Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16932 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16932 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
LA MACINA FELICE SOCRAGIONE_SOCIALE IN PERSONA DELL’AMMINISTRATORE UNICO
COGNOME NOMECOGNOME
RAGIONE_SOCIALE IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE CAPO
avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale sentito il difensore, Avv. COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio; l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Salerno ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti dalle società ricorrenti avverso la sentenza del
Tribunale di Salerno, emessa il 13 febbraio 2023, che le aveva condannate alle sanzioni pecuniarie e interdittive di giustizia in relazione agli illeciti amministrat contestati, rispettivamente, ai capi 23 e 30 della imputazione, siccome rivenienti dai reati di cui agli artt. 640-bis e 479 cod.pen., attribuiti ai rispettivi l rappresentanti, per avere indebitamente ottenuto finanziamenti finalizzati alla realizzazione o ristrutturazione di due frantoi oleari.
La sentenza ha dato atto che nei confronti di COGNOME Maria, rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE e nei confronti di COGNOME Lucio, rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE erano state emesse, in separati procedimenti, due distinte sentenze di non doversi procedere per prescrizione, entrambe divenute irrevocabili nel 2010 e nel 2011.
Tali rappresentanti legali delle due società, dopo la sentenza di primo grado resa in questo procedimento, avevano nominato, rispettivamente, l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME quali procuratori speciali al fine di proporre appello.
Tuttavia, la Corte territoriale ha ritenuto che i rappresentanti legali cita versassero, rispetto a tali nomine, in una situazione di incompatibilità per conflitto di interessi, dovuta al fatto di essere stati indagati e poi impu ati dei reati dai quali erano scaturiti gli illeciti amministrativi contestati alle ricor società.
Sicché, ritenendo violato l’art. 39 d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231 – che impedisce alla persona fisica imputata dei reati da cui dipende l’illecito amministrativo, di partecipare al procedimento rappresentando l’ente – La Corte di merito ha rilevato il difetto di legittimazione dei legali rappresentanti ed ha dichiarat inammissibili gli atti di appello, superando il rilievo difensivo volto a mettere i luce come, al momento della nomina dei difensori di fiducia, entrambi i legali rappresentanti non fossero più imputati in quanto nei loro confronti era stata emessa sentenza irrevocabile di non doversi procedere per prescrizione.
In proposito, la Corte di appello ha sostenuto, testualmente, che “questa situazione di conflitto prescinde dall’attualità della qualifica di imputato di chi h eseguito la nomina, visto e considerato che anche chi è stato, in passato, accusato dello stesso reato ascritto all’ente, pur prosciolto in maniera irrevocabile, si trova in conflitto di interessi con la società, che, come si è detto potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi; a sua volta, invece, I legale rappresentante prosciolto per prescrizione (come nel caso di specie) ha tutto l’interesse a scongiurare una siffatta ricostruzione onde evitare conseguenze sfavorevoli che, ad esempio, ben potrebbero derivargli nell’ambito di procedimenti civili o amministrativi concernenti i medesimi fatti ed aventi ad
oggetto risarcimenti, indennizzi, restituzioni o anche sanzioni” (fg. 17 della sentenza impugnata, con l’ulteriore richiamo proprio ad un passaggio dell’atto di appello proposto dall’Avv. COGNOME, difensore dell’RAGIONE_SOCIALEnRAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui è stata sostenuta l’esclusiva responsabilità delle persone fisiche materiali esecutrici delle condotte illecite e non dell’ente, a dimostrazione di quello che la sentenza impugnata ha definito un “corto circuito processuale”).
Ricorrono per cassazione, con distinti atti, le due società imputate, in persona dei loro legali rappresentanti ed a mezzo dei rispettivi difensori.
RAGIONE_SOCIALE
3.1. Con il primo ed unico motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte esteso la causa di incompatibilità del legale rappresentante dell’ente, prevista dall’art. 39 d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231, anche al rappresentante legale che era stato imputato in epoca precedente alla nomina del difensore e nei confronti del quale era stata emessa sentenza di non doversi procedere per prescrizione irrevocabile in data antecedente all’atto compiuto.
Il ricorso sottolinea che la norma di cui all’art. 39 d.l.vo 231/2001, costituisce una eccezione alla regola secondo la quale l’ente partecipa in giudizio attraverso il proprio rappresentante legale, sicché non potrebbe essere interpretata in maniera estensiva e tale da ricomprendere un caso, come quello in esame, in cui non vi era stata contestualità tra l’assunzione delle qualità di imputato da parte del rappresentante legale e l’atto da lui compiuto nell’interesse dell’ente.
In questo senso, deve essere interpretata la stessa giurisprudenza di legittimità citata dalla Corte di appello a conforto delle sue ragioni e gli altri arresti sul punto che il ricorso indica a fg. 4.
La tesi sostenuta dalla ricorrente risulterebbe confortata dal tenore letterale del citato art. 39 d.l.vo 231/2001 (nell’inciso “salvo che questi sia imputato”, con riferimento al legale rappresentante che per questa causa non può partecipare al procedimento penale, ove è stato utilizzato dal legislatore il congiuntivo presente e non passato), nonché dalla circostanza che la declaratoria di prescrizione nei confronti del legale rappresentante, irrevocabile in epoca di gran lunga precedente all’atto di nomina del difensore, non potrebbe comportare più alcuna conseguenza per la sua posizione all’interno dell’ordinamento penale, non ammettendosi la revisione del processo se non in favore del soggetto che sia stato “condannato” .
RAGIONE_SOCIALE a r.l.
4.1. Con i motivi di ricorso, rimarcandosi l’interesse della ricorrente all’esame delle questioni di merito devolute con l’atto di appello, si deducono censure sovrapponibili a quelle dedotte dalla prima ricorrente, anche con riferimento alla
nomina dell’Avv. NOME COGNOME da parte della legale rappresentante NOMECOGNOME intervenuta quando costei non era più imputata.
Si deve aggiungere che, con il secondo motivo, la ricorrente eccepisce la nullità dell’intero processo dovuta al fatto che la legale rappresentante NOME COGNOME in quanto in allora indagata, non avrebbe potuto nominare alcun difensore di fiducia dell’ente, proprio in ragione di quanto previsto dall’art. 39 d.l.v 231/2001, che avrebbe dovuto comportare la nomina di una difensore di ufficio da parte del Tribunale e prima ancora da parte del Pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari.
Si dà atto che nell’interesse della ricorrente è stata depositata una memoria con allegati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati per quanto qui di seguito evidenziato.
E’ fondato il primo motivo di entrambi i ricorsi, che ha carattere assorbente.
1.1. L’art. 39, comma 1, d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231, stabilisce che “l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante egale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”.
1.2. La più recente giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi sul tema, ha evidenziato che, in tema di responsabilità da reato degli enti, il legale rappresentante, indagato o imputato del reato presupposto, non può provvedere alla nomina del difensore dell’ente ex art. 39 digs. 8 giugno 2001, n. 231, a causa del conflitto di interessi, da ritenersi presunto “iuris et de iure”, senza che sia necessario, a tal fine, un concreto accertamento del giudice, che, per l’effetto, non ha un onere motivazionale sul punto (Sez. 2, n. 13003 del 31/C1/2024, COGNOME, Rv. 286095-01; Sez. 3, n. 35387 del 13/05/2022, Capano, Rv. 283551-01).
Le sentenze citate condividono l’identico principio di diritto tracciato da Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, COGNOME, decisione che in un passaggio motivazionale richiamato dalla prima sentenza citata, p -ecisa come “la disposizione vieta esplicitamente al rappresentante legale, che sia indagato/imputato del reato presupposto, di rappresentare l’ente, una proibizione che si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attrave-so una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la
propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante. Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è, dunque, assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; d’altra parte, tale diritto risulterebbe del tu compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l’esistenza del “conflitto” è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice: il divieto scatta in presenza della sicuazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità” (pagg.12 e 13, Sez U, COGNOME)”.
1.3. La questione giuridica, comune ad entrambe le ricorrenti, c:he pone l’odierna vicenda processuale è se il divieto di rappresentare l’ente nel procedimento penale possa estendersi anche al rappresentante legale che sia stato indagato o imputato in un procedimento penale esauritosi prima della nomina del procuratore speciale.
Nel caso in esame, non è contestato che entrambi i rappresentanti legali delle società ricorrenti erano stati imputati – nelle loro qualità e come persone fisiche – con riguardo ai medesimi fatti posti a fondamento della responsabilità amministrativa degli enti condannati nel primo grado del presente giudizio.
Ciò era avvenuto attraverso due distinti procedimenti penali, che si erano entrambi conclusi con sentenze di non doversi procedere per prescrizione, divenute irrevocabili molti anni prima della nomina dei procuratori speciali effettuata nell’odierno procedimento dai medesimi rappresentanti legali delle ricorrenti.
1.4. L’assunto della Corte di appello, secondo il quale, tale situazione di conflitto di interessi prescinderebbe dalla attualità della qualità di imputato o indagato del legale rappresentante dell’ente, rispetto, nella specie, al momento della nomina del procuratore speciale, non può condividersi.
1.4.1. Osta, in primo luogo, il tenore letterale dell’art. 39 d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231, nella parte in cui, nel formulare il divieto di rappresentanza, utilizza i congiuntivo presente (“sia imputato”) senza aggiungere altro verbo al passato.
1.4.2. E’ stato, probabilmente, sulla scorta di tale esegesi della norma che la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, prima citata, in uno specifico passaggio motivazionale, ha utilizzato l’avverbio “contemporaneamente” a
proposito della qualità personale rivestita dal legale rappresentante dell’ente siccome generativa del conflitto di interessi (“E quello della non legittimazione, con riferimento alla imputazione degli effetti di atti posti in essere nell’interess dell’ente indagato, da parte del rappresentante contemporaneamente indagato del reato presupposto, deve intendersi, appunto, principio di carattere generale che permea di sé l’intero procedimento, anche indipendentemente dalla costituzione dell’ente, soggetto al sindacato del giudice adito, come del resto, per quanto riguarda la materia della impugnazione che qui ricorre, è anche espressamente disposto dal legislatore nell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. (pag. 24, sentenza SS.UU. COGNOME)”.
1.4.3. D’altra parte, il divieto di rappresentanza di cui si discute, nell’indicare suo fondamento la qualità di imputato in un procedimento penale assunta dal rappresentante legale dell’ente, non può che fare riferimento alla stessa nozione di imputato in un procedimento penale e alle regole che la sovrintendono, le quali si ricavano dall’art. 60 cod. proc. pen., applicabile, in tema di responsabilità da reato degli enti, in forza del generale rinvio di cui all’art. 34 d.lgs. 231/2001, quanto all’evidenza compatibile.
Per quel che qui interessa, tale norma, al secondo comma, prevede che “la qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna”.
Per di più, nel caso in esame, come è stato correttamente osservato nei ricorsi, la declaratoria di prescrizione emessa nei confronti dei legali rappresentanti delle società ricorrenti – in difetto di contestuali statuizioni civili – non potrebbe da luogo neanche alla revisione dei processi in allora avviati contro di loro, stante la mancata assunzione da parte degli interessati della qualità di condannati agli effetti civili, che l’art. 629 cod. proc. pen. presuppone ai fini di consentir l’accesso al mezzo straordinario di impugnazione (in questo senso, anche Sez. U, n. 6141 del 25/10/2018, dep. 2019, Milanesi, in motivazione, fg. 11).
1.4.4. Un altro ulteriore e decisivo rilievo a favore della tesi qui sostenuta, è dato dal fatto che il divieto di rappresentanza indicato dall’art. 39 d.l.vo 231/2001, si pone, ad evidenza, come una eccezione alla regola, fissata dalla prima parte del primo comma della norma, secondo la quale l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale.
Come eccezione ad una regola generale, la norma deve trovare applicazione attraverso un criterio di stretta interpretazione secondo l’indicazione contenuta all’art. 14 preleggi.
Per tali ragioni, la sentenza deve essere annullata senza rinvio, con la consequenziale trasmissione degli atti alla Corte di appello di Salerno, in diversa
composizione, per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla
Corte di appello di Salerno per l’ulteriore corso.
Cosi deciso, il 14/03/2025
Il Consigliere estensore
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