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Conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che il conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001, che impedisce al legale rappresentante di agire per l’ente, sussiste solo se questi è attualmente imputato per il reato presupposto. Il divieto non si estende al caso in cui il suo procedimento penale si sia concluso in passato con una sentenza di prescrizione divenuta irrevocabile, poiché la qualità di imputato è venuta meno.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001: Quando il Legale Rappresentante può Agire?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sul conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001, specificando i limiti temporali dell’incompatibilità del legale rappresentante a difendere l’ente. La decisione analizza l’articolo 39 del decreto, stabilendo che il divieto di rappresentanza vale solo se lo status di imputato è attuale e non se si è esaurito in passato. Questa pronuncia è cruciale per le società coinvolte in procedimenti per responsabilità da reato.

I Fatti del Caso

Due società, una cooperativa e un oleificio, venivano condannate in primo grado dal Tribunale per illeciti amministrativi derivanti da reati di truffa aggravata e falso ideologico commessi dai rispettivi legali rappresentanti. Questi ultimi, in procedimenti penali separati e antecedenti, avevano visto i loro casi concludersi con sentenze di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, entrambe divenute irrevocabili molti anni prima.

Successivamente, le società, tramite i medesimi legali rappresentanti, proponevano appello contro la condanna. La Corte d’Appello, tuttavia, dichiarava gli appelli inammissibili. La motivazione si basava su un presunto conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001, ritenendo che l’incompatibilità a rappresentare l’ente persistesse anche dopo la chiusura del procedimento penale a carico della persona fisica. Secondo i giudici di secondo grado, il conflitto prescindeva dall’attualità della qualifica di imputato. Le società ricorrevano quindi per Cassazione.

L’interpretazione del Conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001

Il cuore della questione legale risiede nell’interpretazione dell’art. 39 del D.Lgs. 231/2001. La norma stabilisce che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, “salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”.

Il dibattito si è concentrato su un punto: questa condizione di incompatibilità è permanente o cessa nel momento in cui la persona fisica perde formalmente la qualità di imputato? La Corte d’Appello aveva sposato una visione estensiva, considerando il conflitto come una situazione oggettiva che non veniva meno con la prescrizione del reato. Le società ricorrenti, al contrario, sostenevano una lettura restrittiva, legata all’attualità dello status processuale di imputato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i ricorsi delle società, annullando la sentenza d’appello e rinviando per un nuovo giudizio. Le motivazioni della decisione si fondano su principi di stretta interpretazione della legge.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato il tenore letterale dell’art. 39. L’uso del congiuntivo presente (“sia imputato”) indica una condizione che deve sussistere nel momento in cui l’atto viene compiuto. Se il legislatore avesse voluto estendere il divieto anche a chi è stato imputato, avrebbe usato una formulazione diversa.

In secondo luogo, la norma rappresenta un’eccezione alla regola generale secondo cui l’ente è rappresentato dal suo legale rappresentante. In quanto norma eccezionale, non può essere interpretata in modo estensivo o analogico. Il divieto scatta solo nella precisa situazione descritta dalla legge.

Infine, la Corte ha richiamato la definizione di “imputato” data dall’art. 60 del codice di procedura penale. Tale qualità si acquisisce con la formulazione dell’imputazione e si perde con una sentenza di proscioglimento o condanna divenuta irrevocabile. Nel caso di specie, i procedimenti a carico dei rappresentanti legali si erano conclusi anni prima con sentenze di prescrizione irrevocabili. Di conseguenza, al momento della nomina dei difensori per l’appello dell’ente, essi non rivestivano più la qualifica di imputati e il divieto non era più operativo.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione stabilisce un principio di diritto chiaro e di grande importanza pratica. Il conflitto di interessi D.Lgs. 231/2001 che impedisce al legale rappresentante di agire per l’ente è strettamente legato all’attualità della sua qualifica di imputato nel procedimento per il reato presupposto. Una volta che tale qualifica cessa a seguito di una sentenza irrevocabile (anche di prescrizione), il legale rappresentante riacquista la piena legittimazione a rappresentare la società, anche all’interno dello stesso procedimento a carico dell’ente.

Il divieto per il legale rappresentante di agire per l’ente si applica anche se il suo procedimento penale personale si è concluso per prescrizione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il divieto di rappresentanza si applica solo se il legale rappresentante è attualmente imputato del reato presupposto. Se il suo procedimento si è concluso con una sentenza di prescrizione divenuta irrevocabile, egli non è più imputato e può rappresentare l’ente.

Come deve essere interpretata la norma sul conflitto di interessi dell’art. 39 D.Lgs. 231/2001?
Deve essere interpretata in modo restrittivo. Essendo una norma che costituisce un’eccezione alla regola generale della rappresentanza legale, non può essere applicata in via estensiva o analogica a situazioni non espressamente previste, come quella di un ex imputato.

Quando cessa la qualità di ‘imputato’ che impedisce al legale rappresentante di agire?
La qualità di imputato, secondo l’art. 60 del codice di procedura penale, si conserva fino a quando la sentenza di non luogo a procedere non sia più soggetta a impugnazione, o la sentenza di proscioglimento o di condanna sia divenuta irrevocabile. Con il verificarsi di una di queste condizioni, il divieto di rappresentanza viene meno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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