che nel caso di specie mancavano, come ammesso dallo stesso ricorrente che legava il rimborso al momento dello scioglimento della società.

Il cuore della motivazione risiede però sull’accoglimento del secondo motivo. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: una sentenza è viziata per mancanza di motivazione quando il giudice non fornisce una risposta completa e specifica a doglianze precise e decisive formulate con i motivi di appello. Nel caso in esame, la questione del dolo intenzionale era un elemento costitutivo del reato e, pertanto, decisiva. L’assenza di una risposta adeguata da parte della Corte d’Appello ha reso la condanna, almeno per gli aspetti civili, illegittima.

Le Conclusioni

La sentenza dimostra come la prescrizione possa estinguere la pretesa punitiva dello Stato, ma non necessariamente le conseguenze civili di un atto illecito. La fondatezza del motivo sul difetto di motivazione ha comportato l’annullamento con rinvio, aprendo un nuovo capitolo giudiziario davanti al giudice civile, che dovrà ora accertare se la condotta dell’amministratore abbia effettivamente causato un danno risarcibile e se sussistessero tutti gli elementi per configurare una sua responsabilità. Questa pronuncia sottolinea l’importanza per i giudici di merito di analizzare con rigore tutti gli elementi del reato, incluso quello psicologico, e di fornire una motivazione esaustiva su ogni punto sollevato dalla difesa.

Quando un amministratore risponde del reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.)?
L’amministratore risponde di questo reato quando, avendo un interesse personale in conflitto con quello della società, compie o concorre a compiere un atto di disposizione patrimoniale che causa un danno alla società stessa. La Cassazione, in questa sentenza, ribadisce che è necessario il dolo intenzionale, ovvero la volontà specifica di arrecare un danno al patrimonio sociale.

La prescrizione del reato penale cancella anche la richiesta di risarcimento del danno?
No. Come dimostra questo caso, l’estinzione del reato per prescrizione non elimina automaticamente le conseguenze civili dell’atto. Se la sentenza viene annullata per motivi che non escludono l’illiceità del fatto (come un vizio di motivazione), la questione del risarcimento del danno può essere riesaminata da un giudice civile competente.

Perché il presunto ‘diritto al rimborso’ non ha giustificato la condotta dell’amministratore?
La Corte ha stabilito che la scriminante dell’esercizio di un diritto non può essere invocata per crediti che non siano certi, liquidi ed esigibili. Nel caso specifico, lo stesso imputato aveva ammesso che il rimborso delle spese sarebbe dovuto avvenire solo al momento dello scioglimento delle società, rendendo quindi il credito non immediatamente esigibile al momento dei bonifici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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